Come, nella società, non è sufficiente, per scardinarne la struttura, l’endemico conflitto capitale/lavoro, ma è necessaria la presa di coscienza di classe, così la lotta di liberazione delle donne passa, necessariamente, attraverso la presa di coscienza di genere. Ci sono forti pressioni che spingono per il “superamento” del separatismo come pratica di lotta femminista e lesbica.

L’attuale stagione neoliberista, dietro una facciata “riformista e modernizzatrice” propugna e attua, in tutti i campi, {{l’annullamento delle conquiste degli anni ’70 ed un ritorno agli anni ’50}}, con il tentativo di assopimento della conflittualità sociale attraverso appelli al buonismo, all’accordo fra le parti sociali , alla “convivenza civile”,panacea dei conflitti di genere e di classe, appelli peraltro sempre e solo rivolti alle oppresse e agli oppressi.

Gli oppressi/e non sono più presentati/e con una loro caratterizzazione costituita dalla collocazione lavorativa e sociale, ma come {{un indistinto}}, spesso fatto percepire come {{criminale e fuori dalle regole.}}

La conflittualità nel mondo del lavoro, secondo questa impostazione, dovrebbe trovare la composizione in un {{vicendevole riconoscimento della naturalità e ineluttabilità dei ruoli e delle part}}i, e nella necessità di uno sforzo comune per il “bene del paese”.

La conflittualità sociale dovrebbe trovare uno sbocco “costruttivo” nel “confronto democratico” dove i dissidenti e le dissidenti, le valsusine e i valsusini, le refrattarie e i refrattari, a qualsiasi titolo, nei riguardi di questa società, dovrebbero {{convincersi dei loro errori e rimettersi nelle mani dello Stato }} che decide “eticamente” e “per il bene di tutte e tutti.”.

In questo progetto si inserisce {{il tentativo di trascinamento dal femminismo al femminile }} e di riduzione della lotta delle donne ad una generica conflittualità tra i sessi, facendo dimenticare completamente la natura strutturale dell’oppressione di genere e della violenza dei maschi sulle donne, conflittualità che dovrebbe essere risolta, secondo la visione riformista/neoliberista, attraverso un sereno e collaborativo confronto tra maschi e femmine in cui ognuna delle parti dovrebbe portare le proprie ragioni e insieme si dovrebbero risolvere i contrasti, con buona pace della famiglia.

E’ questo {{il senso delle iniziative femminili socialdemocratiche e riformiste}}. La donna a cui si rivolgono, viene descritta come casa e cura, madre, moglie, figlia, con la tessera di qualche partito, non importa quale, sindacalista, imprenditrice, volontaria, che sa mediare il lavoro di cura e il lavoro all’esterno. Vengono assolutamente {{annullate le differenze politiche e i ruoli nella società}} e, a cascata, si auspica e si attua il superamento della discriminante antifascista.

Si danno per scontate questa società, “civile ed accogliente”, la famiglia, e si fa appello ad una moralità che tutte ci dovrebbe unire all’insegna della nazione-patria.

Vengono completamente {{cassati anni di lotte e di repressione}} e dimenticata una struttura sociale basata sullo sfruttamento, sull’ingiustizia ,sulla disperazione della stragrande maggioranza della gente e, in particolare, delle donne.

Repubblichine e partigiane, donne borghesi indifferenti a tutto e forti dei loro privilegi e donne sfruttate e avvilite, donne in carriera che licenziano e donne licenziate, vengono {{tutte accomunate, in un ruolo indistintamente femminile,}} e dovrebbero tutte concorrere alla costruzione di questa società.

E’ la riproposizione di dio/patria/famiglia.

E assertore di questa impostazione non è il centro-destra, che pure ribadisce continuamente, secondo i suoi principi, il ruolo subalterno e di servizio della donna in questa società, bensì il centro-sinistra, i riformisti e socialdemocratici, che sono i maggiori sponsor dei principi neoliberisti.

Da qui il proliferare di associazioni femminili che trattano le donne come le popolazioni del terzo mondo. Come le Ong non mettono in discussione le guerre neocoloniali e l’oppressione dei popoli indigeni, così queste associazioni perpetuano {{il ruolo subalterno delle donne in cambio di finanziamenti e promozioni individuali}}. E l’ultima stagione di questa deriva sono le lodi al governo Monti.

E’ in questo contesto che, quelle stesse componenti socialdemocratiche che, negli anni ’70, hanno usato il separatismo per snaturare e stravolgere la dimensione di classe della lotta di genere, oggi, chiedono, a gran voce, il superamento del separatismo nella lotta delle donne.

Quella volta, obtorto collo, dovendo fare i conti con il movimento femminista, hanno usato il separatismo per appropriarsene e togliere ogni valenza di classe, oggi, nella stagione neoliberista, arrivano all’impudenza di chiedere il superamento del femminismo, perché, dietro la parola “superamento del separatismo”, questo c’è.

Ma , {{il separatismo, è uno strumento, è una necessità}} di tutte/i coloro che portano avanti una lotta contro le oppressioni che hanno delle componenti trasversali, come lo è stato per il Black Panther Party, perché è una difesa, una zona franca, una garanzia di riconoscimento, una forza.

Soltanto in ambito separato è possibile sviscerare, comprendere, razionalizzare le contraddizioni che la lotta femminista e lesbica si trova a dover affrontare {{nell’intreccio delle oppressioni di genere/razza /classe.}}

Contemporaneamente, siamo consapevoli della {{necessità di collegarci con le altre realtà che lottano contro le oppressioni }} che esprime questa configurazione sociale, perché non esistono percorsi di liberazione che siano corporativi.

Per questo, oggi come non mai, è necessario {{salvaguardare e difendere il separatismo.}}

Come, nella società, non è sufficiente, per scardinarne la struttura, l’endemico conflitto capitale/lavoro, ma è necessaria la presa di coscienza di classe, così la lotta di liberazione delle donne passa, necessariamente, attraverso la presa di coscienza di genere.

Il separatismo, oggi, è la dimensione di classe della lotta femminista e lesbica.

{dalla mailing list “sommosse”}