Nel giardino di Marina, a Castelluccio, ci sono le ortensie blu e c’è un filo, che passa da un albero all’altro, dove si stendono i panni che svolazzano al soffio del vento…

Ai tempi di “Quotidiano donna”, Marina allattava sua figlia in redazione. Pubblicammo insieme il libro “Il mio segno la mia parola” sulle scritte sui muri della Casa delle donne in Via del Governo Vecchio.

Tutte in redazione vivevamo l’esperienza del giornale con la stessa disinvoltura di chi lavorava al “Times”! C’era un via vai di fattorini che, essendo maschi, venivano respinti all’ingresso e qualcuna di noi del giornale doveva scendere a placare gli animi degli uni e delle altre. Emanuela Moroli, direttrice, mi spedì con tanto di fotografa – e che fotografa! Chiara Samugheo – a fare un servizio a Firenze sugli autoritratti delle artiste di cui scrivevo. Era già nota ai tempi la mia passione per le pittrici del passato.

Marina e io legammo subito. Non era difficile, con lei, sempre disponibile, sempre attenta, sempre generosa.

Ecco! E’ la generosità una delle caratteristiche di Marina: lei andava incontro agli altri come la nave al suo porto. Egoisticamente confesso che Marina mi manca enormemente perché Marina mi aiutava a vivere.

L’ultima volta che sono stata a Castelluccio, l’estate scorsa, per presentare un mio libro, lei mi rimproverò di averne portate poche copie. Infatti io, scettica, non pensavo che le avrei vendute. Lei, invece, sapeva guardare al mondo sempre con ottimismo, fiducia e altruismo. E’ con il cuore puro che andava verso gli altri, sempre.

Il mio lato fanciullesco non la irritava, tutt’al più le strappava un sorriso. Non era avara di sorrisi e andava incontro alla vita con i piedi per terra ma anche con una sapientissima leggerezza che ti faceva volare alto in qualunque situazione.

Penso che il primo sentimento che chiunque abbia provato incrociandola sia la stima.

Marina irradiava solo luce, mai buio e la sua luce ti arrivava direttamente, spontaneamente, serenamente…

Marina era importante, per chi l’ha conosciuta, perché ti riempiva l’anima e il cuore in una maniera così nitida e  totale che ogni volta che la incontravi ti restava dentro un senso di appagamento e di felicità.

Sì, lei conosceva l’arte di rendere felici gli altri. Chissà se noi abbiamo fatto felice lei. Forse sì perché il suo sguardo sull’umanità era talmente limpido e profondo da accettare la vita per quello che è, per quelli che siamo, nelle nostre virtù come nelle nostre pochezze e miserie.

Grazie Marina!