In piena controtendenza con tutti i Paesi dell’Unione europea e con gli Stati Uniti, l’Italia affronta la crisi economica tagliando su istruzione e ricerca, le uniche voci in grado di rilanciare una ripresa reale. La riduzione di un anno del percorso dell’istruzione obbligatoria del duo Gelmini-Tremonti è l’ennesimo esempio di questo scempio e dimostra tutta la crudeltà di una visione classista della società.{{“Riforme”? Solo e prima di tutto tagli}}

Agli otto miliardi di euro di tagli previsti dalla finanziaria 2008 per il triennio 2009-2011 i ministri Gelmini e Tremonti stanno già provvedendo, smantellando tutto il sistema dell’istruzione nazionale a cominciare dai segmenti già riformati – e con ottimi risultati – della scuola dell’infanzia e primaria. Le cosiddette “riforme”- che quest’anno investiranno anche la scuola secondaria di secondo grado – hanno come unico scopo di attuare un risparmio generalizzato, attraverso la {{riduzione indiscriminata di tutta l’offerta formativa}}, a prescindere dai bisogni territoriali e dalle situazioni dei singoli Istituti e alunni/alunne.

Una morte annunciata della scuola cui assistiamo dal 2009: attacco al tempo pieno, scomparsa del “modulo”, ritorno del maestro unico. Tagli consistenti alle ore di lezione per elementari e medie che vogliono dire aumento degli alunni per classe in ogni ordine e grado di scuola, soppressione dei piccoli plessi e delle sezioni staccate con numero di alunni giudicato insufficiente, accorpamento di istituti sottodimensionati, anche se collocati in territori disagiati del Paese. E la lista è lunga.

Il prossimo anno assisteremo allo {{smantellamento della scuola secondaria di secondo grado}}, per la quale si prevedono riduzioni massicce degli orari di funzionamento, accorpamento di indirizzi, stravolgimento dei curricoli, azzeramento di tutte le sperimentazioni che, in assenza di una riforma complessiva dell’impianto, ne avevano innovato i contenuti e adeguato i percorsi ai nuovi bisogni educativi (progetti di informatica, seconda lingua, laboratori di tecnologia). Il biennio unitario obbligatorio scomparirà, sostituito da percorsi rigidamente distinti fra i licei e gli istituti tecnici e professionali

{{Al lavoro a 15 anni}}

Ma ciò che veramente grida vendetta è la riduzione di un anno del percorso dell’istruzione obbligatoria, introdotto il 21 gennaio nel “Collegato lavoro” alla legge finanziaria 2010. L’emendamento introduce la possibilità che l’ultimo anno dell’obbligo scolastico venga assolto nei percorsi di apprendistato.

In tal modo si ottengono molteplici risultati: si ratificano i {{destini formativi e lavorativi degli alunni e delle alunne più fragili}}, di solito quelli appartenenti alle fasce più povere della popolazione, che andranno a costituire la massa di forza lavoro dequalificata a disposizione per lavori di bassissimo contenuto professionale. Si tolgono di mezzo i più “somari”, che non ostacoleranno i percorsi di istruzione dei compagni più fortunati o con famiglie in grado di supportarne le difficoltà.{{ Si mette a disposizione delle imprese una forza lavoro praticamente gratuita}}. Si diminuisce il numero degli alunni in età di obbligo e quindi si possono attuare maggiori tagli agli organici delle scuole.

{{Ricordiamoci che…}}

Il percorso che ha portato a questa barbara soluzione viene da lontano. La legge n. 53 del 2003 (promulgata sotto il ministro Moratti) sostituiva il concetto di “obbligo scolastico fino a 16 anni” stabilito dal precedente governo di centro sinistra con la formulazione più diluita e ambigua di “diritto-dovere all’istruzione e formazione fino a 18 anni”.

Sotto questa espressione si celavano da una parte una debolezza costitutiva della norma e dall’altra la {{confusione fra il concetto di istruzione, che si realizza nella scuola, con quello della formazione,}} che si realizza in percorsi di professionalizzazione come l’alternanza scuola-lavoro, l’apprendistato, la formazione professionale regionale.

Con la legge finanziaria n.296 del 2006, però, il governo di centrosinistra aveva formalizzato l’ampliamento della durata dell’obbligo a 16 anni, impedendo, quindi, che si potesse cominciare a lavorare prima dei 16 anni. La legge Biagi sull’apprendistato, previsto dai 15 ai 18 anni , era stata pertanto modificata, nel senso che nessun datore di lavoro poteva assumere apprendisti prima che avessero compiuto 16 anni.

L’attuale emendamento alla finanziaria 2010 è in palese contrasto con tale disposizione, ci allontana dai livelli di istruzione previsti dal Trattato di Lisbona, annulla una conquista del governo di centrosinistra, {{accentua gli aspetti selettivi già presenti in un sistema scolastico}} che, soprattutto nella scuola superiore, vede una eccessiva dispersione e un alto tasso di abbandono.

{{Ma la scuola ha bisogno di riforme vere!}}

I problemi della secondaria – segmento scolastico non riformato i cui risultati lasciano molto a desiderare soprattutto in alcune parti del territorio italiano – sono reali e ricerche europee lo dimostrano. Nessuno nega che la scuola superiore (ma già la scuola media) non appaia, in tanti casi, accogliente per gli adolescenti e significativa per tante famiglie. Come rispondere ad una disaffezione per i percorsi di istruzione e alle reali difficoltà di alunni scarsamente motivati alla frequenza, soprattutto nell’età dell’adolescenza? {{Come restituire alla scuola rigore e, nello stesso tempo, ruolo di promozione sociale}}? Come ricostituire un orizzonte di senso a contenuti, organizzazione, percorsi che molti adolescenti e giovani sentono distanti dai propri interessi e dalla concretezza di un futuro sempre più difficile ed incerto?

Per la ministra Gelmini si tratta di dare segnali di rigore disciplinare (legge 137 del 2009) al fine di ristabilire la disciplina e a promuovere il merito. La reintroduzione dei voti sin dalla scuola primaria e la disposizione per cui una sola insufficienza, anche in condotta, basti per essere bocciati appaiono strumenti seri agli occhi della ministra e dell’opinione pubblica per sconfiggere bullismo e disinteresse. In realtà servono solo ad accentuare la selezione e a facilitare l’espulsione dei soggetti più problematici e bisognosi, gran parte dei quali hanno alle spalle famiglie non in grado di seguirli e di supportarli dal punto di vista educativo.

{{Proposte}}

Per rendere la scuola più accogliente ed efficace nei risultati bisogna prima di tutto {{restituirle una credibilità sociale, oggi persa anche per messaggi controproducenti dello stesso governo}}: come si può pensare che i cittadini possano rispettare docenti che lo stesso ministro dichiara essere “demotivati, poco preparati, frustrati”? Come può la società accettare che si investa su di una istituzione, dal momento che lo stesso governo le taglia i fondi e dichiara che “non è un ufficio di collocamento o uno stipendificio per intellettuali disoccupati” ?

Per {{innovare e promuovere qualità della scuola servono non tagli, ma investimenti in professionalità dei docenti, in stabilità degli addetti, in laboratori, spazi attrezzati, sussidi, biblioteche}}. Per far sì che gli alunni e le alunne si sentano accolti e compresi e rispondano positivamente alle proposte didattiche servono relazioni educative stabili (quindi si deve superare il precariato dei docenti che fa male prima di tutto agli studenti !), tempi di ascolto, organico funzionale per l’alleggerimento del numero di alunni, soprattutto nelle annualità di passaggio fra segmenti scolastici, quando più alto è l’abbandono, e per la realizzazione di percorsi personalizzati e interventi individualizzati.

L’Italia ha il corpo docente più anziano d’Europa e, con i tagli previsti dalla “riforma” (150.000 posti di organico docente in tre anni!) continuerà a riproporre precariato e continui spostamenti di sede dei docenti e non introdurrà ancora per molti anni nelle scuole giovani docenti, che sarebbero più in sintonia con la cultura, gli interessi,gli approcci conoscitivi, l’utilizzo delle tecnologie e dei linguaggi complessi degli studenti.

I dati OCSE sul profitto degli alunni, inoltre, evidenziano il diretto rapporto fra il livello di scolarizzazione dei genitori e i risultati scolastici dei figli: gravissime lacune nel Sud e nelle Isole, e punte di eccellenza nel Nord Est e in alcune zone delle Regioni del Centro-Italia. Un dato di più per mostrare come la situazione socio-economica delle famiglie condizioni i percorsi di studio degli adolescenti e dei giovani. Si tratta, allora, di {{incrementare i percorsi di istruzione per adulti}} (che subiscono, invece, fortissimi tagli con le “riforma” Gelmini) , di sostenere con le leggi regionali per il diritto allo studio la progettualità dei Piani dell’offerta formativa delle scuole, soprattutto nei quartieri più poveri e a rischio di criminalità delle grandi città del Sud e delle Isole, di {{costruire, accanto alle scuole, luoghi educativi e di aggregazione per l’accoglienza degli adolescenti}} quali biblioteche, centri sportivi, teatri, mediateche.

Si dovrebbero concentrare gli sforzi per {{diffondere su tutto il territorio italiano i servizi educativi per la prima infanzia}} (nidi e scuola materne) e le scuole primarie a tempo pieno, perché è provato da tutte le ricerche che la prevenzione del disagio e dell’emarginazione avviene proprio nei primissimi anni di vita dei cittadini e delle cittadine più piccoli, supportando le famiglie meno istruite e più povere di risorse economiche e culturali. Un’attenzione particolare andrebbe posta alla {{integrazione scolastica dei bambini e degli adolescenti di famiglie immigrate}}, troppo spesso colpiti da bocciature, ritardi scolastici ovvero destinati, per mancanza di risorse economiche, a fruire di percorsi troppo precoci di formazione professionale.

Per gli alunni più problematici poi, ci si dovrebbe rivolgere a esperienze come quella dei “maestri di strada” che hanno saputo una seconda chance a ragazzi e ragazze di alcuni quartieri critici a Napoli, Palermo, Bari offrendo loro percorsi di rimotivazione e reintroduzione nel normale percorso di istruzione. Interventi molto personalizzati, certo, ma capaci di recuperare soggetti altamente a rischio, per i quali il destino segnato è spesso quello dell’introduzione precoce nella manovalanza della criminalità diffusa.

{{Altro che apprendistato a 15 anni!}} Quando a fare da “palo”per gli spacciatori di droga un preadolescente può guadagnare in un giorno somme che un lavoratore in cassa integrazione guadagna in un mese, è ben difficile che la scuola, da sola, e con tutti i problemi di scarsità di risorse possa costituire una credibile alternativa!Ma anche dove il tessuto sociale è sano, la scelta dell’apprendistato a 15 anni non può che essere dettata solo da problemi sociali : quale genitore, infatti, non investirebbe sul futuro del proprio figlio, anche di fronte a difficoltà nel percorso scolastico, pur di offrire un livello di istruzione comunque più alto?

{{Più scuola, più sviluppo, più equità}}

I Paesi del Nord Europa, più evoluti e civili del nostro, dimostrano che investire sull’istruzione aumenta il benessere del Paese e incrementa i risultati dell’economia.I percorsi scolastici lì realizzati puntano al biennio fortemente unitario fino a 16 anni e, in molti casi ad un obbligo scolastico elevato fino a 18 anni. Le esperienze in quei Paesi dimostrano ancora {{quanto sia di beneficio a tutti gli studenti frequentare insieme, alunni di diversa provenienza sociale, di diversa capacità e cultura percorsi scolastici comuni}}: la separazione precoce fra studenti delle classi sociali elevate e quelli di classi più modeste non migliora il rendimento scolastico dei più deboli, ma non incrementa neanche i risultati dei più capaci.
Ci sono, poi, i risultati delle ricerche della Banca d’Italia che dimostrano come l’economia del Paese cresca di più punti anche solo generalizzando l’incremento di un anno di scolarizzazione dei cittadini e come l’investimento in percorsi di scolarizzazione renda da 5 a 7 volte di più di qualunque investimento in azioni o titoli di Stato per le famiglie, ma sia anche redditizio per lo Stato, perché cittadini più istruiti trovano lavoro prima e svolgono lavori con migliori retribuzioni, contribuendo maggiormente alla fiscalità generale e pesando di meno sull’assistenza pubblica.

{Last but not least}, c’è l’aspetto fondamentale dell’{{uguaglianza delle opportunità che una società sana deve offrire a tutti i propri cittadini}}: supportare il merito deve significare non dare a tutti allo stesso modo, ma dare di più a che parte più sfavorito. Significa saper valorizzare tutti i tipi di intelligenze che i soggetti variamente presentano. Significa non costruire gerarchie fra i diversi saperi. Significa valorizzare l’aspetto sociale delle competenze (il sapere è un bagaglio individuale, il saper fare, il sapere applicare ha una connotazione sociale, perché si opera, si costruisce, si riflette, si agisce per migliorare il mondo con gli altri).

Tutto questo la scuola non sempre riesce a fare. Molte volte i docenti, per primi, non riflettono su tali temi e sono i primi ad emarginare alunni con intelligenze divergenti o con capacità che sfuggono alle tradizionali valutazioni scolastiche. Occorre non alimentare le arretratezze della scuola e la facile pulsione censoria con la quale molti docenti, nella disperazione delle difficoltà quotidiane, pensano di risolvere i l problema della propria autorevolezza espellendo gli alunni “che disturbano e non seguono”.

{{Riportare l’obbligo ai 16 anni, come previsto dalla legge è un atto di equità e di ragionevolezza}}. Investire perché tale obbligo non si risolva in una pigra e costretta frequenza, ma sia una risorsa vivace e un’offerta interessante che stimoli negli adolescenti curiosità e voglia di continuare negli studi: questo pretendiamo che ritorni ad essere il biennio della secondaria. Per questo ci aspettiamo che i {{docenti, i genitori, gli intellettuali e i politici si mobilitino in favore di una vera e condivisa riforma e contro questo obbrobrio dell’avvio precoce al lavoro}}, da cui nessun adolescente trarrebbe alcun vantaggio, ma che confermerebbe la volontà di questa destra arretrata e medievale di rifondare un società di diseguali.

Simonetta Salacone – dirigente scolastica della scuola Primaria “Iqbal Masih”di Roma

Foto: Marisa Ameli