Almeno settanta persone sono morte nel nord della Siria a causa dell’esposizione a un gas tossico che i sopravvissuti hanno attribuito ad aerei da guerra. L’attacco è stato già condannato pubblicamente nel mondo, mentre Gran Bretagna e Unione europea hanno puntato il dito sul governo siriano per la carneficina. In particolare, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito la strage un atto “atroce” che “non può essere ignorato dal mondo civilizzato”. Chiamatemi prevenuto, ma le reazioni del mondo civilizzato mi inquietano quasi quanto gli atti atroci…

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di Alessandro Ghebreigziabiher

Alessandro Ghebreigziabiher è napoletano di nascita, da bambino si trasferisce con la famiglia a Roma, dove risiede attualmente.
È autore di romanzi e racconti brevi, esponente del teatro di narrazione, con particolare attenzione ai temi dell’intercultura e della multietnicità.
Il suo primo libro, Tramonto, Edizioni Lapis, nel 2003 è stato premiato con il White Ravens.
Nel 2005 crea a Roma la compagnia teatrale Il dono della diversità e dal 2007 è il direttore artistico dell’omonimo festival di teatro di narrazione, giunto nel 2016 alla decima edizione.
Dagli inizi degli anni ’90 impegna parte del suo tempo come insegnante e animatore in varie realtà del terzo settore, come comunità terapeutiche per tossicodipendenti e centri rivolti ad adolescenti con varie difficoltà.
La raccolta di racconti Il dono della diversità, Tempesta Editore (2013), è stata premiata nel novembre 2015 con il Marchio editoria di qualità.
Nel 2016 ha fondato la rete internazionale Storytellers for Peace[ (Narratori per la Pace), composta da artisti da tutto il mondo, con lo scopo di creare video collettivi e in varie lingue su temi come la pace e i diritti umani.
C’era una volta la guerra alla pace.
E’ la più famosa e la più diffusa.
E’ la guerra.

E’ il fare quotidiano.
E l’agire che ferì.
Che cancellò.
Che creò vuoti di umanità e pieni d’odio.
Se la conosci, la eviti.
Se la conosci davvero, la odi.
Se la conosci da vicino, odi chi la usa.
Ma se affermi di non conoscerla affatto, guardati allo specchio e cerca le mani.
Qualcosa di rosso, vivido e caldo, si trova sempre, fidati.
C’era una volta, poi, la pace alla guerra.
Quando colomba sfida pugnale.
Laddove il fiore tenta di penetrare la terribile accoppiata, armatura insensibile e pelle di guerriero ottuso, detta anche come l’unione più incivile tra le relazioni moderne.
E’ grido che non brucia, dicono.
Che non solletica le mura del castello, oltre le quali il tiranno tiranneggia.
Affermano addirittura che in qualche modo costui ne tragga beneficio.
Che la protesta disegnata irrobustisca ulteriormente il trucidatore di fragilità.
Se la scegli, devi aver pazienza.
Se la scegli anche domani, devi avere qualcosa che non funziona nel cervello.
Se la scegli fino alla fine, devi avere qualcosa, beato te.
Ma se non l’hai mai scelta in vita tua, deve mancarti qualcosa.
Che avevi, lo dico senza timore di sbagliare.
Perché tutti nascono col cuore.
E farlo battere a tempo con la natura è la scelta.
C’era una volta, infine, la guerra alla guerra.
E’ la guerra più vantaggiosa, oggi.
E’ la guerra dei giusti.
Contro l’ingiusta guerra.
E’ la guerra, se ci pensi.
Quella che sai solo quando inizia.
Perché chi ne conoscerà davvero la fine non vivrà abbastanza per raccontarlo.
E’ la guerra che dona pace a chi la guerra non la vive.
E’ la pace che dona guerra a chi la pace può solo sognarla.
E’ la guerra che dovrebbe fermare se stessa e che invece si limita solo a ingoiare morti e sofferenze, diventando a sua volta più grande.
E più giusta.
Se la invochi, sei quello che si commuove e si indigna innanzi all’orrore.
Sul monitor.
Se la invochi e premi il pulsante d’avvio, sei quello che si commuove e si indigna innanzi all’orrore.
Sotto i riflettori.
Se la invochi e ti sfreghi le mani, sei tu la guerra.
Laggiù, da qualche parte, dove nessuno guarda mai.
C’eri una volta e, che tu sia maledetto, ci sei ancora.

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