Dal numero 1 della rivista ControStorie, dedicato all’intreccio tra razzismo, genere, classe, riprendiamo questo articolo di Barbara De Vivo che analizza il recente dibattito in Francia sul velo svelando come è proprio nella storia del colonialismo francese che il dibattito va riportato. {{ {Razzismo, genere, classe} }}, questo è il titolo del primo numero di {{ {ControStorie} }}, una rivista autoprodotta e autofinanziata, che vive grazie alla passione per le idee e il dibattito politico di attiviste e attivisti impegnat* a tutto tondo nel mondo eterogeneo di quel che resta del movimento dei movimenti.
_ Il titolo del primo numero è In realtà è una sorta di dichiarazione d’intenti: queste tre categorie intersecate tra loro saranno la griglia d’analisi con cui la rivista intende guardare al mondo, analizzarlo.
_ Sin dagli anni ’70 l’analisi sull{{‘intersezione tra sessismo, razzismo e classismo è patrimonio del femminismo}} grazie all’elaborazione politica del black feminism. Secondo questa analisi il genere non è una categoria a cui si sommano altra categorie come la classa e la razza, ma il genere è costruito anche dalla razza e dalla classe, così come la razza è costruita sulla base del genere e della classe di cui si fa parte.
_ {{Quindi genere, razza, classe sono interrelati, intersecati,
inscindibili}}.

La questione del velo rende visibile il filo storico che lega “la diffusione dell’universalismo emancipatore” – invocata nella colonizzazione francese dell’Algeria – all’islamofobia e al razzismo di Stato di oggi. Ricostruire questa storia è necessario per contrastare le pericolose concessioni fatte al razzismo anche dai movimenti.

{{Nel 2004 in Francia}} venne approvata a larga maggioranza la legge che impone il {{divieto di indossare simboli religiosi a scuola}}. Sebbene la legge vieti qualsiasi tipo di abito che sia palesemente religioso, il dibattito è nato intorno a studentesse che indossavano il velo.

In questo articolo vorrei non tanto riprendere le fila del dibattito che si scatenò intorno alla questione del velo in Francia quanto piuttosto dare degli elementi di analisi per{{ ricostruire il contesto che ha portato a questa legge}}, e soprattutto sottolineare come{{ il velo e il corpo delle donne siano stati usati per imporre leggi restrittive}}, discriminatorie che palesano il “{{razzismo di stato}}” in Francia.

A favore della legge sul velo e all’espulsione dalle scuole delle ragazze che lo indossavano si sono espressi una varietà di soggetti politici con argomentazioni diverse.
_ Prima tra tutte l’{{estrema destra}} che vedeva nel velo il simbolo palese dell’islamizzazione della Francia, poi la {{destra liberista}} che rintracciava nel velo il segno della sconfitta delle politiche di integrazione degli immigrati e delle generazioni successive, nonché gran parte delle {{sinistra socialiberista}} e radicale che vedevano nel velo il simbolo dell’oppressione patriarcale e della minaccia alla laicità.

Quello che sorprende nel dibattito francese è che il velo è stato letto unicamente come un simbolo religioso legato a ragioni mistiche, {{omettendo completamente le ragioni materiali che portano le ragazze ad indossare il velo}}: il posto che le figlie e i figli dell’immigrazione occupano nella società francese, la storia coloniale francese, il nuovo assetto geopolitico mondiale che fa dell’Islam il nuovo nemico dell’Occidente, l’islamofobia, ovvero il razzismo contro l’arabo che ha assunto una forte rilevanza dopo l’11 settembre e lo scoppio della guerra in Medioriente.

Con il nuovo ordine mondiale post-guerra fredda l’imperialismo degli USA ha spostato il nemico nel Medioriente. Le ragioni economiche dell’imperialismo e della guerra globale e permanente hanno necessitato di argomentazioni ideologiche per armare gli eserciti e per giustificare lo stato di terrore post 11 settembre. La caccia al terrorista islamico ha nutrito il razzismo nei confronti delle popolazioni di fede musulmana o proveniente da paesi detti arabi, che vivono in Occidente.
_ L’11 settembre e la nuova crociata contro l’Islam hanno aperto due fronti di guerra: uno in Medioriente contro le popolazioni civili, l’altro in Occidente contro gli immigrati e le immigrate (e le generazioni successive al percorso migratorio) che portano sulla propria pelle il segno di appartenenza ad un ipotetico mondo arabo. La battaglia contro il velo ne è un esempio.

{{La questione del velo in Algeria durante il colonialismo}}

La questione del velo nella storia francese non nasce oggi, nasce in Algeria, nelle colonie occupate dai francesi già dalla fine degli anni ‘50, riesplode in Francia alla fine degli anni ’80 e arriva fino ad oggi.

Il 13 maggio 1958, in piena guerra di liberazione algerina contro il dominio coloniale francese, donne velate salirono su un palco in una piazza centrale dell’Algeri francese, Place du Gouvernement, (l’occupazione di Algeri divideva la città in settore francese e settore indigeno). Donne francesi colonizzatrici erano lì accanto a loro per svelarle e bruciare i veli in pubblica piazza utilizzando la retorica emancipazionista della colonizzatrice giunta in colonia per portare modernità e valori supremi universali.

In epoca coloniale, la{{ retorica sulla condizione della “donna musulmana”}} è servita a produrre un apparato discorsivo volto a decretare l’inammissibilità delle popolazioni colonizzate e a negare loro la cittadinanza francese.
_ Non solo, ma nel contesto di dominazione coloniale, e in particolar modo in momenti di estrema tensione quali la {{guerra d’Algeria, il corpo della donna velata diviene metonimia per l’intero territorio}}: è necessario svelarla, strappare il velo per poter controllare attraverso di lei le misteriose abitazioni della casbah. […]

Ecco quindi che in piena guerra d’Algeria diventa fondamentale conquistare le donne, sollevarne il velo, per mettere in scena ancora una volta la propria superiorità, ma soprattutto per umiliare i colonizzati. _ I corpi femminili velati divengono terreno di scontro, mezzo attraverso cui due campi avversi si danno battaglia. Ma{{ il velo è esso stesso oggetto di riappropriazione politica}}: molte donne algerine che avevano smesso di portarlo lo rimettono in segno di {{resistenza contro l’occupazione}} e le combattenti lo utilizzano strategicamente come strumento di guerra, come inscenato dal film {La battaglia di Algeri}.
_ Al tempo stesso, {{per la Francia la “battaglia del velo” è un modo per distogliere lo sguardo dai massacri e dalle torture}}.
_ Con l’aiuto del Movimento di solidarietà femminile, associazione caritatevole fondata da Madam Salam, moglie del comandante delle truppe francesi in Algeria, i colonialisti inscenano le cerimonie di “svelamento” al grido di Viva l’Algeria francese”. ([[1- Chiara Bonfiglioli, “La battaglia del velo. Laicismo e femminismi nella Francia postcoloniale”, in Zapruder n.13 maggio-agosto 2007, Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, Odradek, pp. 83-84
]])

Le donne sono stata al cuore della guerra di liberazione algerina. L’uso del velo le facilitava nel nascondere la propria identità e nel trasportare armi e bombe. Frantz Fanon ([[2 – Frantz Fanon (Fort de France, Martinica, 1925 – Washington, 1961) di origini martinichesi e di formazione francese, dopo la laurea in medicina e gli studi in filosofia, si specializzò in psichiatria. Trasferitosi in Algeria svolse la sua attività presso il manicomio di Blida. Le difficoltà qui incontrate lo convinsero che era la condizione stessa di colonizzato, e la violenza culturale su cui si fondava, a vanificare il suo intervento terapeutico sul disagio psichico. A partire dal 1956 la sua breve ma intensa vita politica, accanto alla collaborazione con il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, lo vide tra gli intellettuali che maggiormente si adoperarono per inscrivere in una prospettiva internazionale la lotta di liberazione de paesi africani.
]]) sostiene che l’occupazione coloniale francese ha enfatizzato “il dinamismo storico del velo”, mutando la sua funzione in contesti strategici diversi. Il velo non solo era usato strumentalmente per trasportare armi ma anche per identificare l’appartenenza politica delle donne velata identificandole come militanti per la liberazione. In un contesto in cui le divisioni tra coloni e nativi aveva raggiunto livelli netti l’appartenenza politica delle donne veniva identificata a partire dai loro vestiti. ([[3 – cfr., Robert J. C. Young, {Introduzione al postcolonialismo}, Roma, Meltemi, 2005, p. 103
]])

{{A seconda della circostanza l’Algeria velava e svelava se stessa}}, giocando di sorpresa contro le ipotesi dell’occupante coloniale. Benché ai soldati francesi fossero stati consegnati ufficialmente dei volantini che chiedevano il rispetto delle donne musulmane, ci sono state numerose e ben documentate occasioni in cui i loro processi investigativi, la torture, finivano nello stupro, nella tortura e nell’assassinio delle persone sospette. A volte queste donne venivano messe in fila, denudate da chi le aveva catturate e fotografate in questo stato prima della loro morte. Si svelava l’Algeria, per gli occhi crudeli della civiltà francese. ([[4 – ivi, pp. 103-104
]])

{{Come in ogni guerra di occupazione il corpo delle donne diventa qualcosa di cui appropriarsi}}.
_ Tutte le guerre del passato e del presente a livello simbolico hanno sempre creato un legame tra la terra da conquistare e la donna da possedere, civilizzare, liberare. La stessa retorica è stata utilizzata, ad esempio, per inviare{{ soldati armati in Afghanistan a liberare le donne dal burqa}}: uomini europei e nordamericani armati pronti a liberare donne afghane dagli uomini locali attraverso le bombe, la violenza, lo stupro.

In Algeria la {{retorica della liberazione della donna da parte dei colonizzatori}} è stata smentita dalla storia: i pieni diritti delle donne e la scolarizzazione iniziarono ad essere conquistati solo con l’inizio della guerra di liberazione non prima.
_ Le donne velate sono state, dunque, il bersaglio e la preda di coloro che cercavano di imporre le ragioni del colonizzatore per spezzare via le resistenze locali.
_ Il sessismo, il razzismo, l’islamofobia (in Algeria leggi contro l’Islam crearono un regime di segregazione religiosa) in colonia furono armi per dividere, sottomettere e inferiorizzare i colonizzati.

{{La questione del velo in Francia}}

L’affare del velo continua in Francia nel 1989.
_ Tre ragazze che indossavano il velo vennero espulse da una scuola pubblica di Creil, il caso finì sulle prime pagine di tutti i giornali e portò ad un dibattito in parlamento. Al cuore del dibattito c’era la presunta minaccia all’identità nazionale francese e al laicismo di stato messo in crisi dall’immigrazione, dalla religione e dalle lotte degli immigrati e delle generazioni successive.

Molti di coloro che si sono opposti al velo l’hanno fatto in nome del laicismo. Ma la definizione di laicismo francese è poco chiara. Secondo Edgar Morin, il laicismo era una prospettiva critica contro il monopolio ideologico della chiesa cattolica.
_ Era stato proposto come uno sforzo pluralistico. Tuttavia oggi l’ideale pluralistico ha aperto la strada ad una versione del laicismo che maschera l’intolleranza dietro l’apparenza della scienza e del razionalismo. […]
_ L’influenza del velo è dovuta in gran parte al fatto che le ragazze indossavano il velo a scuola. Fin dal XIX secolo, il sistema educativo francese è stato il più importante meccanismo per la creazione dell’identità nazionale. L’istruzione laica – più che per garantire la libertà religiosa – era stata avviata per sottrarre l’istruzione dal controllo della chiesa cattolica: una chiesa i cui ideali erano contrari a quelli della Repubblica.
Eppure si tratta di un laicismo cattolico.{{ Le scuole pubbliche francesi fanno delle concessioni al cattolicesimo}}: alcune scuole hanno un cappellano; molte chiudono in anticipo di mercoledì, per permettere agli studenti di frequentare il catechismo; le vacanze scolastiche (e, di conseguenza, quelle nazionali) coincidono con le maggiori festività cattoliche. ([[5 – cfr. Nadine Thomas, “{{[Sui veli e l’eterogeneità: prospettive sull’affaire des foulards in Francia->http://www.sguardisulledifferenze.org/wp-content/uploads/2007/11/thomas_sui-veli.pdf]}}”, disponibile sul sito del Laboratorio Sguardi sulle differenze]])

La questione del velo del 1989 cadde in un clima politico di lotte che avevano come protagoniste le seconde generazioni di figlie e figli di immigrati provenienti dal Maghreb. Le proteste delle seconde generazioni si scagliarono contro la disoccupazione, il razzismo, le limitazioni nell’accesso all’istruzione superiore, le discriminazioni. In quegli anni nacquero anche grandi associazioni antirazziste come SOS Racisme vicina al Partito Socialista, che finì poi per deludere le aspettative del movimento.

Nel 2004, la questione del velo riesplose e il parlamento francese decise di sancire la svolta nel dibattito, approvando a maggioranza una legge che vieta di indossare segni religiosi all’interno delle scuole in rispetto al principio della laicità.
_ Il dibattito divise la sinistra e vide{{ parte del movimento femminista francese appoggiare la legge fatta da un governo di destra}}, mentre episodi di razzismo contro le donne che indossavano il velo iniziarono a moltiplicarsi:

All’inizio dell’anno scolastico nel 2004, quarantaquattro ragazze velate sono state escluse, senza peraltro poter valutare quante avessero deciso di non iscriversi e quale fosse {{lo stato d’animo di coloro che avevano “scelto” di togliersi il velo per poter proseguire gli studi}}.
_ In nome di un principio universale, quello di laicità, è stata messa in atto una discriminazione nei confronti delle cittadine francesi musulmane: è stato sottratto loro l’universale diritto all’istruzione. Non solo, ma la violenza della legge si è espressa anche nelle sue “sbavature”: zelanti funzionari si sono serviti della legge come pretesto per discriminare donne velate, dalle studentesse che hanno avuto problemi a iscriversi all’università, alle mamme a cui è stato vietato di accompagnare i figli in uscita scolastica, fino alla richiesta di carta di soggiorno rigettata a causa di un velo […]. ([[6 – 1.Chiara Bonfiglioli, op. cit, p. 85
]])

Viene allora da chiedersi: ma la laicità non dovrebbe essere la separazione tra religione e insegnamento, nel caso della scuola, e non la regolamentazione e il disciplinamento dei credi degli studenti? E se la scuola francese è laica perché il calendario degli insegnamenti è regolato in base alle festività e occorrenze cattoliche?

In Francia circa 4 milioni e mezzo di persone sono di fede musulmana.
_ L’islam è la seconda religione, ed è principalmente la religione degli immigrati e delle generazioni successive alla migrazione, provenienti dalle ex colonie francesi.

{{L’imposizione della laicità può velare, allora, il razzismo di stato che mira a colpire i cittadini che provengono dalle ex colonie del Maghreb}}. Lo stato interviene per etnicizzare i cittadini francesi dividendoli in arabi e non arabi e costruendo argomentazioni sulle differenze culturali irriducibili. Il velo diventa così secondo le logiche razziste di chi lo vieta segno d’appartenenza all’Islam fondamentalista e mancanza di integrazione repubblicana nella società francese.

Nel corso del 2004 e del 2005 il governo francese ha utilizzato misure politiche che sanciscono il legame con il passato coloniale, un passato ancora vivo che modella la politica francese attuale:

La legge antifoulard ha preceduto la risposta repressiva di un governo che per, “pacificare” le banlieues, ha instaurato per tre mesi lo stato di emergenza servendosi di una norma del 1955, promulgata durante la guerra d’Algeria.
_ Contemporaneamente alle rivolte si è aperta inoltre una vasta polemica sul passato coloniale francese anche in seguito all’approvazione della legge del 23 febbraio 2005, il cui articolo 4, alla fine ritirato dopo la protesta di storici ed associazioni, prevedeva di inserire una lettura apologetica del colonialismo all’interno di manuali scolastici e testi universitari.
Si comprenderà quindi come in Francia concetti quali “colonialismo”, “postcolonialismo”, “razzismo”, “storia e memoria”, siano direttamente legati a questioni d’attualità politica e sociale, e come anzi tale urgenza politica abbia contribuito a riaprire una discussione sulla costruzione del modello nazionale francese attraverso il processo di espansione coloniale, e sull’immaginario che tale processo ha inevitabilmente prodotto. ([[7- ivi, pp. 82-83
]])

Non stupisce allora che in un paese come la Francia, dove {{la scuola vorrebbe dare una visione civilizzatrice del colonialismo}}, ragazze che non si sentono da ciò rappresentate, decidano di mettersi il velo rivendicando visibilità contro la norma che le esclude.
Eppure:

[…] le ragazze velate sono state descritte sia come vittime, oppresse da una cultura o da una famiglia retrograda, sia come complici (sotto influenza, manipolate) di gruppi fondamentalisti islamici.
_ La legge rappresenterebbe un baluardo contro il fondamentalismo, dato che le ragazze velate a scuola costituirebbero una minaccia per le ragazze non velate che hanno scelto la modernità, ovvero l’emancipazione repubblicana.

Descrivendo le ragazze velate come inevitabilmente oppresse, la famiglia musulmana come un santuario di tradizione, e i giovani musulmani come inevitabilmente oppressori, intrappolati in una virilità estrema – violenti, “velatori”, violentatori – i media e le forze politiche sembrano voler riproporre il diritto di sguardo esercitato nelle colonie.{{ Il velo è stato letto inequivocabilmente come segno di oppressione}}, indipendentemente dal fatto che numerosi studi abbiano dimostrato il significato soggettivo plurimo che esso può rivestire, e la specificità storica del velo nel contesto francese.

In una prima ricerca, nel 1994, erano stati {{individuati tre tipi di veli}}: il velo tradizionale delle anziane immigrate di prima generazione, il foulard delle adolescenti, usato per negoziare spazi di libertà e mobilità e per conquistare la fiducia della famiglia, ed il velo “militante” di giovani donne, che costituirebbe una rivendicazione di autonomia culturale, in risposta al razzismo e alla stigma sociale. In generale gli studi e le interviste apparsi in concomitanza alla legge hanno mostrato come il velo sia frutto nella maggior parte dei casi di una scelta meditata, reversibile, scelta che esprime il tentativo di conciliare multiple identità ed appartenenze (francesi e musulmane) e di marcare la propria solidarietà nei confronti della comunità di origine. ([[8 – ivi, pp. 84-85
]])

Sul velo come libera scelta indossato per rivendicare identità ed appartenenze multiple insistono le femministe che fanno parte del [Mouvement des Indigènes del la République->http://indigenes-republique.org/ ]: un movimento di figlie e figli dell’immigrazione originaria dalla ex colonie francesi. Les Indigènes hanno rappresentato l’esperienza più avanzata e radicale di autorganizzazione di terze e quarte generazioni in Francia. Ciò che li caratterizza è un discorso a tutto tondo sul passato e sul presente coloniale francese e sulla lotta al razzismo. ([[9 – cfr. [http://indigenes-republique.org/spip.php?rubrique7->http://indigenes-republique.org/spip.php?rubrique7] per la sezione femminista del sito
]])

{{Le femministe “indigene” sono una componente del pensiero femminista contemporaneo}} che lega nelle proprie analisi razzismo e sessismo. Se in un certo femminismo il genere è l’unica categoria d’analisi che struttura i rapporti di potere e sottomissione tra gli esseri umani, le femministe indigene, ereditiere delle femministe africane americane, delle femministe chicane e delle femministe postcoloniali, sono qui a ricordarci, che nella strutturazione del genere la classe, la “razza”, la nazionalità che si ha in tasca, la religione, contano e che il {{soggetto monolitico donna non esiste ma è un invenzione di quel femminismo bianco e borghese che si erge ad universale}}. Quel femminismo che identificando le ragazze velate come vittime del patriarcato il 6 marzo 2004 a Parigi, le ha sbattute fuori dal corteo organizzato in occasione della giornata internazionale della donna.

L’affare del velo dimostra come il razzismo sia un’arma capace di dividere chiunque anche i movimenti che lottano per cambiare o migliorare il mondo.
_ In Italia il razzismo oggi è lo strumento maggiormente utilizzato dalla destra al potere, strumento che sta contaminando a fondo la società italiana. Anche in Italia l’Islam in quanto religione degli immigrati è sotto attacco. La Lega Nord e la destra in generale sono sempre in prima linea contro l’Islam, impedendo fisicamente la costruzione di moschee, ad esempio, o conducendo discorsi apertamente islamofobi che insistono, inoltre, sulle radici cristiane dell’Italia, oppure attraverso campagne fortemente razziste.

La{{ sinistra italiana dal suo canto sconta una completa impreparazione teorica e di azione sul piano dell’antirazzismo e della lotta all’islamofobia}}.
Se azioni di lotta sono quanto mai necessarie contro la deriva razzista dell’Italia contemporanea, allo stesso tempo è necessario conoscere, capire, studiare le storie dell’immigrazione, il valore della religione per l’immigrazione, la storia del razzismo, e del colonialismo per fare solo alcuni esempi.
_ Questo articolo, vuole essere un contributo per dare visibilità a ciò che spesso rimane nell’ombra.