A circa sei anni dall’entrata in vigore della Legge sull’affidamento condiviso, la giurisprudenza è ancora oscillante in merito alle modalità di applicazione dell’Istituto.

A pochi giorni di distanza, la Suprema Corte si è pronunciata in maniera difforme, vediamo come: l’8 febbraio 2012 ha affermato che “ il grave conflitto tra genitori, di per sé solo, non è tale da escludere l’affidamento condiviso, né è sufficiente, a tal fine, il riferimento a generiche difficoltà relazionali tra padre e figlio: è dunque da reputarsi insufficiente, per addivenire all’affidamento monogenitoriale, la motivazione che –facendo unicamente menzione della conflittualità tra i genitori , dello scarso interesse del padre nei confronti della figlia ed al di lei rifiuto nei confronti del padre – disponga l’affidamento esclusivo alla madre.”

In data 29 marzo 2012, ha così statuito “ l’elevata conflittualità tra i genitori può costituire motivo idoneo e sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso della prole quando essa, per le sue caratteristiche ed incidenza, si presenti suscettibile d’ingenerare patologie nel figlio minore.”

In particolare, con tale ultima decisione, il Giudice di legittimità ha precisato che “l’espletata istruttoria e segnatamente dall’esito della CTU, era emerso che l’affidamento condiviso si era mostrato nocivo alla minore e possibile fonte di patologie per la stessa, in quanto generante ansia, confusione e tensione, e, dunque, ha irreprensibilmente concluso per la sussistenza di condizioni pregiudizievoli al suo interesse, atte a legittimare….l’affidamento della figlia alla madre.”.

La Corte di Cassazione è quindi pervenuta a decisioni opposte, {{in merito al rapporto tra conflittualità e applicazione dell’affidamento condiviso}}: in un caso negando che detta conflittualità possa essere motivo idoneo per escludere l’applicazione dell’attribuzione al padre e alla madre dell’esercizio della potestà genitoriale, nell’altro ammettendo, a seguito di un’esperita Consulenza tecnica di ufficio, che le difficoltà relazionali tra i genitori, tali da determinare un’incapacità di gestione e di collaborazione nell’interesse dei figli, esposti così a danni psicologici, determinano la necessità di disporre l’affidamento esclusivo ad un solo coniuge.

Il profilo teorico tra gli istituti in esame ci consente di stabilire, in linea di principio, {{la differenza tra affidamento condiviso e affidamento esclusivo}} nei termini che seguono: {{l’affidamento è l’esercizio della potestà genitoriale}}, tale potestà riguarda questioni ordinarie (quelle che si riferiscono alla quotidianità) e straordinarie (quelle che esulano da una normale routine); nell’{{affidamento esclusivo }} la potestà viene esercitata dal genitore affidatario, per quanto concerne le questioni ordinarie della vita dei figli, congiuntamente per quanto concerne le questioni straordinarie; nell’{{affidamento condiviso,}} l’esercizio della potestà viene attribuita ad entrambi i genitori, ordinaria o straordinaria che sia.

Questa distinzione è solo teorica, perché nei fatti, anche nel caso di affidamento esclusivo, il genitore non affidatario adotterà decisioni relative alle questioni ordinarie, quando è in compagnia dei figli; egli di certo non chiederà all’altro genitore cosa fare e cosa non fare nelle ore che trascorre insieme alla prole, egli quindi eserciterà in concreto la potestà genitoriale, anche se tale potere per legge non gli è attribuito.

Pertanto, il vero discrimine tra il condiviso e l’esclusivo, in relazione alla gestione ordinaria, è costituito dalla {{quantità di tempo}} che i figli trascorrono con il genitore non convivente: quanto più tempo trascorrono con il padre o con la madre, tanto più questi potranno decidere nell’interesse di minori.

Si potrebbe, anche, disporre un affidamento condiviso con una ridotta permanenza del figlio con il genitore non convivente, ma ecco che tale istituto si svuota di contenuto, perchè di fatto il padre o la madre che vive con la prole eserciterà la potestà genitoriale in maniera non paritetica rispetto al genitore che ha lasciato la casa familiare.

Tutto questo per mettere in rilievo che le decisioni giurisprudenziali assumono una valenza più teorica che pratica, e che è molto difficile renderle concrete ed operative rispetto al nucleo familiare che si sta separando.

Ed infatti, posto che il Giudice decida per il condiviso, {{anche se c’è conflitto}}, o per l’esclusivo perché c’è conflitto, non solo la difficoltà relazionale tra i genitori non si contiene nell’un caso come nell’altro, ma nulla muterà rispetto alla materia del contendere: in entrambi i casi i genitori litigheranno con conseguenze dannose per i figli.

Il problema è a monte, occorre evitare che il padre o la madre pongano in essere {{comportamenti che ledano la crescita dei figli}}, i quali non devono essere oggetti da contendere ma persone da rispettare. Fare il genitore non è una capacità innata, ma un compito che si può e si deve imparare, forse il legislatore dovrebbe partire da qui per aiutare i minori e garantire loro un futuro migliore.