Dal sito dell’Associazione Consumatrici della Svizzera italiana riprendiamo questo articolo che dimostra l’assurdità di un’economia e di una politica che dimenticano i pilastri su cui si reggono, ovvero il lavoro domestico delle donne.{{Se assumi una collaboratrice domestica}} per pulirti la casa e le dai un giusto salario, contribuirai all’accrescimento del famoso pil (prodotto interno lordo) o della ricchezza nazionale. {{Se invece sposi la collaboratrice domestica}}, quei lavori è come se non esistessero: non entreranno nel pil, non saranno considerati produzione di ricchezza.
Una prima assurdità di questa situazione: ciò che è “gratuito”, non rimunerato, non ha valore economico. Non gode neppure di considerazione politica.

L’altra assurdità è che in un’{{economia in cui si mercifica tutto}} e in cui gli unici punti di riferimento o di giudizio sono il mercato e il denaro, ciò che non è mercantile, non è monetizzabile, non è subito redditizio e scambiabile, è ritenuto antieconomico e un puro costo. Ma quell’{{economia mercantile}}, senza i valori della parte non-mercantile della società (che va dalle attività domestiche, alla cura dei figli, alla scuola, alla amministrazione della giustizia, al volontariato) {{sprofonderebbe da un giorno all’altro}}. Eppure quella ricchezza immensa, su cui si fonda la società, è sottovalutata o persino avversata come sanguisuga della vera economia.

Quasi a dimostrazione concreta di queste due assurdità, si è portato a termine nei passati giorni dall’Ufficio federale di statistica un “progetto pilota per la Svizzera” che valuta, con accurata indagine, l’{{importanza in ore di lavoro dedicato dalle economie domestiche}} alle varie attività per vivere, all’educazione e cura dei figli, al volontariato sia istituzionale (associazioni, servizio pubblico), sia informale (assistenza a congiunti, vicini, cure a domicilio ecc.). Le ore di lavoro, quasi facendo beffardamente il verso all’altra economia mercantile e utilizzando i suoi stessi parametri di valutazione, sono poi state tradotte in salario, in moneta.

{{Lavoro non pagato, ricchezza ignorata}}

Ciò che esce da questa indagine realizzata per la prima volta in Svizzera, è impressionante e dovrebbe farci cambiare mentalità.
_ Il {{volume di lavoro non rimunerato}}, calcolato sulla popolazione residente permanente in Svizzera (anno 2000), ripartito tra donne e uomini, dopo i 15 anni, suddiviso nelle varie mansioni principali, che abbiamo raggruppato è pari ad 8 miliardi di ore di lavoro non rimunerato; {{quasi due terzi (65%) è compiuto dalle donne}}. La parte essenziale spetta ai lavori domestici; poco più del 9% è invece dovuto al volontariato nelle sue varie forme.
_ Una valutazione monetaria del lavoro non rimunerato, domestico o di volontariato raggiunge complessivamente quasi i 250 miliardi di franchi. {{Il solo lavoro domestico raggiunge i 172 miliardi di franchi}}. Il contributo delle donne è preponderante poiché rappresenta i due terzi del valore globale : il 66% per i lavori domestici, il 60% per i compiti di assistenza e il 49% nel volontariato.

{{Due grosse insulsaggini}}

Questi dati sono sufficienti per portarci a due considerazioni:

– {{La ricchezza di un paese non può più essere misurata unicamente dal famoso e immancabile pil}} (prodotto interno lordo) e dalle sue variazioni a yo yo che ci segnalano i vari istituti economici o banche e che ci martellano in testa i mezzi di comunicazione. E’ un modo molto superficiale, parziale e inumano di valutare la ricchezza prodotta da un paese. La sua conseguenza più grave è di ritenere valido ed utile solamente ciò che è monetizzabile e mercanteggiabile, {{condannando alla sottovalutazione e alla noncuranza tutto il resto}}. Con il prodotto interno lordo (pil, attualmente attorno ai 430 miliardi di franchi) si indica il valore che viene raggiunto in un anno dall’economia del paese. Ora, le economie domestiche con la loro attività, compresa quella educativa dei figli, contribuirebbero ad aggiungere i fatto un ulteriore 41% alla ricchezza prodotta nel paese ma quasi tutto questo contributo, dovuto essenzialmente alle donne, è realtà ignorata dai conti nazionali.

– La voluta ignoranza precedente è causa ed effetto di un atteggiamento politico-economico dominante che finisce per {{soffocare il paese dentro una corazza economicista}}. In altre parole, non si riesce più ad uscire dalla sola ed unica logica della resa immediata e dei costi. Ciò che non rende subito, visibilmente, è solo costo. Coerentemente con questa filosofia, l’attività fondamentale e {{il lavoro delle economie domestiche sono ignorati perché non sono pagati}} e non se ne vede una resa per l’economia. Ridotta a insignificanza la produzione interna delle economie domestiche, si esalta solo la loro propensione al consumo: essa serve all’economia; se si affievolisce per chi si produce? Quanto serve però a sostenere le economie domestiche (e quindi il loro eventuale consumo o risparmio) e a promuovere una politica che sia utile e pagante, è ritenuto semplicemente un “costo” che dissangua l’economia mercantile e va ridotto al massimo o eliminato.

Esemplifichiamo: il discorso va dagli assegni familiari per i figli, ai sussidi per le casse malati, al modo di affrontare i costi della salute o per l’invalidità, ai tagli che concernono tutto il settore dell’educazione, alla demolizione o privatizzazione (quando rende) di ciò che è destinato ai beni collettivi o al servizio pubblico, al mito della competitività che, sempre in nome dei costi, addenta i salari e corrode di fatto il potere d’acquisto delle economie domestiche.
_ Insomma, ignorare il lavoro non retribuito delle economie domestiche e non considerare, anche politicamente, il loro consistente apporto di valore aggiunto alla ricchezza (non solo economica) del paese, è {{la più illogica e balorda insulsaggine che si possa immaginare}}. Eppure ci è imposta come credenza utile dall’economia imperante e dalla politica sua serva.