Siamo femministe e antifasciste, il desiderio d’esprimerci
sull’esperienza del 15 ottobre parte da una serie di sommovimenti
interni ai nostri corpi, più che da un’esigenza di far parte della
tempesta di “comunicati”.

Un comunicato è un participio passato, noi
speriamo di metterci in comunicazione.
Il crampo allo stomaco nasce dal fatto che pur essendo in testa al
corteo, non abbiamo capito cosa stesse succedendo davvero, dove e come.
Non c’è stata una pronta comunicazione, non c’è stato nessun segno,
nessuna voce che sapesse informarci del nostro stesso posizionamento.

Questo ci porta a chiedere di {{“ripensare” strutture che già in passato,
nelle nostre azioni, avevamo messo in discussione}}. Cosa è una {{“testa”
del corteo}}? Cosa è uno”{{spezzone}}”? Quale è la differenza tra creare
“safety” invece che richiedere ordine e sicurezza? Soprattutto {{come si
organizza un corteo}}? Chi decide? La “{{decisione}}” come prende forma? Come
accade che vi siano “scazzi” tra gli stessi organizzatori del corteo
rispetto alle azioni e alla modalità di gestione? E soprattutto, dati
gli “scazzi”, come si dovrebbe procedere se si sceglie di esserci e di
esprimersi in un corteo i cui contenuti “contano” ?

Quello che crediamo è che{{ la forma e i nostri corpi contino quanto i
contenuti.}}
Crediamo che la forma idonea a combattere quell’ordine patriarcale
che vogliamo lasciarci alle spalle sia {{l’orizzontalità}}. L’orizzontalità è
qualcosa che si pratica, si sperimenta, nel modo in cui ci si mette in
relazione personalmente, all’interno di un collettivo e nella creazione
di alleanze e reti. Gli scazzi e l’arbitrarietà da “accordi del giorno
prima” sulle pratiche di garanzia della “safety” non funzionano come
“pillola del giorno dopo”. Riteniamo che{{ la condivisione}} sia un passo
imprescindibile per ogni grande manifestazione. Per condivisione ci
riferiamo anche alla comunicazione degli “scazzi” stessi, che,
evidentemente non c’è stata a livello nazionale, ma si è autocensurata
internamente a geografie autoreferenziali, se non.quasi-elitiste di
gestione dello spazio pubblico.

L’esperienza della{{ manifestazione contro
la violenza maschile sulle donne del 2007}}, le nostre esperienze
indecorose e libere, hanno portato i nostri corpi in relazione,
attraverso settimanali assemblee locali e mensili assemblee nazionali a
Roma.

L’esperienza della {{Val di Susa}} ci insegna che la trasparenza degli
intenti porta alla rivolta legittima e unita: i media hanno provato a
dividerci in buon* e cattiv*, ma non ha funzionato perché l’unità delle
differenze non è stata messa in discussione dal movimento stesso: c’era
un percorso, e ci sarà. Portiamo una felpa nera quando vogliamo, a
volte indossiamo il pink.

La non-violenza non è tra I nostri valori, come donne che lottano
contro la violenza patriarcale, degli uomini e dello stato. Il “riot” è
una pratica che condividiamo, ma rimandiamo alla {{capacità di
autogestione come coscienza della responsabilità e dell’intenzionalità
dei nostri riots.}}

L’autogestione è una {{dialettica tra l'”io” e il “noi”}}: il personale è
politico ci guida ancora nella riflessione. L’autogestione è pratica
orizzontale che non esula dallo “spontaneismo”. Quello che richiede è la
capacità preventiva di “immaginazione” degli eventi e “creatività”
rispetto all’orizzonte delle azioni, resistenze, modalità di autodifesa e
gestione della “safety” possibili.

Crediamo che sia necessaria {{una riflessione sulla gestione della
Piazza.}} Perché la scelta, il “sentirsela” o “non sentirsela”, ha finito
per essere “costretta” e “imposta” dal contesto? Legittim@ chi attacca
la violenza dello stato, legittim@ chi decide di non farsi “normare” dal
contrattacco come pratica di guerriglia urbana, non precedentemente
concordata o “immaginata” e poco “aperta” all’idea di “safety” delle/gli
“altr@”, che diventano “altr@” perché il contesto, non scelto da loro,
lo impone.

La data del 15 ottobre costringe il movimento tutto a riportare
l’attenzione sulle{{ questioni dell’orizzontalità, della safety,
dell’autogestione}}. Ma non ci stiamo a “partire da capo”. Veniamo da
esperienze di orizzontalità e anche da esperienze di scontri. Serve una
consapevolezza dell’autogestione come responsabilità politica, come
accordo. Un accordo è un’armonia, non una dissonanza. Non si possono
ignorare le critiche interne ed esterne, limitandosi a mantenere rigide
posizioni minoritarie di “rivendicazione”. Ma non possiamo nemmeno
ragionare sentendoci ostaggio della distorsione dei media e tanto meno
dell’approccio individualista da “sfogo emotivo da faccialibro”.

In
Piazza, a resistere, eravamo in tant@. La favolosità della resistenza,
il numero (migliaia) di compagn@ in Piazza, e l’ “indignazione” contro
la polizia è un prodotto di decine di anni di accumulazione di rabbia
contro l’uso di armi illegittime, contro anni di torture e repressione
assassina. La stessa che i giornali, e certe proposte stile ’75,
propagandano come luogo sicuro, a cui “serenamente” consegnare donne e
uomini di quella Piazza. La delazione non ha bisogno di commenti, fa il
gioco del regime.

A differenza delle azioni che hanno messo in pericolo i nostri corpi
durante il corteo, con una pratica alla “appicco il fuoco e mi barrico
dietro la gonna di mamma/folla”, nello scontro con la polizia in Piazza
S.Giovanni, nella resistenza alle cariche indiscriminate, si è espressa
{{la politicità della rabbia, il diritto all’autodifesa.
}}

Non sono i colori a normarci, non sono i compagni maschi, non è la
nostra uterina irrazionalità, che pare ancora tabù, visto lo shock
massmediatico alla visione di “donne black block”. Le quali, Repubblica
aggiunge, quasi a tranquilizzarci, dopo aver lanciato un sanpietrino
corrono a baciare i fidanzati (stessa “azione” che le “buone
manifestanti” avrebbero voluto fare in piazza, stando a ciò che la
stampa racconta: un bel bacio eterosessuale a coppie, per un po’ di
pepe, e per rassicurare l’ordine patriarcale e la struttura famigliare).

Chiediamo a chi ci legge di {{uscire da queste dinamiche stigmatizzanti}}.
Il feticismo da “black bra” lo lasciamo a Repubblica, chiediamo
invece attenzione alle rivendicazioni di donne, precarie, femministe e
lesbiche che in quel corteo c’erano e che continueranno a parlare per
sé.

{{CANE SCIOLTE}}

[http://figliefemmine.noblogs.org/post/2011/10/22/da-alcune-cane-sciolte-safety-autogestione-e-resistenza-una-comunicazione-femminista-sul-15-ottobre/->http://figliefemmine.noblogs.org/post/2011/10/22/da-alcune-cane-sciolte-safety-autogestione-e-resistenza-una-comunicazione-femminista-sul-15-ottobre/]