Le senatrici dell’Unione hanno voluto segnare di concretezza l’8 marzo presentando in conferenza stampa (al Senato, il 6 marzo) un disegno di legge e valorizzando l’impegno comune delle parlamentari di Camera e Senato per un dispositivo di legge semplice ed efficace che tuteli lavoratori e lavoratrici, in particolare queste ultime, al momento delle assunzioni. L’ ’iter legislativo per {{“disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie del prestatore d’opera”}} comincia infatti alla Camera, dove la proposta di legge (n. 1538, prima firmataria Marisa Nicchi) è stata presentata nell’agosto scorso ed è alla Commissione Lavoro da novembre ; successivamente, la proposta viene raccolta e rilanciata al Senato da Silvana Pisa con il disegno di legge n. 1248 (giunto da poco anch’esso all’esame della Commissione lavoro). Si tratta di una legge – è stato sottolineato nella conferenza stampa, a cui era presente anche Marisa Nicchi che ha avviato l’iter legislativo – con il pregio della semplicità e della chiarezza ma anche con un alto valore simbolico:{{ “una piccola norma” a protezione dei diritti e quindi della libertà di lavoratori e lavoratrici, ma soprattutto a protezione del diritto alla maternità}}.

“La richiesta di ‘dimissioni firmate in bianco’ al momento dell’assunzione, ovvero nel momento in cui il rapporto di forza tra i contraenti è a favore del datore di lavoro – si legge nella relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera -, è una pratica vessatoria che mette la lavoratrice e il lavoratore nell’impossibilità di far valere i propri diritti e la propria dignità, pena la certezza di un licenziamento in tronco, ammantato dalla finzione della volontarietà.
Tale pratica riguarda in particolare le donne, ma non è un fenomeno esclusivamente di genere ed è legata anche a fenomeni fiscali: si usa per esempio al fine di sgravare l’impresa dal pagamento dei periodi di assenza dal lavoro per imprevisti quali infortuni o malattia.”

{{Il fenomeno è noto ma sommerso e quindi le stime sono difficili.}} Riporta la relazione sopra detta: “Secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della Cgil, ogni anno circa 1.800 donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie. Purtroppo si contano in poche decine i casi in cui l’onere probatorio (che è in capo alla lavoratrice) si traduce in una prova (scritta o testimoniale) in grado di rendere nullo l’atto di cessazione del rapporto. Un’indagine del 2002, svolta dal Coordinamento delle donne delle ACLI, quantifica in almeno il 25 per cento le false dimissioni volontarie (dati {Dimissione per maternità. Storie e fatti}, dossier ACLI 2003), connesse quasi sempre a maternità. È opportuno citare la ricerca {Maternità, lavoro, discriminazioni}, pubblicata in volume da Rubettino editore e svolta dall’Area ricerche sui sistemi del lavoro dell’ISfol su incarico dell’Ufficio nazionale della consigliera di parità. II lavoro si avvale, tra le molte fonti utilizzate, di una inedita indagine Isfol Plus, condotta su un campione, rappresentativo per area geografica, di 25.000 donne di età compresa tra i quindici e i sessantaquattro anni per analizzare la partecipazione femminile nel mercato del lavoro rispetto al tema della maternità. Nella ricerca si scrive testualmente: ‘diverse sono anche le forme di mobbing a seconda del genere: ad esempio l’esclusione delle donne da progetti importanti; la richiesta, più o meno velata, dei datori di lavoro che invitano a posticipare la scelta di maternità o comportamenti a vario titolo scorretti di questi ultimi, che arrivano a fare firmare dimissioni in bianco’”.

Da parte sua, la relazione del disegno di legge al Senato aggiunge : {{“Per le lavoratrici, la sottoscrizione preventiva di dimissioni in bianco rappresenta un ulteriore disincentivo nei confronti della maternità e ciò appare paradossale in un Paese con forti problemi di natalità e con ancora un insufficiente tasso di attività lavorativa rispetto ai parametri europei”.}}

Per rendere impraticabile il ricatto delle “dimissioni volontarie in bianco”, vengono proposti {{due soli articoli}}: {{vincolano la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all’utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e al tempo stesso l’utilizzabilità solo in prossimità della effettiva manifestazione della volontà di chi lavora di porre termine al rapporto di lavoro}}. Si prevede la possibilità di reperire tali moduli anche per via telematica tramite il sito Internet del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, oppure tramite patronati e organizzazioni sindacali dei lavoratori, che dovrebbero essere coinvolte in ogni caso nella messa a punto delle procedure.

Rendere visibile in modo certo e legale il processo delle dimissioni volontarie è dunque l’obiettivo attraverso cui rompere il silenzio e quindi i ricatti. Nel momento in cui temi quali “valore della famiglia” e “decrescita del tasso di natalità” vengono intrecciati e utilizzati ideologicamente nel dibattito politico italiano, il dispositivo proposto diventa di fatto un contributo alla tutela della maternità sul piano dei diritti, in particolare alla conciliazione tra lavoro e responsabilità familiari.