Preso da : Che libertà – il coraggio di essere donna

Violenza-sulle-donne-la-Convenzione-di-Istanbul-e-leggeTra poco verrà discusso alla Camera un disegno di legge d’iniziativa parlamentare a tutela degli orfani di femminicidio, nel lessico giuridico, orfani di crimini domestici. Bambini e bambine, cioè, che hanno perso la madre per mano del padre, a volte assistendo al delitto, e diventando orfani due volte. Nell’ambito di questa norma è stato inserito un emendamento che come Se non ora quando – Libere abbiamo sostenuto e difeso poichè, nei casi di omicidio, equipara la responsabilità del coniuge e del convivente della vittima a quella di altre figure familiari, come il padre o il figlio, già previste per l’accesso all’aggravante. Dunque nessun innalzamento ad hoc delle pene – come erroneamente sostenuto in alcune discussioni di questi giorni o sottinteso in alcuni titoli di giornali -, nessuna aggravante specifica o distinta (secondo una logica a cui siamo estranee, ancor di più nel caso dell’ergastolo), bensì una parificazione, cosa ben diversa. E anche una svolta epocale se si guarda a quell’esclusione del coniuge dalle responsabilità, come il segno di una cultura, quella nostrana del Codice Rocco e del delitto d’onore, cancellato solo nell’81, a cui la modifica proposta direbbe finalmente no. Si tratta di non chiudere gli occhi dinanzi l’odierno contesto sociale in cui viviamo e la realtà che la cronaca ogni giorno ci racconta, fatta di storie di donne uccise in maggioranza per mano del coniuge o del convivente, figura finora mai considerata; ma soprattuto di dare piena esecutività alle direttive della Convenzione di Istanbul, “unico strumento normativo giuridicamente vincolante di cui gode l’Europa su questo terreno”, come ha giustamente ricordato Fabrizia Giuliani, autrice dell’emendamento. 

Intervista diCecilia Sabelli per La Repubblica a FABRIZIA GIULIANI

Equiparare la responsabilità del coniuge, o convivente, a quella già prevista per i familiari diretti nell’applicazione della pena massima nei casi di omicidio: è la proposta inserita come emendamento a uno dei testi delle norme che il Parlamento intende varare a tutela degli orfani di femminicidio e crimini domestici, in discussione alla Camera il prossimo 27 febbraio. Si cerca in questo modo di porre fine anche sul piano penale a quella compiacenza sostanziale nei confronti di mariti e conviventi che uccidono la propria compagna, retaggio di un passato non troppo lontano, e di una cultura che nel delitto d’onore trovava la sua massima espressione. Ma in che modo questo emendamento è fondamentale e ribalta quel genere di cultura a cui già nel 2012 avevamo detto no con l’appello Mai più complici? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autrice dell’appello, la deputata Fabrizia Giuliani, oggi autrice anche dell’emendamento e tra le promotrici di queste norme di iniziativa parlamentare, che prevedono forme di tutela come il patrocinio gratuito, la pensione di reversibilità, il sequestro conservativo dei beni a garanzia del risarcimento dei danni, l’assistenza medica e psicologica e anche un fondo ad hoc per i figli delle vittime di femminicidio.

Fabrizia Giuliani, cosa cambia con questo emendamento e a quale necessità si è cercato di rispondere?

Fino ad oggi il reato di omicidio prevedeva tra i requisiti soggettivi, per l’accesso alle aggravanti, le figure degli ascendenti e dei discendenti della vittima, cioè, in linea retta, nonni, genitori e figli etc. Venivano esclusi così il coniuge, il convivente, il partner. Cosa singolare se guardiamo alla cronaca e alla nostra esperienza. I crimini domestici, vedono, purtroppo un copione che si ripete: la morte delle donne per la maggior parte per mano del marito o convivente, o degli ex coniugi/ex partner. Intervenire per sanare questo vulnus ci sembrava dunque doveroso. Cancellare l’esclusione del coniuge dai requisiti soggettivi per l’applicazione dell’aggravante non è un estensione arbitraria ma un’equiparazione, il venir meno di una discriminazione, questa sì arbitraria, negli istituti previsti dal nostro ordinamento.

In che modo questa modifica, come in molti hanno riconosciuto, ribalta la cultura del delitto d’onore?

Il fatto che per il coniuge fosse previsto un diverso trattamento, è conseguenza di un retaggio culturale. Non dimentichiamoci che il nostro paese cancella il delitto d’onore nel 1981, conquista che otteniamo solo dopo quelle sul divorzio e l’aborto. C’è di che pensare. Un paese che ha cancellato così tardivamente quel tipo di norma impiega tempo a cambiare pelle. La nostra società, tutta, fatica a riconoscere la violenza e i crimini quando questi si consumano all’interno delle relazioni familiari e affettive. Fatica a mettere a fuoco la responsabilità.