Tra gli appuntamenti in streaming di questo secondo 8 marzo in età Covid, Donne tipografe, donne editore, donne per la storia del libro, organizzato dall’Associazione Italiana Biblioteche (AIB) di Campania, Liguria e Sicilia, è stato tra le occasioni più interessanti sul portato delle donne in ambito autoriale ed editoriale, del passato e del presente.

Giovani, meno giovani e giovanissime le relatrici, coordinate da Simonetta Inserra – Maria Pia Cacace, Roberta Cesana, Valentina Sestini e Valentina Sonzini– con apporti originali, di ricerca e di progetti; già sollecitate a nuovi appuntamenti su bibliotecarie, traduttrici, disegnatrici e altre figure dell’orizzonte librario nella produzione cartacea e digitale.

L’AIB, fondata nel 1930, e oggi presieduta da Rosa Maiello, s’impegna per la promozione dei servizi bibliotecari del Paese e il riconoscimento di una professione che avviene in luoghi in cui, nel primo Novecento, “alle donne era precluso l’ingresso se non accompagnate da un uomo(R. Cesana).

Sarebbe bene ricordarlo a noi stesse e alle più giovani chela soglia di una libreria o di una Biblioteca è una linea di confine. Leggere un libro è incontrare una voce, talvolta di un gruppo che si è scelto, o è stato scelto, su precisi criteri d’affinità o condivisione; l’ascolto fa crescere nella consapevolezza e nei saperi perciò è ancora in molte parti del mondo ostacolato o vietato al genere femminile.

Boko Haram, organizzazione jidaista del Nord della Nigeria, significa letteralmente “l’istruzione occidentale è proibita”… specie alle donne, condannate all’analfabetismo.

Tra le relatrici di Donne tipografe, donne editore, donne per la storia del libro, Valentina Sestini che ha citato Maria Milagros Rivera Garretas (Nominare il mondo al femminile. Pensiero della donna e teoria femminista,1998), per ricordare che “la storia delle donne è di per sé una storia. La memoria di quello che le donne hanno lasciato nel mondo. Liberare questa memoria fatta di tante vite da registrare, come avrebbe detto Virginia Woolf, è secondo me l’avvio più forte che possiamo avere in questo momento.”


Molto coinvolgente l’intervento di Maria Pia Cacace sulle tipografe attive a Napoli tra la fine del ‘400 e del ‘500 e, in particolare, su Caterina Di Silvestro succeduta, nel 1517, alla direzione della bottega all’Annunziata aperta dal marito, il tipografo tedesco Sigismondo Mayrattivo a Roma (dal 1494), e a Napoli (dal 1504). Lo sposò probabilmente nella città partenopea e le fortune della bottega arrivarono con la commissione del Vicerè spagnolo per la pubblicazione di opere classiche tra le quali quelle di Giovanni Pontano e Jacopo Sannazaro (ndr. Pietro Manzi, La tipografia napoletana del ‘500, Annali di Sigismondo Mayr, biblioteca di bibliografia italiana, vol. 62, 1971).

“Caterina compare in un atto notarile due mesi prima della vedovanza, dichiarandosi debitrice verso Vincenzo Candela, di Agello, di circa 27 ducati per le 17 risme di carta bastarda ordinate da Sigismondo e già consegnate all’apoteca di vicus de sanguinis, lei impegnandosi a pubblicare entro novembre. Questo vuol dire che le ultime due opere pubblicate nel 1517(Agricoltura di Antonio Venuti, e Utili istruzioni di Giovanni Galluccio), sono state firmate da Sigismondo molto probabilmente per motivi contrattuali, mentre sono state curate da Caterina.” La relatrice la descrive come donna risoluta, consapevole del suo ruolo sociale che (forse) apprendendo il mestiere dal marito se n’è impadronita alla perfezione, agendo ruoli attivi anche prima della vedovanza, dopo la quale dimostrò “ottime doti manageriali anche nella capacità di scelta dei collaboratori e dell’organizzazione del lavoro.(…) Una donna dalla personalità forte, anche molto benvoluta se è riuscita a stampare, a sua firma, dalla fine del1517 al 1525, quando è scomparsa,probabilmente durante l’epidemia di peste.”

Tra i principali meriti professionali di Caterina Di Silvestro: introdurre novità nella sua tipografia (una delle quattro attive a Napoli), sia per attenzione verso la sua professione che per il contributo di manovalanza occasionale e non solo locale, che le faceva circolare.

“Fu la prima a introdurre, a Napoli, l’uso del corsivo inventato da A. Manuzio nel 1501;“cambiò i caratteri tipografici del suo corredo d’officina, rendendo le pubblicazioni ricercate e pregevoli per apparato tipografico e illustrativo, con raffinate xilografie su gran parte del testo.(…) ebbe due marchi di fabbrica, uno con la Madonna di Loreto e l’altro con il suo monogramma (…) La sua autorevolezza le permise di mantenere aperta la bottega, per anni, senza risposarsi. Credo che sia stata anche una questione di orgoglio femminile. Era l’unica donna, a Napoli, capace di camminare da sola, senza ricorrere all’appellativo di vedova di…o di moglie di…; (…) puntava a un riscatto personale e della categoria e anche Machiavelli, di passaggio a Napoli, si rivolse a Caterina, esperta nell’analisi delle carte, cioè nel calcolo preciso della fornitura di carta, all’epoca molto costosa, per una pubblicazione.”

Il matrimonio del 1524 con Evangelista di Pavia (1524), un ex lavorante occasionale, collaboratore di Sigismondo, fu, per Cacace, dettata da una strategia di sopravvivenza in un periodo in cui la pestilenza diminuiva il lavoro. L’uomo, tornato a Napoli, aveva aperto una sua tipografia che poteva farle concorrenza. Evangelista, vedovo nel 1525, “… firmò per altri due anni come erede della tipografia di Sigismondo Mayer, non di Caterina, e questo la dice lunga!”

Nelle conclusioni, dopo l’intervento di Roberta Cesana (a seguire), Simonetta Inserra ha ricordato la molta ricerca che ancora rimane da fare sulle donne impegnate in ambiti editoriali e tipografici, comprese le correttrici di bozze, le disegnatrici e altre figure professionali.

Nella chat, Raffaele De Magistris ha informato sulla “recente intitolazione del Largo Maria Giuseppina Castellano Lanzara alla coraggiosa Direttrice della Biblioteca Universitaria di Napoli, nei pressi della ‘sua’ Biblioteca.”

In altra, che “l’ICCU sta studiando le modalità per collaborare con wikimedia per le voci d’autorita’; al momento è comunque possibile inserire i nomi (da sposata, nubile o altro) tra i rinvii.”


Stralci dell’intervento di Roberta Cesana.

(…) Per quanto riguarda l’antico regime tipografico, i lavori sono già avviati e anche ben consolidati, mentre lo stesso non possiamo dire rispetto all’età contemporanea dove rimane quasi tutto da fare non solo per quanto riguarda le editrici, le stampatrici, ma più in generale le funzionarie editoriali, a vario titolo implicate nel lavoro delle case editrici. Mi preme, innanzitutto, registrare, a fronte di questa mancanza di studi sulle donne editrici, l’importanza, la fioritura di studi e di pubblicazioni sulle Autrici italiane del Novecento, con la maggior parte dei contributi che derivano dal gruppo di ricerca (1990) coordinato da Marina Zancan a La Sapienza di Roma; noi perlomeno saremo in ritardo di trent’anni. Il fatto che non possiamo più parlare di assenza di studi sistematici e fondativi per quanto riguarda le donne scrittrici è testimoniato dal volume, fresco di stampa, Bibliografia delle Autrici del Novecento di Alessia Scacchi (Franco Cesati editore, 2020).

Dopo tre saggi introduttivi di Zancan, Storin e della stessa Scacchi, il volume offre una ricchissima bibliografia che va dal 1881 al 2001; in ogni anno le Autrici compaiono presentate in ordine alfabetico, con un lunghissimo indice biografico analitico a chiusura del volume. Si tratta di una ricchissima repertoriazione biografica che, tra l’altro, registra non solo le prime edizioni delle Autrici che pubblicano nel Novecento, ma anche le successive edizioni, sia con nuovi interventi autoriali, sia con semplici modifiche autoriali. Un lavoro preziosissimo. Cito dall’introduzione di Marina Zancan che scrive: quando, nel 1990, abbiamo cominciato a elaborare una ricerca sulle autrici italiane del Novecento, rapidamente abbiamo capito che la disciplina non ci garantiva un quadro informativo di base per poterla realizzare.

Un quadro ormai costituito per le Autrici italiane del Novecento; che con indefesso lavoro si sta costituendo per le tipografe del periodo della stampa manuale; manca completamente per le editrici.

(…) rimanendo nella storia dell’editoria italiana nell’età contemporanea, è chiaro che è un racconto finora a predominanza maschile, scritto da uomini e popolato da uomini…da Aldo Manuzio ad Arnoldo Mondadori.

Pensiamo che in tutte le parti del mondo, in ogni epoca le donne hanno dovuto lottare e ancora oggi lo fanno per ottenere semplicemente il diritto all’istruzione; sembra chiaro il perché si trovino sempre uomini e non donne nei ruoli apicali, nelle professioni di maggior prestigio nelle case editrici e nelle tipografie, nel periodo della stampa manuale. Lo stesso nelle biblioteche.

(…) La sottorappresentazione delle donne nel mestiere del libro, e non solo, comporta che anche rispetto all’età contemporanea ci sia la necessità di interrogare continuamente e correttamente le fonti, cercarele fonti primarie negli archivi, nei libri come prodotti del lavoro delle donne, per riuscire a raccontare una storia plurale nella quale il lavoro femminile sia adeguatamente riconosciuto e debitamente valorizzato, secondo me, a fianco di quello maschile, per scongiurare il pericolo di creare stereotipi che non necessariamente sono falsi ma che sono sempre incompleti e proprio per questo trasformano una storia in un’unica storia. Nel nostro caso, trasformano la storia dell’editoria in una storia dell’editoria al maschile.

Richiamandomi a quello che Marina Zancan per prima ha sostenuto, l’ipotesi non dovrebbe essere quella di ricostruire una tradizione al femminile da contrapporre alla tradizione classica, al maschile; bisognerebbe riuscire a descrivere un percorso costruito sulla base di una propria coerenza interna – quello che tanto bene sono riuscite a fare con le Autrici – che possa evidenziare il contesto e il lavoro delle donne senza separarlo dal contesto della tradizione editoriale del Novecento. Non va separata o contrapposta ma affiancata a quella che conosciamo già.

Bisognerebbericostruire il maggior numero possibile di biografie di editrici, e lo ripeto, in senso lato: professioniste a vario titolo impegnate nel mestiere del libro; leggere o rileggere oscrivere le loro biografie con l’obiettivo di coniugare gli elementi della tradizione, con i percorsi storici, culturali e politici delle donne; infine, arrivare in alcuni casi a ridefinire i quadri storiografici correnti.

Un lavoro immane, si tratta di ricostruire, solo per il Novecento, il percorso di almeno tre generazioni di donne, particolarmente interessante a mio parere perché vanno di pari passo con i percorsi dei diversi femminismi del Novecento.

La prima generazione è quella che si forma a cavallo tra Ottocento e Novecento quando al modello femminile promosso dalla cultura moderata e progressista di fine XIX secolo si contrappone quello espresso dal movimento emancipazionista italiano e non a caso le editrici di questa generazione si rappresentano come interne a un conflitto; (…) la seconda generazione sono le donne già adulte sotto il Fascismo, che per prime hanno ricevuto una formazione non più autodidatta, e possiamo citare Natalia Ginzburg, oggi finalmente studiata anche come editrice non solo più come scrittrice; la terza generazione è quella delle donne cresciute nella prima Repubblica il cui percorso a un certo punto si interseca con il movimento femminista degli anni ’70, un movimento che ha inciso notevolmente anche sulle scelte dell’editoria, come dimostrano le case editrici fondate da donne, gestite da donne, dedicate a scritture di donne come dimostra la loro presenza nei cataloghi e nelle redazioni e anche nelle grandi case editrici generaliste.

Sarebbe bello dire che oggi ci siamo tolte di mezzo gli appellativi – sorella di, moglie di, vedova di – ma non è scontato anzi è un punto molto interessante su cui riflettere. Se anche scompare la dicitura che ha tormentato durante tutto il periodo della stampa manuale, non scompare l’investitura. Bisogna capire, è scomparso l’habitus di continuare sulle orme di padri, mariti, fratelli, chiamate a intervenire, rimanendo fedeli alla loro impostazione? Sono domande che non si possono eludere per quanto riguarda le editrici anche emancipate del Novecento. Me le sto ponendo su Inge Feltrinelliche si è trovata in una situazione difficilissima alla scomparsa del marito(1972) in un momento in cui le acque del contesto politico italiano e dentro la casa editrice, erano a dir poco agitate, e si ritrova a dover ridefinire la linea editoriale e, agli inizi degli anni Ottanta, anche a gestire una grande crisi finanziaria, salvare la casa editrice dal fallimento. In che modo gestisce la situazione, a che risorse personali può fare appello?

Lo stesso ragionamento, senza voler fare paragoni, in condizioni diverse, lo possiamo fare per ricostruire l’apporto individuale di Elvira Sellerio all’interno della casa editrice fondata con il marito e che in qualche modo era sovrastata dalla sua personalità come quella di Leonardo Sciascia. Ancora, per Maria Laura Boselli che prende le redini dopo la morte di Alberto Mondadori; o interrogarci su quale fosse il ruolo di Gina Lagorio in Garzanti al fianco del secondo marito, Livio Garzanti, e altre.

Tornando ai primi del Novecento, quale fu il ruolo di Emilia Santamaria a fianco del marito, Angelo Fortunato Fornìci, capire quali collane derivaronodai suoi studi pedagogici, e quali ascritte al marito.

Per tutto il Novecento la presenza maschile è sempre stata lì, molto ingombrante e se qualche riflessione vogliamo fare riguarda proprio il grado di autonomia nell’apporto creativo, individuale, di queste donne, ormai emancipate, ormai legittimate a esprimersi in prima persona.

Per fortuna, ci sono anche le autonome, cioè donne che non provengono da una famiglia di editori, non sposano editori, ma fanno le editore in proprio. Sono molte, soprattutto a partire dagli anni ’70, e cito solo Laura Lepetit che in un anno cruciale per la storia del movimento delle donne in Italia, 1975, ha fondato La Tartaruga, legata anche ad altre realtà del circuito femminista internazionale. Una casa editrice che riuscirà a sopravvivere anche quando la stagione dell’abbondanza si spegnerà, costruendo un catalogo di pregio. La cito anche perché Laura Lepetit ci ha fatto il regalo di leggere, dalla sua prima edizione (1975) delle Tre Ghinee(1939) di Virginia Woolf. Nella quarta di copertina, Laura Lepetit aveva scritto: l’intenzione di questa collana (che ci ha detto di non avere avuto subito il coraggio di chiamarla casa editrice), è tentare di mettere insieme le tracce di quella storia parallela e non riconosciuta che è stata la storia della donna nei cui spazi e documenti vivono esperienza comune, dunque storia a sé. Una storia al di là dellospecchio, una realtà capovolta su cui riflettere, da recuperare perché non resti più oscura.”

Tra le attività ricordate, il convegno Apice – l’altra metà dell’editoria. Le professioniste del libro e della lettura nel Novecento (23-26 novembre 2020), promossa dal Centro Apice, Fondazione Mondadori e Dipartimento di Studi Storici dell’Università di Milano, in cinque sezioni, con attenzione a tutti gli aspetti della presenza professionale femminile, anche di bibliotecarie, traduttrici, illustratrici.