Il mio intento è fare, attraverso le interviste, una fotografia dei “contenenuti” di questo nostro movimento nel 2011, dialogando con quelle che conosco e stimo. Comincio con Lidia Cirillo questa mia “fotografia del Movimento 2011″ .

La difficoltà di trovate obbiettivi unificanti, l’impossibilità di organizzare lotte unitarie, le mille contrapposizioni che si creano anche su argomenti banali mi hanno sempre stimolato a cercare una analisi che mi permettesse di capire, di darmi una spiegazione. Le interviste sono per me uno strumento di confronto tra le varie realtà che compongono la ricca galassia del movimento femminista e lesbico.

{{Lidia Cirillo}}, è la prima femminista che ho conosciuto, era l’estate del 1971: è stato innamoramento politico a prima vista e ancora non mi è passata.. Quando sono confusa, indecisa faccio il suo numero di telefono e posso contare sempre sulla sua grande esperienza e profondità politica, quando non ci arrivo la calda voce di Lidia mi dà quell’articolazione dialettica in più che mi permette di superare l’ostacolo o di ritrovare la strada della tolleranza e della pazienza smarrite nella militanza frustrata dei giorni più bui.

{{Che bilancio fai delle lotte femministe ?}}

Bella domanda, a cui però non è possibile rispondere negli spazi concessi a un’intervista. Riducendo all’osso la risposta e con il rischio di alimentare equivoci, cercherò di rispondere brevemente.
_ Le lotte femministe sono state fondamentali per cambiare la posizione delle donne in quasi tutte le società; un movimento femminista c’è perfino in Arabia Saudita, dove le donne vivono nella peggiore delle prigioni. Bisogna essere cieche per non riconoscere l’ascesa delle donne, la loro presenza sempre più massiccia nei movimenti, la loro domanda di libertà, che è una delle ragioni della femminilizzazione del lavoro.
_ Mi pare però che nei bilanci delle lotte femministe si corrano spesso due rischi opposti. Prima di tutto il trionfalismo: il patriarcato è morto, la tematica dell’oppressione connota il vetero-femminismo, le donne sono a un passo dal poter essere le nuove padrone del mondo ecc. ecc. Questi rassicuranti giudizi sembrano avere l’obiettivo di spegnere il conflitto. “Tutto va ben Madama la Marchesa” e la lotta è cosa in ultima analisi poco femminile.
_ Si può fare però anche l’errore opposto : continuare a battere sul solo tasto dell’oppressione, senza valorizzare il suo rovescio. E il rovescio è il rafforzamento della soggettività delle donne, il potenziale rivoluzionario che essere esprimono, la loro capacità di critica dell’esistente.
_ Le due cose sono inscindibili. La sopravvivenza di un’archeologia del patriarcato e la permanente condizione di svantaggio delle donne sono la ragione per cui esse continuano a esercitare la critica e il conflitto e in questa lotta cresce il loro senso di sé. Tutti i soggetti di liberazione si rafforzano, cambiano, crescono finché continuano ciascuno a proprio modo a confliggere.

{{Qual è lo stato di salute del femminismo ?}}

Anche qui bisogna far ricorso a una vecchia signora di altri tempi della cultura, la dialettica. Come “Quaderni Viola” abbiamo tentato un paio di volte una mappatura dei gruppi femministi in Italia. Si tratta di un mondo sommerso di inaspettate dimensioni, frammentario e fatto di piccole unità che talvolta nascono e muoiono nel giro di pochi anni senza lasciare traccia. Questo ha reso i tentativi di mappatura quasi una fatica di Sisifo e comunque non alla portata delle nostre forze.
In questo universo deflagrato c’è di tutto dalle posizioni più moderate alle più radicali. Se lo sguardo dall’Italia si sposta al mondo intero, si possono osservare i fenomeni più inattesi e le convivenze più strane. _ Nella Marcia Mondiale delle Donne, che nel 2000 godeva dell’adesione di circa 6000 gruppi femminili e femministi (i gruppi femminili esprimono spesso una sorta di proto-femminismo), convivevano guerrigliere e suore, intellettuali e cooperative contadine. Uno dei documenti femministi più radicali che abbia mai letto in vita mia è stato redatto dall’associazione delle suore cattoliche negli Stati Uniti. Ogni paragrafo della denuncia delle burocrazie vaticane terminava sempre con la stessa invettiva “Guai a voi, uomini del Vaticano ipocriti!”
_ Tuttavia questo potenziale continua a essere in gran parte sommerso e utilizzato per cambiare il mondo solo in piccola parte. Le ragioni sono in parte obiettive e legate alla diversità delle condizioni femminili. In parte dipendono da un fenomeno analogo a quello della burocratizzazione del movimento operaio. Il femminismo non produce burocrazie, ma ceti intellettuali capaci di influenzare fortemente l’agire delle donne per sé e che si muovono con logiche specifiche, particolari, finalizzate al proprio agio materiale e psicologico.

{{Che cosa significa per te essere femminista?}}

Posso rispondere spiegando come e perché sono diventata femminista. Mi sono iscritta al Partito Comunista da giovanissima, dopo le manifestazioni contro il governo Tambroni (1960) che si conclusero con un bilancio di ben otto morti e a cui avevo spontaneamente partecipato. Nella mia adesione al PCI, da cui sarei uscita poi nel 1967, c’era prima di tutto un movente antifascista. Ma c’era anche un forte desiderio di uscire dalla vita angusta di donna del Sud, di essere come gli uomini, di conquistare i miei spazi di libertà e dignità. Il femminismo è arrivato, quando mi sono resa conto che nel partito vigevano norme e logiche non diverse da quelle del resto della società. C’era una “questione femminile” sospesa. E una questione sospesa c’era anche nei movimenti rivoluzionari del ’68, a cui avevo aderito dopo la mia uscita dal PCI. Nei primi anni Settanta cominciai a frequentare gruppi femministi; dagli anni Ottanta a studiare e a pensare argomenti legati al femminismo e alle donne.
_ Che cosa significa per me oggi essere femminista? Prima di tutto la consapevolezza di capire del mondo cose che chi non ha attraversato questa esperienza non comprende. Alla mia età la libertà personale l’ho conquistata da un pezzo, quella sessuale non mi interessa più, le discriminazioni le ho combattute e (nei limiti del possibile) vinte. Il femminismo oggi mi consente quello che Lukacs chiamava “il freddo piacere di conoscere”.

{{Che valore dai al separatismo ?}}

Vengo da una scuola di pensiero femminista che distingue tra autonomia e separatismo. L’autonomia, cioè l’auto- organizzazione delle donne è vitale; senza auto – organizzazione non c’è femminismo possibile. Il separatismo è un’attitudine presente spesso nel femminismo storico, quello cioè che ha il merito di avere praticato l’autonomia, a leggere le relazioni sociali con la sola griglia di lettura del sesso o del genere, separando la vita delle donne reali dalle connotazioni di classe, di cittadinanza ecc. In realtà non è possibile comprendere la natura delle relazioni sociali, prescindendo dalle “intersezioni”: una condizione femminile è sempre determinata da una posizione di classe, dall’essere migrante o nativa, eterosessuale o lesbica.
_ Anche qui si tratta, nelle pratiche, di tenere conto della complessità del reale. Io mi considero una femminista anticapitalista, antisessista, antirazzista ecc. , ma so che con queste connotazioni non si nasce e che esistono movimenti di donne che possono contenere in se stessi una carica trasformatrice o addirittura rivoluzionaria a prescindere dai livelli di consapevolezza. Per far crescere questi livelli, prenderne settariamente le distanze non è la pratica migliore.
_ Inoltre, pur essendo impossibile una trasversalità permanente, esistono momenti della storia in cui una trasversalità, comunque coniugata, è stata possibile. Vedi per esempio la lotta per il diritto a votare e a essere elette, in cui agirono contemporaneamente (se non insieme) liberali, cristiane e rivoluzionarie marxiste.

{{Puoi dirci qualcosa sul gruppo di cui fai parte?}}

I “Quaderni Viola” sono una collezione di tascabili, ciascuno con una redazione diversa e composita, con l’obiettivo di spiegare in maniera semplice problemi complessi che hanno a che fare con il femminismo o che le femministe dovrebbero conoscere. Veniamo da organizzazioni politiche e sindacali diverse, ma apparteniamo più o meno tutte a un’ area di politica radicale, di sindacalismo conflittuale e di movimento. Per esempio l’ultimo quaderno, quello sulla crisi del debito, è il prodotto della discussione di una ventina di donne (me compresa), tutte dell’area che ha lanciato il primo ottobre la campagna “Non paghiamo il debito”. Altre redazioni hanno messo insieme donne con altre appartenenze, ma le idee sono comunque simili.