Parlando di sé, Ai Weiwei il regista del film Human Flow (La marea umana)  ha detto: «Sono un lottatore. Se facessi l’atleta, sarei un pugile. Prendo cazzotti che fanno male e mi metto in situazioni a rischio». Ma questo uomo nato a Pechino nel 1957 non demorde e continua il suo lavoro. Speriamo che non demorda neanche il Presidente del consiglio Paolo Gentiloni  nel ribadire la necessità di portare a casa, durante questa legislatura, quella legge che dovrebbe garantire la cittadinanza italiana a migliaia di persone che da anni studiano, lavorano o nascono in Italia. E… cazzotti da una destra  xenofoba Gentiloni li ha incassati con un certo savoire  faire. Speriamo che anche lui rimanga saldo sulle sue gambe così che questo disegno di legge possa essere  ripresentato in Parlamento alla riapertura delle Camere per diventare legge con i relativi regolamenti attuativi.

Per molte di noi sarebbe una grande soddisfazione veder consegnato il leone d’oro a Ai Weiwe e contemporaneamente vedere approvato lo Ius Soli pur con tutti i suoi limiti. Sarebbe un piccolo passo ma pur sempre un passo in aventi. Una possibilità di  poter dire siamo un Paese civile.

Ma torniamo a Ai Weiwei.  Il suo film Human Flow (La marea umana)  in concorso alla 74ª Mostra d’arte cinematografica di Venezia  sarà proiettato venerdì primo settembre alle ore 19,15 nella Sala Grande della mostra al lido di Venezia.    Al centro c’è l’epica migrazione di oltre 65 milioni di persone nel mondo. La pellicola ha un doppio significato: documentare guerre, carestie, malattie, choc climatici e crisi dei rifugiati, ma allo stesso tempo invita alla riscoperta di valori come fiducia e compassione.

Negli ultimi anni, questo tema è stato più volte affrontato dall’artista, anche con i progetti espositivi translocation-transformation a Vienna e #SafePassage ad Amsterdam.

Ai Weiwei si è formato  all’Accademia di cinema, dove ha conosciuto il regista Zhang Yimou, ed è tra gli ideatori del collettivo artistico Stars che nel 1980 organizzò la prima mostra d’arte contemporanea in Cina, alla China Art Gallery di Pechino.

Il nuovo lavoroche dura 140 minuti riunisce testimonianze raccolte da 25 troupe cinematografiche, nell’arco di un anno, in Afghanistan, Bangladesh, Francia, Grecia, Germania, Ungheria, Iraq, Israele, Italia, Giordania, Kenya, Libano, Macedonia, Malesia, Messico, Pakistan, Palestina, Serbia, Svizzera, Siria, Thailandia e Turchia.

In fase di post-produzione, Ai Weiwei ha detto: “ Human Flow è un percorso personale, un tentativo di comprendere le condizioni dell’umanità ai nostri giorni. Il film è realizzato con profonde convinzioni in merito al valore dei diritti umani. In questo momento di incertezza, abbiamo bisogno di più tolleranza, compassione e fiducia per l’altro dal momento che tutti siamo uno. In caso contrario, l’umanità dovrà affrontare una crisi ancora più grande.”

Tra gli obiettivi del regista anche la volontà di raccontare il “dramma nel dramma” rappresentato dalle insidie e dalle truffe che i e le migranti si trovano spesso ad affrontare nel loro percorso di ricerca verso una nuova vita.

In un’intervista all’Afp l’artista dissidente cinese ( ricordiamo che è stato deportato in Xinjiang con il padre, il grande poeta Ai Qing, e tutta la sua famiglia  durante gli anni più duri del maoismo) ricorda come «tutti possono essere rifugiati. Quella che chiamiamo la crisi dei rifugiati è di fatto una crisi umanitaria. Non importa chi può essere rifugiato, potreste essere voi o potrei essere io. Credo che il problema dovrebbe essere compreso da chi ha la fortuna di vivere in pace. Penso che la pace sia sempre una situazione temporanea, nessuno può essere certo di vivere sempre in pace e… la politica statunitense è triste e degradante, ha fatto molti passi indietro su molti aspetti»

Chiudo ribadendo la speranza di un leone d’oro per questo regista e di una legge di cittadinanza per un paese come il nostro che non vuole smettere di dirsi civile.