Non bastano le continue pressioni psicologiche, le disfunzioni ed i disagi causati da una selvaggia obiezione di coscienza, le umiliazioni per chi decide di interrompere la gravidanza, ora ci si riferisce a noi donne come “{giudici selezionatori della specie umana}” e si afferma che l’autodeterminazione del nostro corpo non è nient’altro che il desiderio nascosto di sminuire la paternità.E’ inquietante il clima di colpevolizzazione e di ricatto che sta colpendo le donne in relazione alla legge 194. Non bastano le continue pressioni psicologiche, le disfunzioni ed i disagi causati da una selvaggia obiezione di coscienza, le umiliazioni per chi decide di interrompere la gravidanza, ora ci si riferisce a noi donne come “{giudici selezionatori della specie umana}” e si afferma che l’autodeterminazione del nostro corpo non è nient’altro che il desiderio nascosto di sminuire la paternità.

Tanto accade in un convegno pubblico tenutosi il 13 Giugno, presso l’Università di Napoli Federico II in occasione del trentennale della legge 194; convegno organizzato da luminari della cultura e della scienza napoletana cui sono stati invitati professori di molteplici discipline.
_ Molte di noi {{indignate e violentate dalle parole del Professore Francesco D’Agostino}}, relatore di una lezione magistrale, escono dall’aula; alla “lectio” non segue dibattito, come è invece previsto in altre sessioni del convegno, e dunque non sarà possibile replicare agli attacchi violenti e maschilisti (oltre che rivelatori di scarsissima conoscenza dell’argomento) rivolti indistintamente al genere femminile, senza alcun senso di responsabilità da parte dell’oratore. Parole che sanno di vecchio, che riaprono vecchie ferite.

E’ veramente troppo presentare così le donne, soprattutto in una città in cui esse vivono completamente ai margini, per il rispetto dei diritti e per la presenza in politica; in una città dove le violenze alle donne sono la quotidianità e dove la mancanza di servizi minimi ad esempio gli inesistenti asili nido pubblici, rende il disagio e talvolta la disumanità, regola del lavoro e dell’esistenza stessa.

Io parlo con le donne e non ho mai visto in loro, parlando di gravidanza non voluta, algidi giudici selezionatori, né incapacità di ascoltare i loro compagni in decisioni importanti; mentre troppo spesso incontro donne sole, abbandonate da uomini con la sindrome di eterni bambini, umiliate da datori di lavoro che non comprendono le difficoltà di una madre, e sempre più spesso incontro donne a cui non è stato rinnovato un contratto interinale perché in stato di gravidanza.

Su una cosa sono d’accordo con il Prof.D’Agostino: esiste sì una contraddizione che genera un alone nero intorno alla “questione aborto” e nasce dalla {{paura atavica degli uomini di confrontarsi con la maternità}}, con qualcosa che appartiene esclusivamente alle donne; la paura del confronto con la donna stessa.
_ E’ ora che gli uomini inizino a percorrere la strada per risolvere questa loro paura, smettendo di attaccare le loro figlie, le loro madri, le loro mogli e condividendo di più col mondo femminile le difficoltà della vita quotidiana.

_ Prof.ssa Ida Orabona
_ Avv. Elena Coccia (Giuristi Democratici)
_ Prof.ssa Simona Ricciardelli Comitato legge 194

A sostegno di questa lettera l'{{Udi di Napoli ha emesso il seguente comunicato di solidarietà}}:

L’UDI sostiene nel merito e nella forma le ragioni e il sentimento espressi da Ida Orabona, nella consapevolezza che dovunque le donne parlano in prima persona si aprono contraddizioni insanabili in un modello di gestione, quello attuale, che le esclude o le tiene a lato come cittadine e come competenti.
_ Ciclicamente e nelle forme più varie, gli avversari della libertà e dell’autodeterminazione delle donne si mobilitano intorno alla legge sull’aborto.
_ Non solo la 194 ma tutta la sfera della piena responsabilità delle donne su stesse, è terreno sul quale in Italia la discussione è ancorata ad un’idea della “libertà vigilata femminile”.
_ Chi occupa posti dove si decide non è, evidentemente, pronto a confrontarsi col livello propositivo delle donne , lì dove si discute la legittimità di quell’astensione facoltativa dal lavoro, che è l’obiezione di coscienza.
Chi è là dove si decide immagina le donne come non sono più o non sono mai state.