Il sottotitolo del Manifesto per un soggetto politico nuovo recita “per un’altra politica nelle forme e nelle passioni”, come fare a realizzare questo proposito, un desiderio che fortemente ha spinto tanti e tante ad aderire? Il primo passo sta, credo, nel formare insiemi sempre più ampi di donne e di uomini informati e attivi, capaci di sviluppare conoscenza e azione, in un intreccio di esperienze e di saperi, per costruire un’alternativa all’inaridimento della democrazia e al grave deterioramento della formazione, direi della “competenza” politica, che è parte integrante della crisi dei partiti.

La politica si è sempre più degradata a mero e sempre più basso esercizio del potere, perdendo la sua qualità di conoscenza attiva per cambiare. Ricostruirne questo senso vitale, trasformativo, in modalità adeguate all’oggi, è una sfida alta e complessa, perché richiede d’interrogarsi e cercare soluzioni che riescano a combinare la democrazia con l’efficacia, affrontando il nodo del come si funziona, che tanto ha poi effetti sul come si decide.

Le regole formali, magari poche ma chiare, sono necessarie ma non sufficienti. Ad esse va associata la lenta e costante creazione di una cultura profondamente diversa.
_ Qui emerge tutto il valore del riconoscimento della dimensione delle passioni e dei comportamenti: non si tratta affatto di bontà (o tanto meno di buonismo) da contrapporre a cattiveria, né di presupporre un’impossibile astratta armonia da contrapporre al conflitto.

Si tratta invece di sperimentare modalità radicalmente nuove di comportamenti e passioni costruttive e creative che siano capaci di gestire il conflitto, che c’è sempre e comunque – a partire da quello di genere – sia nella società che anche dentro il soggetto politico. In primo luogo portandolo alla luce, senza operarne la rimozione, come invece si è portati a fare all’interno di soggetti politici di cui si condividono gli ideali e le finalità.
_ Questa è una prima fondamentale lezione che ci viene dal femminismo, racchiusa in quella frase “il personale è politico” che apre universi.

L’altra è costituita dagli strumenti e dai metodi della democrazia partecipativa, che si rivelano strumenti molto efficaci a facilitare processi di crescita, di formazione della capacità politica, quindi di cultura e di vita politica. Tali da produrre condizioni di benessere – qui ed ora soddisfacente non nel futuro – delle persone, di un “ben vivere” la dimensione politica, in quanto facilitano l’accesso di genere, di generazioni, di condizioni socioeconomiche e culturali diverse.

Si tratta di proporre e praticare modelli di attività politica non totalizzanti in una dimensione “militaresca” e professionalizzante – escludenti in primo luogo donne e giovani – ma al contrario commisurate alle possibilità e volontà di ciascuna/o, variabili secondo le condizioni di vita, sostenibili.

In un soggetto politico, nuovo proprio perché si propone inclusività diffusione e distribuzione del potere, è indispensabile sperimentare metodi di riconoscimento e di gestione evolutiva delle differenze e delle tensioni.
_ Gli strumenti della democrazia partecipativa possono qui svolgere pienamente la loro funzione, che è quella di combinare informazione discussione e decisione, dato che un soggetto politico collettivo può assumere decisioni per se stesso.
_ Infatti se i momenti di partecipazione non hanno un’effettiva capacità decisionale il loro ruolo sarà presto svuotato di senso e le persone si allontaneranno.
Qui ci può essere d’aiuto l’esperienza compiuta in Rete@sinistra con l’invenzione e la sperimentazione del PARTY (partecipazione attiva riunita a tavoli interagenti).

Non certo l’unico metodo di democrazia partecipativa – ce ne sono di più noti e diffusi come l’e-TM e l’OST – ma molto adeguato a conciliare i due aspetti di discussione/decisione, anche in relazione alla quantità di persone coinvolte ai tavoli (dalle 30-40 persone fino alle 300 ca.) ed al contenimento dei costi degli eventi. Le caratteristiche essenziali del metodo sono sintetizzate nel Manifesto e saranno approfonditamente descritte e discusse nei loro aspetti positivi e più problematici nella pubblicazione che ci proponiamo di ultimare per giugno (oltre a me, Lorenzo Ferrari, Anna Picciolini e Filippo Zolesi) con la prefazione di Paul Ginsborg che con noi ha condiviso il percorso.

Il metodo PARTY produce un buon rapporto fra momenti capillari di conoscenza e discussione (ai tavoli) e momenti plenari (in assemblea). Evitando da un lato la dispersione del confronto senza sbocco concreto, dall’altro lo svuotamento leaderistico-narcisistico del valore democratico dell’assemblea, che a quel punto può dibattere e decidere con piena cognizione di causa da parte di tutti quelli che hanno partecipato attivamente ai tavoli.
_ Penso infatti che si possa limitare e superare leaderismo e narcisismo solo con la coltivazione e con la cura delle relazioni.