Quest’anno l’OltrEconomia festival di Trento – uno spazio autonomo significativo, costruito da associazioni, movimenti e centri sociali del territorio – è dedicato a Corpo e Territori. Fino al 4 giugno prova a indagare gli effetti dell’economia capitalista e neoliberista sui soggetti – singoli e collettivi – sacrificati sull’altare dell’economia finanziarizzata che possono diventare però soggetti del cambiamento. Si parla, dunque, del corpo delle donne e dei migranti, dei corpi comunitari e dei beni comuni. Tra gli ospiti, anche la scrittrice Patrizia Fiocchetti, che ha lavorato per anni con i rifugiati e al fianco delle donne “resilienti” iraniane, curde ed afghane. Nell’intervista realizzata poco prima dell’avvio del festival, spiega che abbiamo bisogno di una società aperta, dove il potere sia ripensato in chiave circolare, di condivisione, una società dove potersi finalmente confrontare senza calcare la miserabile e stantia scena del massacro dell’altro

Articolo di di Francesca Caprini*

Il 31 maggio è iniziato a Trento l’OltrEconomia Festival: cinque giornate – fino al 4 di giugno – in cui viene raccontata l’altra faccia dell’economia, quella dei movimenti sociali per la difesa dei beni comuni e dei diritti, quella alternativa, circolare, solidale. Quella insomma, di cui difficilmente sentirete parlare nel festival dell’Economia di Trento, che negli stessi giorni attraversa la città con incontri e convegni dedicati quest’anno al tema della sanità.

L’OltrEconomia festival è uno spazio autonomo costruito da associazioni, movimenti e centri sociali del territorio. Da quattro anni, nel Parco Santa Chiara nel cuore della città, accoglie economisti, pensatori, scrittori, attivisti ed artisti, e li mescola fluidamente in una sorta di costruzione politica e creativa che si oppone all’idea della conferenza frontale, del sapere calato dall’alto e deresponsabilizzato. Si è voluto provare a fare qualcosa di diverso, dove si parli di quello che tante e tanti agiscono nelle proprie lotte e resistenze, ma da cui gran parte della società si tiene lontana, per paura del confronto, dei dati, delle verità nascoste, del dover effettivamente prendere posizione. Quest’anno l’Oef è dedicato a “Corpo e Territori” e prova ad indagare gli effetti dell’economia capitalista e neoliberista su quei soggetti – singoli e collettivi – che necessariamente sono sacrificati sull’altare dell’economia finanziarizzata. Ma proprio perché vittimizzati e denigrati, diventano la risorsa del cambiamento. Parliamo del corpo delle donne, dei migranti; dei corpi comunitari, dei beni comuni. E partiamo da lì.

Il 2 giugno – dopo l’inaugurazione con l’economista Monica Di Sisto, vicepresidente di Fairwatch Italia e referente della campagna Stop TTIP Italia e il responsabile nazionale dell’Osservatorio sulla Repressione Italo Di Sabato, in un dialogo su “Libertà e giustizia sociale nel tempo dei populismi”, – è la giornata dedicata al genere, con workshop dedicati alla salute migrante, la presentazione del libro a cura di Raffaella Baritono “Femminismo senza confini”, e infine alle 17,30 la conferenza “Corpi nel conflitto”.

Fra i relatori – con il filosofo ed esperto di teorie femministe e queer, Federico Zappino, Luisa Del Turco, del Centro Studi Difesa Civile, ci sarà la scrittrice Patrizia Fiocchetti, autrice di “Variazioni di luna” (Lorusso Ed.), che per più di vent’anni ha lavorato con il Consiglio Italiano per i Rifugiati e in prima linea, al fianco delle donne “resilienti” iraniane, curde ed afghane ed attualmente collabora con la Cooperativa Noncello.

L’abbiamo incontrata, in attesa di ospitarla fra un paio di giorni all’OltrEconomia di Trento, per capire insieme a lei quali corpi e quali conflitti, in effetti, sono i soggetti del cambiamento del nostro tempo.

Stiamo vivendo un periodo di repressione che si esprime con un controllo capillare sui corpi, in una società immersa nel libero mercato. In questa parte del mondo”, spiega, “non c’è stata una vera rivoluzione radicale della donna, che continua ad essere al centro di un sistema di conflittualità che sta raggiungendo livelli terrificanti. E che si dispiega anche nella criminalizzazione di un altro corpo, quello dei migranti. Basti pensare al decreto Orlando – Minniti sull’immigrazione, che crea una disparità giuridica verso un gruppo di cittadini, già stigmatizzati. Continuiamo a vivere senza capire chi è veramente il nemico, schiacciando il povero sul più povero, il disperato sul più disperato. Per questo dobbiamo ampliare il respiro, percependo i corpi dei migranti non come invasori ma come uno stimolo al progredire. Anche noi, come individui ed individue, viviamo ogni giorno l’abuso del nostro corpo, fisico e metafisico. Dobbiamo chiederci cosa siamo noi donne rispetto alla società, e quali strumenti possiamo mettere in campo per andare oltre l’erotizzazione continua dei nostri corpi, mettere di nuovo al centro il pensiero”.

Nel libro Variazioni di Luna [Ed. Lorusso] racconti la tua esperienza di 13 anni di militanza con le resistenze al regime khomeinista in Iran, insieme alle rivoluzionarie afghane di Rawa e con le combattenti curde dell’Unità di Protezione delle Donne (Ypj). Cosa spinge le donne di tante parti del mondo a prendere la parola – o addirittura le armi – per cercare di cambiare il sistema che opprime loro e l’intera società in cui vivono?

Ciò che accomuna tutte queste donne è l’aver vissuto da sempre in regimi o sistemi con profonde radici patriarcali, che sono diventate politica e sono state inserite – pensiamo in Iran o in Afghanistan – all’interno degli stessi corpi legislativi. Queste donne sono cresciute in organizzazioni che le hanno messe sempre agli ultimi gradini, e fin da giovani hanno dovuto combattere per avere un minimo di riconoscimento personale. La loro è una battaglia che è partita da una lotta individuale, e poi si è trasformata in un processo di presa di coscienza collettiva che è durato anni prima di cambiare la prospettiva generale. Il peggior pericolo ce lo abbiamo dentro di noi, che anche in Italia, in Europa, cresciamo a pane e patriarcato. Dobbiamo capire che la questione della donna viene scritta mentre la Storia viene fatta, nel momento della liberazione di un popolo. E’ successo anche da noi durante la Seconda Guerra Mondiale, salvo poi rifinire tutte a casa. In regimi misogini come quelli jihadista in Afghanistan, quello iraniano, il Daesh, le donne sono un fattore destabilizzante delle regole mondiali. Siamo noi che possiamo mandare all’aria quel tipo di sistema.

E in Occidente?

Non abbiamo fatto questo tipo di salto. Pensiamo all’aborto, che dobbiamo difendere ancora oggi. Noi donne occidentali abbiamo tenuto in piedi il sistema capitalista, le donne kurde lo stanno scardinando, a partire dalla difesa del territorio. Noi non abbiamo più niente da insegnare ai paesi del Sud e dell’Est del mondo, dobbiamo cominciare a cambiare la nostra prospettiva, perché stiamo tornando indietro su tanti temi fondamentali. e ci troviamo ancora con un modello sociale in cui le donne si devono appoggiare sempre a qualcuno per poter governare la loro vita. Il primato della finanza sulla politica si basa proprio su questo sfilacciamento delle comunità, in cui è perso un grande valore che è quello della sorellanza. Abbiamo una grande responsabilità perché da noi passerà la liberazione del modello maschile, che anche gli uomini sono costretti a subire.

Che tipo di economia possono costruire le donne e quale rapporto con il potere devono mettere in campo?

Un’economia sociale, della redistribuzione e della condivisione dei beni, come si sta facendo in Rojava. Un’economia che viene dal basso, con attenzione alla natura, alla salvaguardia della terra e contro ogni sfruttamento. Bisogna recuperare i pensieri precapitalistici per costruire di nuovo una società aperta e non chiusa ed individualista, dove il potere deve essere ripensato in chiave circolare, di condivisione, in cui poterci confrontare senza doverci massacrare. Noi donne siamo la chiave del cambiamento, sapendo che battaglie civili sono per tutte e per tutti.

*associazione Yaku.eu