La recente crescita di aborti clandestini tra le fasce femminili più deboli, che sembra riportarci agli anni bui precedenti all’approvazione della legge in cui infezioni ed emorragie erano l’esito frequente di interventi abortivi eseguiti da mani inesperte con mezzi rudimentali, in un clima di solitudine e colpevolizzazione delle donne costrette a ricorrervi.Una crociata mediatica è in corso contro la legge che regola l’interruzione volontaria della gravidanza. E’ un attacco che non appare affatto finalizzato a operare modeste correzioni o a migliorare l’applicazione della legge, ma a mettere in discussione – attraverso un controllo di fatto del principio di autodeterminazione della donna rispetto alla propria gravidanza – la distinzione tra sfera civile e religiosa e dunque il principio di laicità dello Stato e la sua autonomia rispetto alla Chiesa.

Ancora una volta c’è bisogno, purtroppo, di ricordare che le conquiste di civiltà e democrazia non sono mai definitive e hanno bisogno di essere continuamente vigilate e difese.
_ In Italia la legge 194 del 1978 ha riconosciuto alla donna il diritto di decidere della “propria” gravidanza,
all’interno di limiti e condizioni precise. Frutto di un lungo dibattito politico e di un confronto tra società
civile e istituzioni, la legge 194 è una “conquista di civiltà”, come tale riconosciuta dal popolo italiano con il
referendum del 1981 nel quale fu approvata da una schiacciante maggioranza di votanti (68%).

Essa ha
debellato l’aborto clandestino, con tutte le sue tragedie, e prodotto una drastica diminuzione del numero di
interruzioni di gravidanza volontarie.

{{L’attacco alla cultura della maternità consapevole e responsabile}}, nonché alla dignità e alla salute della
donna, valori che ispirarono la legge, ripropone un’antica concezione patriarcale del corpo femminile come
mero contenitore passivo dell’embrione.

{{Il fronte antiabortista}}, nell’attribuire a quest’ultimo, fin dal
momento della sua prima formazione, lo status di persona e di cittadino si serve di tale discutibile
costruzione teorica per negare alle donne diritti individuali fondamentali, come quello di disporre del proprio
corpo e della propria persona.
_ La gravidanza si configurerebbe come una fase di “minorità” della donna, considerata alla stregua di una criminale se mostra di non condividere tale limitazione dei propri diritti fondamentali.

Alla violenta campagna ideologica in atto contro la 194 corrisponde, per altro, una recente {{crescita di aborti
clandestini tra le fasce femminili più deboli}}, che sembra riportarci agli anni bui precedenti all’approvazione
della legge in cui infezioni ed emorragie erano l’esito frequente di interventi abortivi eseguiti da mani
inesperte con mezzi rudimentali, in un clima di solitudine e colpevolizzazione delle donne costrette a
ricorrervi.

Una messe di indagini e ricerche ci dicono che la proibizione legale non ha mai prodotto l’esito di ridurre le
pratiche abortive, ma solo quello di respingerle in una terra di nessuno al di fuori di ogni possibile controllo
delle istituzioni e di ogni sostegno materiale e psicologico alle donne, nel proliferare di speculazioni e
guadagni illeciti da parte di medici senza scrupoli.

Solo un {{maggiore impegno istituzionale sul terreno della
contraccezione}} da un lato e del {{sostegno alla maternità desiderata}} dall’altro – impegno, per altro, indicato
con chiarezza dalla legge 194 – sono strumenti efficaci a contenere e ridurre il fenomeno dell’aborto, e al
tempo stesso a promuovere la salute e la dignità delle donne e degli stessi bambini.

L’interruzione volontaria della gravidanza consentita dalla legge 194 non può essere confusa con altre
pratiche abortive diffuse in alcuni paesi del mondo come frutto di politiche demografiche autoritarie.
_ {{L’aborto selettivo}}, imposto per selezionare embrioni maschili, è una pratica che affonda le radici nell’ordine
patriarcale, nel disvalore riconosciuto alla donna come persona e si colloca sullo stesso piano delle proposte
di chi oggi vuole negare l’autodeterminazione femminile.

Su questi temi la Società Italiana delle Storiche si assume il compito di promuovere momenti di riflessione e di confronto, nel rispetto delle differenze etiche e religiose e nella convinzione che queste possano essere
ricomposte solo entro uno spirito di laicità, respingendo ogni forma di intolleranza e di integralismo e ogni
strumentalizzazione politica e pre-elettorale.

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