Nella foto la scultura di specchi Francesca Piovesan “Dormienti”.

Ama Nutri Cresci propone, la lettera aperta sul tema della “compassione” e della “diversità” firmata dalla filosofa Nicla Vassallo (professore ordinario di Filosofia a Genova) e dal curatore Sabino Maria Frassà (Direttore Artistico di Cramum e Direttore Sviluppo della Fondazione Cure Onlus) .  Nella foto la scultura di specchi Francesca Piovesan “Dormienti”.

Lettera aperta: “Il “diverso” non esiste. Ricerchiamo una compassione universale” di Nicla Vassallo & Sabino Maria Frassà

Milano-Genova, in vista del 17 maggio 2018 – La parola “diverso” è una parola che sempre più caratterizza il nostro lessico. All’orecchio questa parola richiama spesso la sua accezione più negativa e l’etimologia non sembra dare molti scampi a tal riguardo: “diverso” deriva infatti dal latino “diversus” che significa “volto dall’altra parte”, “opposto” o “contrario”.  Questo aggettivo si dovrebbe usare per indicare ciò che si presenta con un’identità, una natura, una conformazione nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose.

Il concetto della diversità – oggi così diffuso – da sempre anche in ambito filosofico ha avuto notevoli riscontri. In passato tale “categoria” è stata spesso applicata per giustificare la schiavitù come conseguenza di una presunta diversità per natura e superiorità di alcuni esseri umani sugli altri. Va poi ricordato come Aristotele sostenesse che le donne fossero “diverse” per natura dagli uomini, riconoscendo a quest’ultimi tutti i pregi in contrapposizione ai difetti propri del “genere” femminile.

Nel XIX secolo John Stuart Mill e sua moglie Harriet Taylor teorizzarono invece l’infondatezza della categoria della diversità, la quale sarebbe anzi mero costrutto umano di ostacolo alla felicità, fine ultimo dell’intera umanità e non solo del singolo essere umano. Questa negazione della categoria di “diverso” è stata poi modulata e assimilata nel XX secolo in modi dicotomici: se da un lato la maggior parte della filosofia femminista ha elogiato la diversità in funzione dell’anti-omologazione e dello sviluppo individuale, alcuni filosofi conservatori come Roger Scruton hanno individuato nella diversità la sanità sociale, senza la quale si sarebbe tutti/e narcisisti – si fa riferimento al noto e contraddittorio Sexual Desire: a Philosophical Investigation.

Ci chiediamo se dopo secoli di discussioni non avessero forse ragione i coniugi Mill-Taylor sostenendo che la stessa categoria di “diverso” sia semplicemente errata e generatrice delle principali divisioni sociali. Se ben riflettiamo, tale categoria è la causa di tutte le tragedie storiche del XX secolo. Tutti i regimi per giustificare la propria ragione di esistere hanno adottato e non possono che adottare tale categoria: il nazismo, il fascismo e persino in un certo senso il comunismo hanno infine trovato la propria ragione di esistere nella lotta al nemico, a ciò che era diverso dal proprio dogma.

Chi adotta la categoria del diverso, intesa come esistenza di una gerarchia (addirittura per natura) di un essere umano su un altro o di una “maggioranza” su una minoranza, di fatto si batte a favore dell’omologazione. Vorremmo quindi che l’essere umano riuscisse a liberarsi dal bisogno di essere diverso da qualcuno e preferisse l’essere differente, ovvero l’essere distinto da ciò che lo circonda.

Non crediamo che ci siano esseri umani diversi, ma esseri umani “differenti”. Ognuno di noi, dovrebbe pensare per due minuti e parlarsi con onestà, magari guardandosi allo specchio e domandarsi: io a chi sono uguale?

Io sono io, non sono il/i gruppo/i a cui dico di appartenere: che senso hanno le bandiere (di ogni genere, orientamento e/o colore)? Io sono una storia infinita fatta di combinazioni e occasioni, dell’interazione che ho avuto con il mondo esterno e con il contingente tempo vissuto. Io non posso che essere unico e differente da tutti gli altri esseri umani che sono venuti prima e che verranno dopo di me. Se ognuno di noi riuscisse a maturare tale consapevolezza, avremmo un mondo di persone adulte che sono (state) in grado di sviluppare e dispiegare pienamente la propria identità personale. Solo allora proveremmo quella compassione necessaria per comprendere che siamo tutti unici e differenti, ma in ultima istanza profondamente uguali, destinati a condividere la stessa “cella”, la nostra vita, il nostro sapere di essere oggi e aver un tempo limitato da vivere.

“Oh mio povero bufalo, mio povero amato fratello, ce ne stiamo qui, entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia.” Da Un po’ di compassione di Rosa Luxemburg, 1917.