Riceviamo e pubblichiamo l’edizione speciale di Delt@news del 27 dicembre dedicata alla tragica notizia dell’uccisione di Benazir Bhutto.

(Roma) {{Si chiude con una notizia tragica questo 2007}} non scevro di tragedie, alle 14.15 circa ora italiana la notizia è rimbalzata ieri sui media di tutto il mondo: l’ex premier pakistana, Benazir Bhutto è stata uccisa da un kamikaze appena concluso un comizio. Raggiunta al collo e al petto da colpi di pistola sparati un uomo armato, che poi si è fatto saltare in aria, mentre era a bordo della sua macchina,

{{Prima donna a guidare il governo di un Paese islamico, per due volte prima Ministra, per due volte allontanata con l’accusa di corruzione e tornata dall’autoimposto esilio lo scorso 18 ottobre}}; Benazir Bhutto era già sfuggita a un attentato suicida avvenuto nella stessa giornata, quando due kamikaze uccisero circa 140 persone. Nata nel 1953, era la figlia maggiore dell’ex premier Zulfikar Ali Bhutto, anche lui coinvolto in uno scandalo per corruzione nel 1975 e nel 1979 condannato a morte dal regime del generale Zia ul-Hak; l’anno successivo il fratello Shahnawaz venne ucciso in Francia in circostanze mai chiarite. Nel 1988 le prime libere elezioni dopo oltre un decennio di dittatura videro trionfare il Partito Popolare Pachistano: a soli 35 anni Bhutto venne nominata a capo di un governo di coalizione. Nel 1990 dovette abbandonare l’incarico dopo essere stata accusata – ma mai processata – per una presunta corruzione; a succederle fu {{Nawaz Sharif}}, colui che avrebbe dovuto essere il suo principale rivale nelle elezioni del prossimo 8 gennaio.

{{Nel 1993 Bhutto venne rieletta ma allontanata tre anni dopo sempre per scandali legati alla corruzione, da lei definiti politicamente motivati e basati su documenti falsi}}. Suo marito Asif Ali Zardari venne arrestato e rilasciato solo nel 2004; dopo il golpe incruento del generale Pervez Musharraf Bhutto si era autoesiliata a Dubai. La crisi legata alla conferma di Musharraf alla carica di Presidente ha portato al ritorno nel Paese di Bhutto e Sharif. {{Bhutto aveva inizialmente raggiunto un accordo di principio per occupare la carica di Primo ministro sostenendo l’elezione di Musharraf}}: intesa saltata dopo la decisione del Presidente di dichiarare lo stato di emergenza nel paese per rimuovere l’unico elemento che potesse ancora sbarrargli la strada verso la conservazione della carica di Capo dello Stato, ovvero la Corte Suprema presieduta dal giudice Iftikhar Muhammad Chaudhry. La decisione di Musharraf gli ha permesso di ottenere il placet della Corte Suprema – passata in mano a giudici meglio disposti – ma, oltre ad una ricaduta negativa sui rapporti internazionali del Paese, ha provocato un irrigidimento ulteriore dell’opposizione, che già aveva protestato violentemente quando, nel marzo scorso, Musharraf aveva provato ad esautorare Chaudhry.

{{Bhutto aveva condannato fermamente il tentativo di esautorare Chaudhry e poi la dichiarazione dello stato di emergenza, facendo crollare tutti gli accordi.}} Poi l’ex premier ha accusato Musharraf – che dietro pressioni interne ed internazionali ha finito per revocare lo stato di emergenza il 3 novembre scorso – di aver già organizzato tutto il necessario per falsificare il risultato delle elezioni. Tuttavia Bhutto aveva deciso di partecipare al voto dopo aver discusso con Nawaz Sharif in merito all’ipotesi di un boicottaggio. In questa situazione tesissima, l’attentato kamikaze di ieri..

E’ stato {{il numero due di Al Qaeda}} Ayman Al Zawahiri ad ordinare l’uccisione del capo dell’opposizione in Pakistan. A riferirlo il principale portavoce dell’organizzazione terroristica Sheikh. Secondo Sheikh Saeed, l’assassinio è stato realizzato da un militante della cellula terroristica Lashkar-i-Jhanvi del Punjab.

Immediata {{la condanna del Dipartimento di Stato americano}}, per il grave attentato che è costato la vita ad almeno altre venti persone al termine di un comizio elettorale a Rawalpindi, città-presidio nella periferia di Islamabad. “Condanniamo certamente questo attentato che dimostra che c’è gente laggiù che prova ad interrompere la costruzione di una democrazia in Pakistan”, ha dichiarato Casey, il portavoce del Dipartimento.

Anche la Russia ha condannato fermamente l’attentato suicida, augurandosi che ora il governo del Pakistan riesca a prendere le misure necessarie per garantire la stabilità del Paese”, ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri russo Mikhail Kamynin
Tra le prime reazioni in Italia, quella del Presidente della Camera, Fausto Bertinotti: “Ancora una violenza distruttrice di vite e di umanità. Ancora una testimonianza politica stroncata dalla violenza. Ancora l`omicidio politico per distruggere con la persona una causa. Non ci si può arrendere alla violenza”. “Torna con l`indignazione per questo omicidio politico – aggiunge Bertinotti – la memoria di storie lontane che ci riportano alla nonviolenza. Andare ancora più avanti e più a fondo nella scelta della nonviolenza deve essere la nostra risposta all`intollerabile uccisione Benazir Bhutto”.

“Un fatto terribile, di una gravità inaudita, che potrà portare quel paese in una condizione di gravissima difficoltà. Credo che il governo pakistano debba fare una immediata chiarezza”, ha aggiunto il sottosegretario agli esteri {{Gianni Vernetti}}, intervistato da Radio Radicale. “Non e’ ammissibile – ha detto Vernetti – che il governo pakistano da quando Bhutto é rientrata nel paese non sia riuscito a garantire la sicurezza di una grande leader politica. Prima il gravissimo attentato a Karachi con centocinquanta morti, oggi questo attentato. Un fatto di una gravità inaudita. Noi chiediamo al governo pakistano immediati chiarimenti. Noi riteniamo assolutamente obbligatorio che quel governo dia un’immediata ricostruzione dei fatti, e che faccia immediata luce su questa vicenda”, ha concluso Vernetti.

“L’uccisione di Benazir Bhutto è una notizia terribile, questo vuol dire quanto è difficile riuscire a superare una situazione di violenza oramai radicata”. Padre {{Federico Lombardo}}, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, commenta così l’assassinio di Benazir Bhutto.
“Così si allontana la pace e non si riescono a vedere segni di pace – aggiunge il portavoce del Vaticano – in questa regione così travagliata”.
{{
I sostenitori della Bhutto}}, radunatisi intorno all’ospedale di Rawalpindi, hanno iniziato a intonare slogan contro il presidente Pervez Musharraf. “Cane, Musharraf cane”, hanno urlato in preda alla rabbia. I più esagitati hanno sfondato la porta in vetro all’ingresso principale del reparto di terapia intensiva, altri sono scoppiati in lacrime.

{{Barbara Pollastrini}}, Ministra per i Diritti e le Pari Opportunità, manifestando il suo cordoglio per l’uccisione dell’ex Premier del Pakistan, si dice profondamente addolorata per la morte di Benazir Bhutto. “La cecità dell’odio e del fondamentalismo ha nuovamente colpito un Paese già terribilmente segnato da quella piaga”. “Oggi a pagare il prezzo dell’odio – sottolinea Pollastrini – è una donna coraggiosa che si era battuta e continuava a battersi per le proprie convinzioni e per il futuro del proprio Paese. Ancora una volta è il legame tra democrazia e rispetto dei diritti umani a imporsi come la vera sfida che la politica deve affrontare su scala globale”.

{{Si teme ora che il Paese possa precipitare in una spirare di violenza senza precedenti}}.

Con la morte di Benazir muore anche la speranza di un cambio politico ed economico del Paese. Nei suoi recenti comizi elettorali, in vista delle elezioni del prossimo gennaio, {{Benazir aveva puntato tutto sul miglioramento economico del Pakistan e un adeguamento salariale per milioni di pachistani/e che vivono con soli due dollari al giorno}}. L’ex Premier, nei due governi che aveva presieduto negli anni ottanta e novanta, aveva facilitato l’ingresso di molte donne nella vita pubblica, in una società prigioniera delle tradizioni e di un fondamentalismo cresacente. Lei stessa aveva dovuto cedere a queste tradizioni, quando nel dicembre del 1987, appena due settimane dopo la prima vittoria elettorale e investitura come Primo Ministro, dovette sposare con Asef Ali Zardari, il ricco uomo d’affari scelto dalla madre come vuole la tradizione. ”Un prezzo personale che ho dovuto pagare nel tentativo di poter lavorare per il mio paese e la mia gente”, aveva detto in un’ intervista rilasciata nella sua casa di Dubai, negli anni dell’esilio volontario.

{{Benazir Bhutto non é la prima donna di potere di una dinastia ad essere assassinata}}. Il 31 ottobre 1984, una sorte analoga toccò all’allora premier indiana Indira Gandhi, l’unica figlia di Jawaharlal Nehru, erede della dinastia che ha segnato la storia indiana.

Benazir, rientrando lo scorso 18 ottobre nel Pakistan, {{sapeva di andare incontro alla morte.}} I terroristi l’ avevano accolta con un attentato, il più grave della storia del paese, che provocò la morte di 139 persone e il ferimento di altre 400 di oltre un milione di militanti del Ppp che si erano riuniti per accoglierla. ”Non ho vissuto fino alla mia età per lasciarmi intimidire dai kamikaze”, aveva detto solo qualche settimana fa, quando molti le consigliavano di lasciare il Pakistan e far rientro a Londra. ”Non dobbiamo lasciare che i terroristi uccidano con le loro bombe il sogno di un Pakistan democratico”, aveva detto appena pochi giorni fa ”I terroristi – erano state le sue parole – possono uccidere le persone, ma le loro idee soppravviveranno al terrore”.

{{Raitre ripropone oggi, alle 13.10, il programma ‘Il mio novecento’, che due anni fa aveva avuto ospite in esclusiva Benazir Bhutto}}, che in quell’occasione aveva rievocato la sua vita avventurosa, e per certi versi drammatica, di donna musulmana impegnata in politica. Aveva raccontato della sua famiglia, una delle più ricche del Paese, del padre influente uomo politico, degli amici numerosi e potenti, dei suoi studi prima ad Harvard e poi ad Oxford. Ricordava di quando fu costretta dalla madre ad indossare per la prima volta il burka e ringraziava ancora il padre che le permise di toglierlo. Fu grazie a lui che la giovane Benazir poté uscire dal cono d’ombra della sua condizione femminile in un mondo musulmano e affermarsi liberamente e senza pregiudizi. Fu grazie al padre che, seppure donna, cominciò a fare politica attiva e a seguirne la carriera fino a quando questi divenne Primo Ministro. E qui, al culmine del successo, il crollo: un violento colpo di Stato destituisce il padre. Benazir aveva ricordato quella notte, quando i carri armati circondarono la casa, il padre messo in carcere, gli amici in fuga, la solitudine fino alla condanna a morte del padre nel 1979. Poi l`esilio e il sogno della rivincita, del riscatto. Benazir non si diede per vinta. Tornò in patria, riprese in mano il partito del padre, si presentò alle elezioni, le vinse e divenne Primo Ministro. Ma poi fu destituita, sosteneva Bhutto, con accuse false e infamanti. Ancora la persecuzione, ancora l`esilio, ancora il sogno di un prossimo riscatto per lei e per tutte le donne dell`Islam. Un riscatto che ieri è finito nel sangue.

(Delt@ 27 dicembre 2007)