Dagli atti – pubblicati in http://coordinamenta.noblogs.org/ – dell’Incontro nazionale separato “Memoria collettiva, Memoria femminista” (sezione “Trasmissione della memoria”) organizzato da Coordinamenta feminista e lesbica di Roma (Roma, 15 dicembre 2012){
The Master’s Tools Will Never Dismantle The Master’s House} (Audre Lorde)

{{Il percorso di ReFe-Relazioni Femministe}}, è nato da alcune compagne di tre diverse città – Milano, Genova e Torino – che in anni passati avevano già avuto occasione di condividere tratti di percorsi femministi, e che, a loro volta, hanno coinvolto altre donne con cui erano in relazione.

Donne di età e percorsi diversi hanno, così, cominciato a confrontarsi a partire da una comune volontà: uscire da una fase in cui non si riusciva ad incidere con il proprio sguardo di genere all’interno delle lotte e delle situazioni in cui vivevano. Inoltre, nessuna di noi era più disposta a sopportare il dispositivo {{lamentela-vittimismo-vittimizzazione}}; tutte ci sentivamo estranee ai processi di delega e al percorso di addomesticamento istituzionale di parte del movimento delle donne. Eravamo, invece, desiderose di trovare insieme strumenti per acquisire nuova consapevolezza e forza e per esprimere la nostra rabbia contro il sistema dominante senza cadere nella trappola violenza/non-violenza – che poi si traduce nella contrapposizione paternalista e maternalista tra “buone” e “cattive”.

Già nella sua fase embrionale, quindi, ReFe è stato {{un luogo di sperimentazione dei propri desideri.}}

In brevissimo tempo sono emerse {{le questioni che più ci stavano a cuore: conflitto, corpo, violenza}}. Per affrontarle eravamo consapevoli che alcuni strumenti pratici elaborati dal movimento delle donne nei decenni precedenti si mostravano ancora affilati ed efficaci, altri andavano “aggiornati”, altri ancora dovevano essere inventati e sperimentati ex novo.

Per alcuni mesi abbiamo viaggiato avanti e indietro fra le tre città per trovarci e discutere, spinte dalla voglia di agire, di esplodere nel presente ed affermare le nostre convinzioni, ma anche di sperimentarci tra di noi, cercando nuove modalità di relazione che siano libere da ogni forma di potere e autorità. Un clima aperto per provare ad attraversare e sperimentare insieme non “la politica” ma delle {{pratiche politiche: crescita individuale, conflitto con l’esterno, relazioni tra donne, rapporto con il proprio corpo e quello delle altre, immaginario.}}

Nell’arco di breve tempo, l’esigenza di conoscerci meglio e confrontarci tra di noi su temi e pratiche prima di coinvolgere altre donne si è fatta sempre più forte. Da questa voglia di determinare uno spazio-tempo tutto nostro è nata {{l’idea della campeggia}}: una tre giorni per cominciare a sperimentare tra donne pratiche di autogestione, autorganizzazione ed autoproduzione, affrontare in maniera non ideologica il potere in tutte le sue declinazioni, così come la violenza agita e quella subita, la liberazione dallo sguardo sessuato maschile, l’autonomia nelle relazioni, il rapporto con il proprio corpo e con l’identità di genere.

Nei tre mesi trascorsi per autofinanziare, costruire e organizzare la campeggia abbiamo condiviso saperi e competenze di ciascuna di noi, li abbiamo resi esperienza comune, abbiamo verificato che la parcellizzazione dei saperi ci rende deboli, mentre la condivisione ci dà forza.

Nella realizzazione della campeggia abbiamo imparato, e stiamo continuando ad imparare, a gestire le relazioni tra noi. Rispettare le esigenze del gruppo e accogliere quelle di ognuna: i tempi, i silenzi, la voglia di fare e la pigrizia, il bisogno di condividere o di isolarsi.

Certo, non c’era nulla di scontato e non tutto è funzionato alla perfezione. Nessun momento di crescita, d’altronde, fila via liscio e senza complicazioni. Ne siamo consapevoli e per questo non abbiamo la presunzione di dare ricette definitive.

{{Dopo la campeggia abbiamo continuato a trovarci.}}

A breve sarà pronta una pubblicazione che fa la sintesi di questo nostro tratto di strada. Ma il nostro desiderio più forte è, oggi, quello di continuare il percorso sull’immaginario e sulle pratiche di conflitto costruendo, al contempo, nuove complicità con altre donne.

Da questo punto di vista, {{la nostra partecipazione come ReFe alla due giorni di donne in Valsusa, il 17-18 novembre scorsi}}, è stata un’esperienza significativa. I contributi che avevamo scelto di portare per confrontarci con le donne della Valle in lotta si sono intrecciati con gli interventi e le esperienze di alcune donne valsusine – impensabili in un altro contesto – che mostravano concretamente, nelle pratiche, cosa significhi vivere in una comunità che si è creata e sperimentata nella lotta.

Questa, in breve, la nostra storia ad oggi, una storia che vorremmo narrarvi anche attraverso alcune raffigurazioni e suggestioni individuali in relazione alla memoria femminista, che è poi il tema di questo incontro.

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— {{A partire da noi}}. «Partire da sé, ma senza fermarsi a sé», questo diceva spesso {{Gabriella Guzzi}}, “nonna” del femminismo milanese. L’esperienza della campeggia e di ReFe per me è proprio questo: un partire da sé collettivo in cui non si perdono le individualità, i singoli vissuti ma, al contempo, non ci si pietrifica nell’autonarrazione. Condivisione che dà forza, senza la coazione a mediare tra le nostre differenze. Odio mediare!

— {{Non voglio più essere un maschiaccio! }} Per rimanere incinta mia madre ci ha messo tempo e cure. Quando sono nata era chiaro che sarei stata figlia unica. Mio padre, come ogni padre, avrebbe voluto un figlio maschio, e io sono stata cresciuta come un maschio mancato. Ho imparato a pescare e a tirare con l’arco, e ho sempre avuto più libertà delle mie coetanee. Avevo assorbito l’idea che i maschi potessero tutto e noi niente. Solo l’incontro con il femminismo mi ha insegnato a non rifiutare il mio genere, ma a cercare di ridisegnarlo insieme alle altre e contro i modelli patriarcali.

— {{Campeggia.}} Abbiamo realizzato l’organizzazione della campeggia superando il cliché che alcune competenze manuali non siano cose da donne. Mettendo in comune le nostre capacità abbiamo sperimentato i desideri e la forza che alcune nemmeno pensavano di avere, la forza che viene proprio dal separatismo, dal partire da sé.

— {{Vissuto personale.}} La campeggia ha coinciso con una fase del mio percorso di vita particolarmente “liberatoria”.

— {{Potenza}}. In auto tornando dalla riunione, pensavo alla potenza dei nostri discorsi e alle possibilità reali che ci stiamo dando per riprenderci le potenzialità perdute della donna selvaggia.

— {{Immaginario.}} Un quadro di due donne, una si arrampica su un albero – simbolo di un corpo usato come strumento di libertà e movimento – a cui si contrappone la figura di donna ‘emancipata’ con tacchi e vestito da lavoro, statica e catturata dalla necessità di essere produttiva.

— {{Percorso}}. All’inizio non avrei scommesso molto sulla riuscita, pensavo che se anche solo avessimo superato alcune delle nostre difficoltà collettive e personali sarebbe stato tanto… Invece ogni incontro mi ha stupita per la nostra capacità di affondare il colpo, di aprirci sempre di più verso l’altra e di mettere sul piatto proposte di grande respiro; ogni incontro mi ha fatto riflettere su me stessa e sul mondo che mi circonda, mi ha dato la voglia di mettermi sempre di più in gioco per cercare di creare dei cambiamenti, delle piccole rivoluzioni, di uno status quo apparentemente granitico e nel personale mi ha fatto mettere in discussione alcune certezze che stupidamente davo per assodate e che invece assumono il loro significato solo nel metterle in dubbio.

—{{ Metodo.}} Abbiamo ognuna pratiche, abitudini, idee differenti anche all’interno della stessa città, figuriamoci tra tutte le città! Perché le cose che escono da ReFe siano davvero condivise ci vuole uno sforzo in più da parte di tutte rispetto, ad esempio, a un collettivo che si vede quotidianamente e in cui ci si conosce da anni.

—{{ Pratiche.}} Non abbiamo né certezze né risposte, ma vogliamo provare a offrire qualche spunto che possa essere utile soprattutto nell’ottica di rompere stereotipi, riprendere la parola a modo nostro, provare a mettere in campo riflessioni che possano farsi pratica.

— {{Valsusa, 17-18 novembre 2012.}} Il capitalismo come produzione di morte e il corpo come luogo di resistenza. Mi piace l’idea di fare del nostro corpo (e, come nel caso della valsusa e delle lotte contro le nocività, anche della terra e della “natura”) il punto centrale della nostra resistenza e il luogo di una ribellione non addomesticabile, mi sembra un modo per ribaltare la prospettiva vittimistica del corpo abusato.

— {{Questo il momento in cui siamo:}} nel pieno di una sperimentazione, in continua evoluzione, e con l’esigenza di far uscire dal nostro cerchio queste riflessioni, renderle fruibili, condividerle con altre ed altri e cominciare ad agire le “nostre politiche” di genere nelle lotte e nei percorsi in cui sentiremo di voler esserci e agire in prima persona.