Gli uomini stanno
provando a pensarsi e a dirsi anche padri, oltre a navigatori, santi, eroi,
guerrieri, indefessi lavoratori?In un assolato pomeriggio estivo della ormai tropicale Torino, nella storica
Società di Mutuo soccorso d’ambo i sessi Edmondo De Amicis si discute a
partire dal mio [Letteralmente femminista->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?breve1169].

Una donna che si occupa di
{{ricollocazione lavorativa}}, quel retravaillet che un decennio fa sembrava
solo roba da donne che tentavano, dopo la gravidanza, di rimettersi in lista
per tornare nel mondo dell’occupazione fuori dalle mura domestiche,
interviene.
“Certamente esiste il problema del lavoro femminile, della precarietà, e
quello della violenza. Ma vorrei dirvi del problema maschile: nel mio
ufficio cominciano ad arrivare, per ricollocarsi, molti uomini, e sono
preoccupata di quello che vedo e sento. A differenza di ciò che fanno le
donne, che cercano di adattarsi nelle pieghe della crisi, mantenendo
comunque inalterata quella capacità di fare acrobazie tra lavoro casalingo,
prole, e lavoro fuori, provando persino a ricavare spazi per sé e la
socialità, gli uomini arrancano, non negoziano, si irrigidiscono, scoppiano.
E sembra che, ancora una volta, tocchi a noi farci carico anche della loro
incapacità di cambiare, di mettere da parte l’orgoglio, di assumersi delle
responsabilità da adulti, di crescere”.

Ho ripensato a questa affermazione quando ho letto l’editoriale di {{Francesco
Merlo}} su Repubblica, a proposito della seconda morte in auto di bambino
dimenticato dal padre, intitolato: “[Perché mi sento vicino a quei papà->http://giovannitaurasi.wordpress.com/2011/05/28/perche-mi-sento-vicino-a-quei-papa-di-francesco-merlo/]”.

Avevo già sussultato, qualche giorno fa, alle parole della moglie incinta
del primo padre che aveva abbandonato la figlia; la donna aveva difeso il
marito, sostenendo che quell’uomo del quale si parlava come di un assassino
non aveva colpa, che era un buon padre.

Mi ero soffermata, con la pelle d’oca e un senso infinito di angoscia, a
pensare che non c’era altro modo per una donna di continuare a vivere con un
uomo che di fatto ha ucciso la loro figlia, (da lei stessa partorita),
soprattutto mentre nutre nella pancia un’altra creatura: l’unica strada per
non impazzire era giustificare il suo compagno, {{continuando a credere in lui
e nella sua umanità,}} opponendo alla disperazione che nemmeno riesco a
immaginare una immane forza di volontà di volontà e fiducia che, per me,
rasenta l’assurdo.
E possibile che sia più facile scrivere che ci si sente solidali con chi ha
fallito, rispetto al sentirsi vicino a chi è vittima e senza colpa.

{{Merlo}} lo fa benissimo, praticando quel{{ ‘partire da s’é’}} che quando è
menzionato come uno dei doni del femminismo dalle donne viene bollato come
pratica non politicamente né socialmente rilevante.
Merlo dice che capisce quell’uomo, che definisce{{ un padre che ha peccato per
troppo amore}}, perchè anche lui, spesso, tenta di essere madre oltre che
padre della sua prole, e viene colto dal complesso dell’ippocampo, “l’unico
animale maschio che prende su di sé la gestazione e si occupa lui delle
uova. Ma – continua Merlo- è appunto lì che sta in agguato la disgrazia,
nell’avere un cuore troppo grande e due occhi soltanto, nel volere fare
quelle mille cose che mia zia ‘la signorina’ avrebbe commentato cosi:
‘mbriachi e picciriddi, centu occhi li devono guardare”.

E’ ben evidente che quegli occhi dei quali parla la zia signorina sono solo
{{occhi di donne}}. E che gli uomini non sono capaci di quello {{sguardo circolare}}
che invece si dà per scontato nelle donne, anche quelle più misere e di poca
cultura.

Ma se le donne sono così capaci di sguardo circolare e di attenzione, perché
sono gli uomini a continuare ad avere il potere, un potere così miope e
limitato nello sguardo quando si tratta di tutelare il bene più prezioso?

Credo che non esistano verità facili da esibire di fronte alla morte così
insensata di due creature, ma una domanda mi sento di porla:{{ perché il
comportamento irresponsabile da parte di un uomo e di un padre può
raccogliere così tanta solidarietà da essere addirittura trasformato in un
gesto d’amore?}}
Se l’incapacità di un uomo, (e come sembra dall’articolo di Merlo di tutti
gli uomini che si provano nella titanica impresa di essere padri), viene
definita amore, perché allora non dire che evidentemente c’è un gravissimo
problema che gli uomini hanno nell’affrontare la paternità, quella concreta,
quella di tutti i giorni? Continuiamo a dare per scontato che la maternità
sia connaturata al femminile, ma evidentemente{{ la paternità}} è ancora ben
lontana dall’essere considerata, anche da uomini colti e riflessivi, {{una
condizione che il maschile può pensare come cosciente e possibile}}.

Al di là della cronaca tragica di questi giorni il tema è importante e ci
riguarda come collettività di donne e uomini.
E'{{ padre}} non chi feconda con il suo seme una donna, ma un uomo che si assume
la responsabilità per la vita della sua prole, come le donne fanno in
miliardi nel mondo;
chi viene cambiato nel profondo nel diventare tutore, guida, esempio e
testimone della figlia e del figlio che la donna che lo accompagna ha
generato.

Si potrebbe continuare con le {{descrizioni che raccontano la paternità}}, e che
purtroppo non sono così frequenti e dettagliate come quelle che dicono il
materno, perché l’amara verità è che oltre alla trita storia del ‘mammo’ {{non
ci sono molte moderne narrazioni dell’amore e del ruolo paterno}}, al di là
appunto della banalizzazioni.

Abbiamo alle spalle, e spesso ancora di fronte, le immagini dei padri
padroni, ma possiamo davvero dire di avere un’altra dimensione adulta di
padri da presentare come altrettanto forte e definita? Gli uomini stanno
provando a pensarsi e a dirsi anche padri, oltre a navigatori, santi, eroi,
guerrieri, indefessi lavoratori?

Non ci può essere crisi economica, non ci può essere eccesso di impegni, non
ci può essere alcuna sindrome di ippocampo a motivare una dimenticanza così
atroce.

Dai tempi del mito di Ulisse è chiaro che{{ il maschile non riesce ad
accettare il senso del limite delle proprie capacità e risorse:}} il mondo
globale ne è prova, e non sarà io a dire che le donne non sono ampiamente
conniventi con questo sfacelo. Grande è la anche la responsabilità di molte
donne, anche e soprattutto di quelle che continuano a fare il lavoro degli
uomini al posto loro, procrastinando così la presa di coscienza maschile
autonoma. Sono uomini, che ci si può fare, alcune cose non sono per loro,
sembrano dire. E’ una profezia che si autoavvera: ed è così che i piccoli
finiscono abbandonati in auto roventi.

Finchè gli uomini non faranno un passo indietro rispetto alla smania
superegoica che li allontana dalla materialità della vita e finchè non si
fermeranno a guardare i loro limiti, quelli del loro corpo e della loro
forza non potranno né essere padri e neppure solo uomini. Ingranaggi,
forse.{{ Dov’è l’amore in tutto questo?}}

*www.monicalanfranco.it