La relazione di Tiziana Plebani per “Geografia di Genere-Coordinamento Io Decido” alla Consulta delle Cittadine di Venezia del 27 ottobre 2011
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Il genere e l’attenzione al territorio}}

Una premessa prima di iniziare: esiste una specificità di genere che ci indica la necessità di inserire un’ottica{ gender oriented} nel leggere il territorio, le sue peculiarità, le sue necessità per la qualità del vivere degli abitanti e che abbia conseguentemente interesse ad affrontare l’esame dei relativi strumenti di pianificazione e di governo?.

Io credo che la risposta sia affermativa per due motivi. Uno storico, perché l’uso degli spazi urbani racconta una storia che, sino al Novecento inoltrato, è stata differenziata anche per genere, legata all’esibizione del corpo negli spazi sociali, più o meno protetto e più o meno visibile, ma anche a luoghi di lavoro e di frequentazione (asili, scuole, pozzi, lavatoi).

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Le donne nel passato}} sono state peculiarmente {{legate agli spazi di soglia tra pubblico e privato}}, a zone prospicienti la casa, come il vicinato ma anche il giardino pubblico, e alle aree liminari delle case, le finestre, i balconi: spazi comunicativi con l’esterno, né del tutto interni, né del tutto esterni, modulazioni del dentro e fuori.
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{{I percorsi della città }} sono peraltro ancora marcati da un diverso godimento e da una differente percorrenza tra uomini e donne, legati {{alla luce e al buio}}: la notte è un momento di insicurezza, acuito negli spazi vuoti (pensiamo alle periferie, ai parcheggi periferici, ai centri commerciali chiusi), e purtroppo anche nell’ambiente naturale poco urbanizzato, nei parchi, nei viali alberati, dove le donne sole sono viste come fuori posto.

L’altra ragione è legata alla scelta radicata nella politica delle donne che spinge a fare {{a}}{{ttenzione al contesto, alle sue relazioni, ai suoi equilibri di benessere e qualità di vita, a porre cura nel radicamento.}} Il territorio e le città – nel loro valore ancora vivo di luoghi in cui si sperimenta nel grado più elevato la capacità di convivere e di ricercare la qualità della vita in condivisione – sono campi sempre più cruciali per il nostro presente e futuro. Sempre più donne (specialmente giovani) si affacciano nel movimento della decrescita e dei beni comuni, della democrazia partecipativa, dell’esperienza delle Transition Towns, uscendo dai limiti autoreferenziali di certo movimento femminista, coniugando felicemente l’attenzione al partire da sé con il posizionarsi in un luogo, leggendone e valorizzando le possibilità, le relazioni, le risorse.

{{Gli strumenti normativi di gestione del territorio e l’esperienza femminile}}

{{1.}}{{Le questioni metodologiche}}

{{ {Il linguaggio del Pat} }}

Chiunque, tanto più le donne sempre attente a dove si trovano, ha dei saperi dell’abitare e delle capacità ‘naturali’ di leggere il territorio, le sue potenzialità, le sue ferite e i suoi bisogni, secondo la propria quotidiana esperienza. Tuttavia spesso è un sapere latente e soprattutto non è mai richiesto o interrogato da chi ha è preposto alla gestione e alla progettazione degli interventi sul territorio. Tanto meno lo si chiede alle donne.

Inoltre un problema spinoso riguarda la leggibilità delle normative e dei Piani di assetto, scritti e pensati solo per interloquire con specialisti.

{{Il PAT tuttavia è uno strumento essenziale per la vita del nostro territorio per i prossimi 25-30 anni }} e bisogna conoscerlo ma il suo linguaggio – come altri documenti del genere – crea un ostacolo quasi insormontabile alle donne come alla maggioranza delle persone; ciò allontana dal dibattito e dalla possibilità di valutare e intervenire, sia criticamente oppure proponendo alternative o anche esprimendo giudizi positivi.

C’è dunque un {{problema di pieno accesso.}} La difficoltà è superabile con {{due soluzioni}}:

-richiedendo {{un linguaggio accessibile}} da parte della Pubblica amministrazione. e strumenti di lettura agevolati di immediata visualizzazione (ppt, slides ecc.)

-Politiche di {{empowerment delle donne e della cittadinanza}} che abbiano come oggetto la ‘lettura’ del territorio, le sue caratteristiche collegate al gender; capacità di leggere e interpretare documenti e interagire a partire della propria esperienza della città senza divenire tecnici (ad esempio l’esperienza 2008 – Innovare la Programmazione Regionale nell’ottica di Genere, finanziato dalla Regione Lazio, eseguito in partenariato con la Fondazione Giacomo Brodolini e la Casa Internazionale delle Donne – oppure l’esperienza più contenuta ma assai valida della Provincia di Portogruaro proprio sul PAT con l’organizzazione di un laboratorio per donne guidate da ‘facilitatrici’).

-Per quanto riguarda la Consulta delle Cittadine e l’opportunità di dotarsi di saperi di questo tipo, suggerisco che essa instauri relazioni di fiducia e di consulenza con donne sapienti presenti nell’Università IUAV, che possono indicare piste di attraversamento, di lettura e di intervento in questo ambito e in questi documenti, con l’ulteriore vantaggio di riconoscere e di dare visibilità alle competenze femminili sulla città che già esistono (come questo incontro del resto testimonia) .

{{Altra questione metodologica}}, sempre riguardante l’accessibilità, in questo caso inerente al Piano di Assetto Territoriale come documento, è la mancanza di un’informativa nel sito del Comune (ci sono due presentazioni di slides del Pat nella versione della passata giunta e non approvata, organizzate dal precedente assessore, che non sono state aggiornate con le modificazioni attuali).

Manca quindi la trasparenza, l’accessibilità e qualsiasi strumento che ne agevoli la comprensione. Tale mancanza viene giustificata perché il documento non ha ancora assunto forma di delibera ma ciò ne pregiudica del tutto l’accessibilità e la trasparenza.

{{ {Il percorso del Pat} }}

Se passiamo a esaminare poi il percorso, possiamo rilevare che la presentazione alla cittadinanza è stata parziale, solo enunciativa e mai realmente interlocutoria: un coinvolgimento che non ha mai assunto la forma della partecipazione ma che si è incanalato nella tradizione di una ristretta ‘concertazione e parziale consultazione’.
Eppure il Comune di Venezia ha aderito alla Carta di Aalborg 1994 ed alla Campagna europea Città Sostenibili, procedendo all’attuazione di AG21L,in cui si afferma la necessità di coinvolgimento dei cittadini. L’Italia ha sottoscritto la carta di Aarhus 1998, in vigore nel 2001, con cui si deve garantire ai cittadini l’accesso alle informazioni ambientali e favorire la partecipazione dei cittadini già alla fase iniziale del processo decisionale.

Va rilevato dunque che ancora si concepisce erroneamente {{la partecipazione solo come una consultazione a progetto già definito }} […]

Quindi {{per riassumere per la parte metodologica}}

-importanza cruciale del Pat ma difficoltà di accesso e comprensione per linguaggio specialistico che di fatto esclude il coinvolgimento femminile e della cittadinanza

-questione trasparenza, comunicazione, partecipazione del documento e del percorso del PAT

{{2. Il Pat e le donne}}

{{ {Le questioni in gioco con il PAT} }}

Osservavo prima che la cittadinanza e le associazioni sono state chiamate per conoscere – a grandi linee – un progetto già definito. Ma ciò che è più preoccupante è che il progetto in realtà è un’idea di città. Quindi ciò che viene definito è un’idea di città che – va da sé – dovrebbe invece essere pienamente costruita con la cittadinanza nelle sue complesse articolazioni.

Vediamo {{nel merito}}:

-Il piano di assetto strategico si basa ancora su una visione di sviluppo superata e pericolosa, oggi più che mai in tempi di crisi. Sullo sfondo si staglia la concezione che lo sviluppo riguardi mezzi e strumenti per far fruttare il territorio come fosse un investimento. Si considera il territorio come una risorsa da mettere a disposizione di tutti gli operatori che vogliano “investire” in esso per “trasformarlo”, nel senso di accrescerne il valore venale mediante operazioni che lo rendano redditizio: quindi in primo luogo attraverso le attività edilizie.

-Questa idea di sviluppo si affida ancora al ruolo dei privati (ma non nel senso di buone sinergie, che sono anche possibili solo se governate con rigore e lucidità) e sull’aumento dell’area edificabile. L’equazione sviluppo=cemento è tuttavia tramontata definitivamente e svuotata di senso. Perché ancora percorrerla?

-Questa scelta è particolarmente pericolosa perché le nostre città sono già sottoposte a una forte pressione da parte di queste forze economiche, con i rischio di stravolgere l’idea stessa di città, di spazi e beni pubblici.

-Lasciando il campo libero (politiche liberali) si consente di lasciare territori più o meno estesi in mano a poteri non controllabili (capitali stranieri o internazionali, in gioco ad esempio nelle vicende del Lido, di Tessera City ecc.). Ciò conduce a una rifeudalizzazione, quindi a una estromissione della politica dal governo dei luoghi, là invece dove si concentrano mire finanziarie a carattere transnazionale che già di per sé tendono a sottrarsi al controllo degli Stati e del potere locale.

-In questo modo la politica tende a non governare le spinte potenti sulla città delineando una cornice entro la quale tutto o molto è possibile.

Qual è{{ { il cuore del PAT, se ha un cuore…} }}

-Tutto questo motore di sviluppo in realtà è affidato alla creazione della {{grande area di Tessera city}}, che però si consegna del tutto in mano a privati e che fa del quadrante di Tessera il cardine attorno al quale ruota il sistema dei trasporti, delle infrastrutture, destinato a diventare la base della città del futuro. Un quadro normativo nel quale si promuovono quegli strumenti che sempre più stanno mostrando i loro disastrosi limiti, dal project financing all’affidamento a privati di servizi “secondari” sino al passaggio dalla politica degli interessi pubblici misurati in metri quadri e altro ancora.

-Per fare tutto questo sviluppo di Tessera prima di tutto si spazza via il Bosco di Mestre, pardon, si dice che viene spostato: si sa che è semplice spostare un bosco… specie per farne un’area decorativa all’aeroporto.

{{ {Che cosa possiamo fare noi cittadine?} }}

-Noi cittadine dobbiamo contrastare questa idea di sviluppo attraverso una forte e politica presa di parola, partecipando alla crescita di una cultura differente e di un modello di democrazia partecipativa, con azioni a riguardo: abbiamo a disposizione elaborazioni e nuovi orientamenti, come quelli che provengono da Saskia Sassen, che ha studiato profondamente il governo dei territori, da Amartya Sen e Marta Nussbaum e il Capabilities Approach, con cui si rivoluziona l’economia dello stato sociale, inserendo in essa indicatori di sviluppo prima mai considerati come la felicità o il benessere delle persone. Del resto anche gli economisti ormai non considerano più il PIL come unico indicatore economico.

-Le politiche economiche di genere e il movimento della decrescita guardano invece alla terra come a un patrimonio comune, non è una macchina per far quattrini né un giacimento da saccheggiare, ma un patrimonio costituito da beni comuni, da usare con parsimonia per consentirne l’uso ai posteri e il maggior benessere (materiale e spirituale) di tutti i suoi abitanti.

-Possiamo guardare all’esperienza e alla messa a punto teorica di {{Marianella Sclavi}} e l’arte di ascolto per una gestione creativa dei conflitti sociali e nella progettazione partecipata, alle molte buone pratiche in atto anche in Italia, infine imparare anche dall’esperienza delle Transition Town.

{{ {Cosa possiamo dire noi cittadine oltre alla critica a questo modello di sviluppo?} }}

Possiamo {{valutare il quadro generale del Pat attraverso ì nostri saperi quotidiani,}} ponendo le questioni della sicurezza dei luoghi, delle risorse disponibili, del patto con le future generazioni

-{{Le questioni della sicurezza dei luoghi}}. Far nascere quartieri nuovi a forte tasso di investimenti (e di obsolescenza) crea il rischio di ambienti artificiali, estranei sia al genius loci sia ai bisogni delle persone. Le donne sanno – perché in genere si preoccupano e si occupano non solo di se stesse ma anche di altri, della qualità del vivere, dei bisogni dei bambini, degli anziani, del riparo alla solitudine – che quando un posto è artificiale, connotato da grandi strutture, e spazi troppo specializzati (solo per consumare, solo per dormire, solo per lavorare, solo per divertirsi e Tessera City è area dichiarata polo sportivo-ludico) questi luoghi divengono insicuri perché non hanno anima e sono spazi a disposizione dei più pericolosi, dei marginali, degli sradicati. Essi divengono luoghi difficili, che catalizzano forti tensioni sociali.
_ Si prevede di far crescere l’inurbamento e potenti cubature in terreni ad alto rischio idrogeologico: la vicenda degli allagamenti di Mestre, il rischio della fragilità dei terreni di gronda ci spinge ad allarmarci e a denunciare queste scelte.
_ -Si prevede la creazione di una sorta di megalopoli – nell’integrazione delle tre città, VeneziaMestre/Treviso e Venezia – in un’unica area metropolitana in cui ci sarà un concentrato di infrastrutture di rapidità di spostamento: segnaliamo il rischio di un forte tasso di inquinamento, di campi magnetici, di flussi di traffico. Se un criterio dichiarato dal Pat è la sostenibilità ambientale, quale può essere davvero perseguito realizzando una zona di scambio così elevata e quali i rischi per la salute e il benessere delle persone?

-Dobbiamo porre {{la questione delle risorse disponibili, del patto con le future generazioni}}
invece che creare nuovi insediamenti mangiando territorio (e qui PAT ci nasconde le cubature verticali…) in una città che vede un calo degli abitanti e un patrimonio immobiliare in parte sfitto e degradato, bisogna riqualificare l’esistente, rendendo le case ecocompatibili, creando risparmio energetico, aumentando la quota verde ecc. In altre realtà si incomincia a lavorare sulla decrescita ma soprattutto alla riqualificazione dei centri urbani.

_ Qui innanzitutto bisognerebbe sentire il dovere morale di riparare le ferite del territorio, di riconvertire Marghera. Il patto con le future generazioni richiede la fine della messa in campo di grandi opere dispendiose, che ipotecano anche gli anni a venire, che accaparrano tutte le scarse risorse e che comportano ampi e poco valutati impatti ambientali (TAV, Sublagunare ecc. ).

{{Cosa desideriamo}}

-Riqualificazione dell’esistente, rinuncia a grandi opere e a nuovi quartieri, affidati agli investimenti di privati. L’aumento delle zone verdi e dei servizi della città, con particolare attenzione a scuole, ospedali e spazi pubblici dove sviluppare tessuto sociale e culturale, scambio democratico.
-Una mobilità che ci faccia godere del paesaggio, che ci faccia rimanere dentro la bellezza che c’è. Non una sublagunare o altri sistemi sradicanti: alla scelta della velocità come unico criterio rispondiamo chiedendo l’affidabilità dei treni, tram, autobus, a percorrenza locale, quelli che usiamo tutti i giorni come pendolari. Non sono i 10 minuti in meno che fanno la differenza bensì la sicurezza del rispetto dell’orario e della presenza del mezzo di trasporto.
-Un turismo sostenibile che ci restituisca come cittadini e non come figure di sfondo di una monocultura che farebbe volentieri a meno dei residenti
-La riconversione di Marghera con lo sviluppo di una {green economy} in grado di creare lavoro e un circuito virtuoso di risorse e potenzialità.

E alla fine teniamo presente le parole di {{S}}{{imone Weil}}: {chi è sradicato sradica}, nel senso che chi non è centrato sulla vita, ignora le cose indispensabili…

{immagine da salviamovenezia.wordpress.com}