Alesina e Ichino plaudono all’allungamento a 65 anni dell’età di pensionamento delle lavoratrici della Pubblica Amministrazione deciso dal Governo in ottemperanza alla richiesta europea di equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne in questo settore. Lamentano però che il governo abbia persa l’occasione per estendere anche al settore privato l’equiparazione dell’età e l’obbligo di pensionamento a 65 anni e criticano la richiesta della Ministra Carfagna di utilizzare i risparmi realizzati dalla riforma pensionistica per un “un non meglio specificato fondo vincolato ad “azioni positive” per le famiglie e le donne” anziché per la riduzione delle imposte sul reddito da lavoro femminile per incentivare l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.

[Sostengono Alesina e Ichino->http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-06-12/pensioni-rosa-fase-080400.shtml?uuid=AYVnE1xB&fromSearch]: “Il pensionamento anticipato delle lavoratrici è oggi giustificato come “risarcimento” per i compiti di cura da esse svolti in famiglia durante l’intera vita.
_ Ma questo risarcimento in realtà perpetua lo stesso circolo vizioso che vorrebbe eliminare. Non è “rispedendo” ai lavori di casa le donne a 60 anni o poco più che si assicura una più equa distribuzione del lavoro domestico tra mogli e mariti.
_ Tra l’altro, è bene ricordare che il pensionamento anticipato femminile aveva in origine lo scopo di assicurare ai mariti l’assistenza delle mogli al momento del pensionamento..”.

Sostengono, cioè, una tesi perfettamente condivisibile e condivisa da tante donne e femministe. Va innnanzi tutto precisato che l’UE non ha competenza rispetto all’età di pensionamento nei paesi membri.
_ La sentenza della Corte europea si riferisce infatti soltanto all’equiparazione dell’età nel settore pubblico, ossia al divieto di discriminazione tra i sessi rispetto alla retribuzione, essendo le pensioni pubbliche considerate come retribuzione differita.

L’equiparazione dell’età pertanto poteva e può essere raggiunta in vario modo (flessibilizzando la stessa età di pensionamento per uomini e donne come richiesto dalla CGIL o addirittura abbassando l’età di pensionamento degli uomini).

Si deve ricordare che l’età pensionistica inferiore delle donne, oltre ad essere un “finto” risarcimento inadeguato al doppio lavoro delle donne nel corso della vita, crea discriminazioni e svantaggi per le lavoratrici stesse (si pensi ad esempio all’effetto di abbassamento dell’entità della pensione delle donne nei casi di prepensionamento).

Non e’ dunque negativa l’equiparazione dell’età pensionistica tra uomini e donne, a condizione che si tenga conto sia delle categorie di lavori usuranti di uomini e donne sia della libertà di scelta di vita delle persone (uguale flessibilità di età di pensionamento per uomini e donne come richiesto dalla CGIL, ad esempio tra i 60 e i 65 anni)
_ Proposta giusta e condivisibile quella di Alesina e Ichino sulla riduzione delle tasse sul reddito da lavoro femminile, specie per quanto riguarda i redditi più bassi e i lavori meno qualificati.

Non si capisce però perché questa riduzione dovrebbe essere necessariamente legata ai risparmi provenienti dall’allungamento dell’età pensionistica e perché non potrebbe essere invece finanziata anche in altro modo, ad esempio dagli introiti della lotta all’evasione fiscale o dalla riduzione delle pensioni d’oro.

Inoltre, come è noto, non sono solo le tasse troppo alte sul reddito a costituire un ostacolo disincentivante il lavoro delle donne o incentivante, specie al Sud, il lavoro nero femminile.

Che propongono Alesina e Ichino per trattare il problema del doppio lavoro delle donne? “Le donne italiane – dicono – lavorano molto a casa. Sono poco aiutate dai loro mariti (molto meno che in altri paesi europei come dicono precise statistiche) e quindi su di esse, assai più che sui loro partner maschi, pesa l’inefficienza dei servizi pubblici scadenti offerti dallo stato alle famiglie.
_ Da questo squilibrio nella divisione familiare dei compiti derivano le differenze occupazionali e salariali tra donne e uomini nel mercato del lavoro. È quindi su questo squilibrio che bisogna in primo luogo agire.”

Verissimo, finalmente due uomini autorevoli che lo dicono!! Ma come propongono di intervenire per raddrizzare questo squilibrio?
_ Intendono proporre una legge che obblighi gli uomini a fare i lavori privati di cura e istituire una polizia di controllo?

O invece programmare campagne culturali intensive destinate, nella più ottimistica ipotesi, ad avere effetti pratici nell’arco dei prossimi decenni? Perche’ non propongono ad esempio un allungamento dei congedi parentali retribuiti magari all’80% come in Svezia si’ da incentivarne l’uso da parte dei padri?

Alla luce di queste loro non specificate misure – parole vacue destinate a conservare la pienezza del doppio lavoro femminile -, Alesina e Ichino criticano il “non meglio specificato fondo vincolato ad “azioni positive” per le famiglie e le donne”, proposto dalla Ministra Carfagna, e il fatto che, con questo fondo, la Ministra e lo Stato intendano “decidere paternalisticamente cosa serve alle famiglie” mentre con un maggiore reddito disponibile, derivante dalla maggiore occupazione femminile e dalla minore tassazione, “le famiglie potrebbero permettersi di acquistare da privati quei servizi che faciliterebbero a entrambi i coniugi la conciliazione del lavoro in casa e nel mercato”.

Alesina e Ichino non propongono, quindi, una visione di sinergie positive tra gli incentivi fiscali alla partecipazione al mercato del lavoro e all’occupazione femminile e lo sviluppo di servizi pubblici di cura alle persone.
_ Vogliono, invece, incrementare ulteriormente solo i servizi di cura privati a carico delle famiglie, cosa che, senza il superamento dell’attuale disastrosa e declinante situazione di quelli pubblici (tagli al tempo pieno, alla sanità, alle cure per gli anziani), non può che peggiorare le disuguaglianze tra le famiglie e il doppio carico delle donne delle fasce di reddito più basso.

In realtà Alesina e Ichino fingono di ignorare che la Ministra Carfagna, lungi dal paternalismo statalista di cui l’accusano, intende esattamente sviluppare servizi privati di cura e assistenza alla persona (Linea d’azione n.1 del “Programma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro” Carfagna-Sacconi 1° Dicembre 2009).

E’ infatti altamente probabile che la Ministra intenda usare il fondo alimentato dai risparmi dell’allungamento dell’età pensionistica per contribuire a realizzare alcune delle linee d’azione del Programma da lei stessa proposto lo scorso dicembre, che oltre allo sviluppo dei servizi privati, prevede per le donne il rilancio del lavoro a tempo parziale e dei contratti a orario ridotto, gli incentivi al telelavoro e ai contratti di inserimento al lavoro, ossia in una parola, l’ incremento del lavoro delle donne come lavoro e reddito secondario della famiglia e centro della cura e assistenza alle persone in alternativa ai servizi pubblici.

In conclusione, la “fase due delle pensioni rosa” non e’ certo l’allungamento obbligatorio a 65 anni dell’età di pensionamento delle lavoratrici anche nel privato, come propongono Alesina e Ichino, ma caso mai l’equiparazione nella flessibilità dell’età pensionistica e, soprattutto, in opposizione al programma Carfagna-Sacconi, una fase di lotta per realizzare un uso del fondo vincolato, richiesto dalla Ministra, per lo sviluppo (quantitativo e qualitativo) dei servizi pubblici d’assistenza e cura alla persona e per un piano di incentivazione dell’occupazione, della qualità e dei redditi del lavoro delle donne (riduzione delle imposte inclusa).