Bologna, 15 ottobre, anteprima sul lavoro del XV Congresso nazionale dell’Udi.
_ Roma 15 ottobre cronaca di una manifestazione.La biblioteca dell’Archiginnasio a Bologna non viene data con facilità. Ma, come ha detto Simona Lembi, Presidente del Consiglio comunale, era giusto che questo luogo prestigioso da secoli fosse messo a disposizione delle donne dell’Udi per parlare di lavoro.

Dopo i saluti di Katia Graziosi dell’Udi di Bologna, Eloisa Betti, dottore di ricerca in storia, ha elencato, partendo dal lontano 1944, tutte le iniziative che sono state organizzate per garantire alle donne il diritto all’occupazione, alla pensione, alla salute, alla maternità, alla casa, agli asili nidi, all’istruzione e anche per garantire loro il diritto alla parola pubblica.
_ Le donne dell’Udi furono le prime, con Capitini, a manifestare contro la guerra, per la pace.

Il confronto è poi stato aperto dalla relazione di Pina Nuzzo che ha trovato le giuste parole per legare il prima al dopo. Quello che abbiamo visto o fatto con quello che dovremmo andare a costruire.
_ L’impegno politico e sindacale ha permesso a molte di acquisire quella coscienza di sé per poter dire, in prima persona, ma con la forza di un noi, di un: insieme si può, quali erano gli obbiettivi da raggiungere per migliorare le proprie condizioni.

Tra gli anni Sessanta e Settanta molte sono state le leggi che in qualche modo hanno recepito queste volontà. Ma un conto è la legge, un conto sono comportamenti socio-culturali come quelli maschilisti, difficili da modificare in tempi brevi.
_ Il commento delle ragazze in sala è stato: ma, non è proprio cambiato nulla! Molto, invece, è cambiato. Un cambiamento che si è potuto toccare con mano dalle argomentazioni portate da tutte le relatrici.

La memoria e la possibilità di rileggere la Storia ci ha fatto capire come quelle lotte e quegli obbiettivi, pur giusti, insistevano su una stessa cultura politica quella della rivendicazione e dell’omologazione al maschile. Veniva a gran voce richiesta un’uguaglianza che poi, con il femminismo, si scoprì essere una trappola.

Bisognava puntare sulla differenza e lavorare per capire come garantire la soddisfazione di bisogni che erano altri da quelli dettati dai ruoli costruiti in secoli di cultura maschile dominante. La donna non era vista come persona, a stento si accettava come cittadina passiva. Era ingabbiata in un corpo funzionale a bisogni non suoi.

Lo slogan {il corpo è mio e lo gestisco io} segnò uno spartiacque epocale.
Il corpo ripensato in un’autocoscienza politica ha così marcato la differenza.
Da una differenza biologica si passava ad una differenza culturale.
Questa cultura sta segnando oggi nuove proposte politiche ed organizzative, quest’ultime favorite anche dalle nuove tecnologie digitali.

Un confronto, quello sul lavoro, che l’Udi, in vista del congresso (che si terrà dal 21 al 23 ottobre a
Bologna) ha proposto anche ad esperte in economia come Tindara Addobbo, o a Consigliere di parità come Rosa Amorevole, Annalisa Atti e Valeria Maione, ma anche a sindacaliste come Anna Salfi e Stefania Guglielmi.

A parlare di lavoro a Bologna c’erano anche Teresa di Martino per il gruppo Diversamente occupate, che ha ricordato come le altre sue compagne, quelle rimaste a Roma, avrebbero partecipato alla manifestazione del pomeriggio e che lei dopo i lavori della mattinata le avrebbe raggiunte.
_ Federica Mazzoni del gruppo Rosarosae ha raccontato che si sono trovate per la prima volta dopo l’incontro di Siena di Senonraquando per capire che cosa volevano da sé e dalle altre donne in una articolata declinazione di possibilità.
_ Molto soddisfatta delle analisi fatte si è detta Valeria Fedeli di Snoq che ha sottolineato che anche sui temi del lavoro, si deve portare avanti un’agenda comune capace di valorizzare al massimo le singole soggettività potenziandole in un azione congiunta capace di catalizzare altre forze intercettando tutte coloro che ancora sono fuori da questo dibattito e da un impegno operativo.

Tanti i nodi affrontati in questo confronto bolognese. Ecco un breve elenco di quelli che più mi hanno fatto riflettere.
– Il corpo come epicentro di ogni analisi perché esso è fertile anche quando non genera più o non vuole generare. E’ fertile perché è attivo nella sua potenza creativa. Ed è di questa potenza creativa che si deve avvalere un’economia sostenibile ed una politica adeguata per poterla attuare.
– Creatività come potenzialità per andare oltre al già visto, per non omologarsi ad una cultura economica e politica giunta al capolinea.
– La persona che deve essere al centro di ogni produzione di beni e servizi, pensata sempre come soggetto e non oggetto dell’organizzazione del lavoro.
– L’etica come coerenza nel perseguire un dovere capace di garantire i propri e gli altrui diritti in una democrazia partecipata e duale necessaria a dare senso anche alla democrazia dei numeri.
– Condivisione e non conciliazione con l’altro da sé nella consapevolezza delle diversità in una democrazia dove differenti potenzialità, quella femminile e quella maschile, possano condividere la cura e la manutenzione del mondo con tutte le sue diversità. Una democrazia duale che va vista anche per un necessario riequilibrio della rappresentanza.
– Lavoro di cura e manutenzione dell’ambiente in cui si vive devono essere tenuti separati e non possono essere confusi perché solo il valore della manutenzione può essere monetizzato, mentre l’altro, implicando emozioni, stati d’animo, affetti, non può essere in alcun modo quantificato in un valore di mercato. Il confonderli, come avviene, crea infinite contraddizioni,
– La flessibilità non può essere sinonimo di precarietà ma deve essere legata ai bisogni di chi la richiede. Cosa possibile solo in un’economia a crescita sostenibile.

Lasciata la sala dello Stabat Mater, nel cortile, Sara Colombazzi ha proposta una mostra di sue fotografie dove giovani donne sono state colte nei rispettivi posti di lavoro. Lavori che per lo più segnano una fenditura profonda con il secolo passato.

Mentre tornavo da Bologna a Porretta dove abito quando non sono a Roma mi raggiunge una telefonata di Paola Mastangeli. Aprici subito, sono qui a san Giovanni con Edda Billi e altre in mezzo agli scontri. Le dico di suonare a Susanna Polese. Per fortuna anche una rete di solidarietà condominiale funziona. Sono tutte al sicuro!

Tornata a casa mi incollo al televisore e seguo manifestazione e scontri. In realtà le telecamere riprendono solo poche volte il mare di persone che da tre ore sta sfilando per via Cavour. Sono centinaia di migliaia di persone. Ma il 90% dell’informazione e dei commenti si sofferma però solo sugli scontri. E alle proteste del coordinamento 15 ottobre la risposta è che a fare notizia è la violenza, è su questa che bisogna riflettere.
_ Non importa dare visibilità a chi è stato cancellato da questa violenza.

Viene fatto notare anche a Bianca Berliguer che questo comportamento professionale incapace di rompere con vecchi modi di fare informazione danneggia tutti, anche i giornalisti/e. Molti/e pensano ancora che solo ciò che è negativo fa notizia.
_ Visto che la violenza ormai è la norma nella percezione comune non è più valido l’adagio che la notizia si ha quando l’uomo morde il cane.

Solo la Gabanelli ha cercato di muovere controcorrente, proponendo -alla fine di ogni servizio- la notizia positiva.
_ Forse anche molti giornalisti e giornaliste dovrebbero sentirsi più libere nel loro lavoro, dovrebbero essere capaci di rompere con vecchie abitudini.
Dovrebbero, forse, essere anche loro più fertili.