RIPARAZIONE 1995 olio su tela 80×100 Opera di Rosanna Marcodoppido

Trovo decisamente impropria l’espressione “restiamo umani” per intendere  e definire un comportamento  sociale e politico empatico e rispettoso a fronte di atteggiamenti, gesti e pratiche discorsive sempre più violente, distruttive, inaccettabili. Restare umani è infatti un dato ineludibile per tutt*: siamo sempre, ovunque e comunque espressione dell’umano, nel bene e nel male, e da lì non si esce, non si può diventare altro. Non ci è data l’opportunità, la libertà di non essere umani, di essere cioè disumani, soggetti che, come recita il vocabolario per indicarne l’efferatezza, non hanno e non conservano nulla di umano. Può non farci piacere, ma essere feroci, senza pietà non significa non essere umani e non serve a nulla rimuovere questi aspetti della soggettività attribuendoli in genere solo agli altri. La nostra interiorità non conosce perfezione, carica come è di ambivalenze e fragilità. Quello che di noi viene rimosso, inoltre, non sparisce, al contrario moltiplica la sua forza condizionante nelle zone oscure in cui viene ricacciato, spesso  paragonato alla condotta delle bestie che in verità sono del tutto incapaci di uguagliare l’orrore di cui si macchia il genere umano. Umano per me vuol dire perciò tutto quello che ha a che fare con noi, donne e uomini, bambine e bambini, ragazze e ragazzi che abitiamo questo mondo. La domanda è: perché è nato il paradosso, la dicotomia umano/disumano riferita a ciò che siamo, a ciò che facciamo o pensiamo? Cosa nasconde, cosa ci dice? Ho trovato alcune risposte a questo interrogativo nel mio lungo lavoro sulla parola poetica che per me è anche parola politica profonda. Porto ad esempio due poesie di alcuni anni fa. Ecco la prima:

Vietato ascoltare all’ora dei pasti / radio e televisione / dagli occhi non entrino orrori / o dalle orecchie / a inacidire il pane / rendere osceno l’atto del nutrirsi / rischiare l’inutilità del vomito // Di- su- ma- no / è parola per dire / ciò che di noi / non vogliamo sapere.

E la seconda:

Portarvi voglio / nel punto da cui guardo / fiorito come fungo da umori multipli / gente tanta e colori riflessi / strade dove non puoi  / accogliere l’inaccettabile / che percorre da sempre / l’umana esperienza //Disumano è l’umano / che non vogliamo vedere // Portarvi voglio / come chi chieda aiuto / per provare altri gesti // Disumano è l’umano / che dobbiamo cambiare

Dunque disumano è l’umano che non vogliamo vedere, soprattutto dentro di noi, e che dobbiamo cambiare, dentro e fuori di noi. Attenzione però, quel “dentro di noi” costituisce ancora oggi un nodo essenziale e un inciampo, altrimenti non si spiegherebbero, dopo una stagione di grandi ideali, di forte e diffusa solidarietà,  il larghissimo consenso e la complicità che ha avuto un modello di sviluppo neoliberista basato su consumismo compulsivo, narcisismo esasperato, individualismo deformante; così come non si spiegherebbe questa preoccupante deriva xenofoba e autoritaria che ha contagiato troppi e troppe. Dare ad un appello il titolo “Restiamo umani” (tra l’altro rigorosamente al maschile!) a mio avviso non aiuta ad orientarsi e rischia di lasciare per strada alcune ambiguità. La vera scommessa è, al contrario, diventare tutt* diversamente uman* nel senso che propone, solo per fare un esempio autorevole, da duemila anni il messaggio evangelico. Ma essere diversamente umani e umane  lo stanno indicando da oltre due secoli in modo ancora più radicale, con le loro inedite analisi e chiavi di lettura, le donne  entrate finalmente nella Storia dopo millenni di esclusione. Noi donne non abbiamo chiamato disumani stupri, discriminazioni, inaccettabili esclusioni, le strutture gerarchiche del potere sociale e politico; li abbiamo chiamati “sistema patriarcale”, “violenza maschile contro le donne”, restituendo la responsabilità e la colpa ad una cultura monosessuata e a soggetti in carne ed ossa appartenenti alla specie umana e non al di fuori di essa. Appunto, la specie umana, ostaggio da sempre di troppi profeti che, tranne alcune lodevoli e carismatiche eccezioni, hanno fatto leva su sentimenti negativi – il desiderio di potere e di possesso, la paura di chi è diversa/o, l’invidia, l’egoismo e infine la violenza come unica pratica di risoluzione dei conflitti – per costruire società classiste e schiavili, consegnandoci una esperienza storica disseminata di guerre, atrocità di ogni genere, orrori.

Questa nostra umanità oggi più che mai ha urgentemente bisogno di cure, molte cure, non può limitarsi a restare umana nello stesso modo di sempre, ma deve essere in grado di attingere dall’umano il meglio che esso possiede. Non siamo all’inizio e non poche sono le realtà virtuose che tentano resistenze alle derive egoistiche, razziste e addirittura spavaldamente fasciste; la strada è ancora lunga e occorre continuare a percorrerla dando il giusto nome alle cose e guardando con coraggio dentro di sé per arrivare ad una sorta di autocoscienza collettiva, perché è solo insieme che si può cambiare, preferibilmente guardandosi negli occhi, uscendo da una opposizione virtuale che dona l’illusione sciocca di agire nella piazza reale. In questo rumoroso e confuso presente il dato che occorre sottolineare per la sua gravità e per le sue negative conseguenze, riguarda il fatto che  è soprattutto la parola libera delle donne ad essere stata silenziata, resa flebile, inefficace:  su questo dovremmo interrogarci con grande sincerità e lo faremo. Oggi, invece, è proprio il punto di vista di donne libere dalle logiche patriarcali che va a mio avviso riproposto ed affermato con tutta la sua sapiente e necessaria originalità e radicalità.  Dobbiamo insieme rimettere al centro della polis i nostri corpi interi, la nostra intelligenza e sensibilità, assumendo una postura caratterizzata dalla interconnessione, creatrice di ponti e di accessi, anche quelli più impervi.  Costruiamo alleanze tra le tante differenze riconoscendone da un lato l’interdipendenza come condizione umana ineliminabile e dall’altro l’uguaglianza nel desiderio di cambiamento, elemento di coesione e di forza collettiva. Insieme vuol dire politica, la buona politica, quella che mette in discussione il potere come dominio e parte dal desiderio di felicità, di giustizia, di pace, quella che sola saprà indicare i gesti, le pratiche e le parole per essere capaci tutte e tutti di ascolto, di rispetto, di empatia, di cura sia nelle relazioni sociali che in quelle private.

Roma, 31 agosto 2018

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Rosanna Marcodoppido è poeta, srittrice, artista, impegnata da sempre in politica. Ha condiviso la sua partecipazione femminista alle numerose lotte dell’Unione Donne in Italia con ruoli dirigenti e alle numerose iniziative del movimento NonUnaDiMeno