Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato l’Italia per non aver agito con sufficiente rapidità per proteggere la donna e suo figlio dagli atti di violenza domestica perpetrati dal marito. – Elizaveta Talpis ha visto il figlio morire sotto i colpi di tre coltellate inferte dal marito Andrej a Remanzacco, in provincia di Udine, il 26 novembre del 2013. Poi è scappata fino a una ferrovia vicino, rincorsa dall’assassino, che ha colpito anche lei con un coltello trovato in casa ma non è riuscito a ucciderla. Lui si è costituito dopo essere rientrato in casa ed essersi reso conto della morte del figlio ed è stato condannato all’ergastolo nel gennaio 2015.

Non si chiude la procedura di monitoraggio ed esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti umani contro il governo italiano nel caso Talpis. Ieri il Comitato dei ministri per la supervisione dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani ha chiesto invece ulteriori informazioni rispetto all’attuazione delle misure legislative esistenti, contestando di fatto il Piano d’azione in esecuzione della sentenza presentato dal governo italiano.

“Questo è per noi un segnale molto positivo”, commenta Titti Carrano, “perché D.i.Re aveva presentato le sue Osservazioni al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, contestando le motivazioni addotte dal governo italiano che chiedeva la chiusura della procedura in quanto il caso Talpis sarebbe un caso isolato e non l’espressione di un problema strutturale”.

La Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per violazione del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani e degradanti, nonché del divieto di discriminazione in quanto le autorità italiane non sono intervenute tempestivamente per proteggere la signora Talpis e i suoi figli, vittime di violenza domestica perpetrata dal marito, avallando di fatto tali condotte violente protrattesi fino al tentato omicidio della ricorrente e all’omicidio di suo figlio.

“I ritardi nell’apertura delle indagini dopo la denuncia della violenza e l’assoluta sottovalutazione del rischio hanno fatto sì che non venisse predisposta nessuna misura di protezione”, ricorda Carrano. “Con il risultato che i comportamenti violenti dell’uomo sono continuati nella percezione di totale impunità, fino all’omicidio finale”.

“Ma non si tratta di un caso isolato, tutt’altro”, ribadisce con fermezza Carrano. “in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni da partner o ex partner. La Decisione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa è molto significativa. Conferma quanto già espresso dalla corte di Strasburgo che ha sottolineato un’implicita esigenza di tempestività e di diligenza ragionevole: non basta infatti che la legge nazionale predisponga strumenti di tutela, ma i meccanismi di protezione previsti dal diritto interno debbono funzionare nella pratica entro un termine, cosa che in Italia troppo spesso non avviene”.

In base alla Decisione adottata, per consentire “di valutare appieno l’efficacia dell’attuazione del quadro legislativo istituito”, il Comitato dei ministri, “invita le autorità a fornire, in modo tempestivo, informazioni dettagliate, preferibilmente per il periodo 2013-2018, su:

– i criteri utilizzati dalle autorità competenti per rispondere alle richieste di misure preventive e protettive, il tempo medio di risposta e di attuazione di tali misure e il numero di misure adottate;

– la durata media delle indagini e dei procedimenti penali in relazione a episodi di violenza domestica e molestie;

– il numero di tali casi interrotto e il numero di condanne e assoluzione in relazione ai reclami presentati”.

“Finora in Italia si è proceduto principalmente attraverso misure penali, mentre da sempre D.i.Re sostiene che non è così che si possono prevenire i femminicidi”, conclude Carrano. “Speriamo che questo sia il primo passo per una inversione di rotta”.