Parvulus, ultima produzione poetica di Lidia Are Caverni, dal titolo minimalista, parla della «solitudine densa di suoni e di musiche con cui chi scrive si pone in rapporto con l’altro»; a un «niente che non significa assenza, anzi il suo contrario perché esprime un mondo sommerso e nascosto invisibile a chi vi si rivolge con occhi distratti, ma invece ricco di suggestioni e afflati per chi ne sa cogliere l’essenza.» (p. 11)

Parvulus / non è che il fruscio breve
 / di mosca catturata 
nel bicchiere / l’onda fresca della tua mano /


il niente che mi bisbiglia.

Raccolta di 101 poesie, opera di ampio e fresco respiro, Parvulus non è mai banale per il dichiarato «atteggiamento di ascolto reverenziale nei confronti di chi [la poeta] vede come  interlocutore, siano cose o personaggi umani e più che aspettare che sia compreso vuole comprendere decifrando il mistero di ciò che costituisce il sé e l’alterità.» (p. 11)

Il parvulus/niente di Lidia Are Caverni è, per sua stessa definizione, «essenza e infinita ricchezza di suggestioni, invisibile soltanto a chi ha occhi incapaci di guardare oltre l’apparenza» (p. 11) e, nella Prefazione, Annalisa Macchia vi rileva «un sentimento ambiguo di adesione e perfino di estatica simbiosi con il creato, seppure mediato dal desiderio inappagato e inappagabile di carpirne il profondo senso. Un movimento oscillante tra dramma e gioia, tra memorie passate e percezioni presenti e future, percorre ogni testo e fa risaltare questa particolarissima visione dell’esistenza.» (p. 6)

L’intera produzione poetica di Lidia Are Caverni – nata ad Olbia, cresciuta a Livorno, residente a Venezia-Mestre dove ha insegnato nelle scuole elementari – più volte premiata, è segnata da «scelte linguistiche e grafiche eleganti e raffinate» nel tentativo di trovare una lingua superiore ai nostri balbettìi, una lingua universale che tutto possa spiegare. Il consueto procedere senza alcun segno di interpunzione, salvo il punto finale della poesia, l’uso sapiente di enjambements e figure retoriche, dà vita ad un fluire rapido di immagini e sensazioni che tende ad eliminare ogni barriera tra la percezione reale delle cose e la rielaborazione mentale delle stesse. Si arriva così ad una fusione tra coscienza e inconscio, sull’onda di quel flusso di coscienza che, in epoca post-freudiana, ha caratterizzato tante tecniche di scrittura di illustri narratori trovando, in poesia, un terreno ancora più fertile.» (A. Macchia)

Con uso sapiente dell’Io e del Tu, Lidia Are Caverni s’immerge nella circolarità del sentimento e del tempo:

 

La mia cava zampa d’uccello / non trasfonde fossili / troppo leggera è la mia impronta / petalo di fiore /che costruisce una rosa.

 

Più volte premiata, anche dal nostro Premio Paese delle donne & Donna e Poesia (Roma, 2008), per L’anno del Lupo (ed. Passigli, Firenze), come vincitrice del concorso “Mangiaparole” (Roma, 2015) ha pubblicato la raccolta poetica La maschera scomparsa; presente in antologie poetiche e narrative di prestigio (es. 900 e oltre, dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli che nel 2003 le ha assegnato il Premio Nuove Lettere), s’annovera tra le/gli maggiori esponenti della poesia modernista in merito alla quale conta saggi critici (es. “Dalla lirica al discorso poetico” in Storia della poesia italiana 1945-2010); monografia di Luca Benassi su “Noi Donne”; nostre precedenti recensioni nell’Archivio on-line.

Lidia Are Caverni, Parvulus, Edizioni Alimena-Orizzonti Meridionali, 2017; info: alimenaf@libero.it