Basta la voce di un solo, seppur potente monsignore a far ripensare al taglio di 133 milioni alla scuola paritaria.E’ un Paese curioso, il nostro; e mi si passi l’eufemismo. Il 30 ottobre hanno scioperato – secondo i dati ufficiali – 670.000 lavoratori della scuola; ma il ministero “dimentica” di aggiornare il dato precedente, provvisorio – che indicava la metà della cifra – sbandierato come un flop della protesta e come una conferma della bontà dei provvedimenti governativi. Dileggiando, dalle Tv di Stato più o meno compiacenti, la più straordinaria manifestazione di gente di scuola che ci sia mai stata in Italia. Irridendo alle cifre degli organizzatori; ribadendo intransigenza e fermezza rispetto alle misure contestate.

In un Paese rispettoso dei {{principi formali della democrazia,}} una variazione così clamorosa avrebbe dato luogo quantomeno ad un tentativo di ripensamento. In un Paese responsabile e rispettoso dei principi sostanziali della democrazia, avrebbe ingenerato{{ una radicale revisione dei provvedimenti e una seria riflessione sui motivi del dissenso}}. Uno dei quali, gli 8 miliardi di euro tagliati alla scuola.

È un Paese curioso. Perché, viceversa, è bastata {{la voce di uno solo, per quanto potente nel paese del Family Day}} – mons. Bruno Stenco, direttore dell’ufficio Cei per l’educazione, la scuola e l’università – per far ritrattare al governo il taglio di 133 milioni alla scuola paritaria. Il sottosegretario all’economia, Giuseppe Vegas, si è affrettato a sottolineare che è già pronto un emendamento che ripristina il “maltolto”. Stanziato, lo ricordiamo, dal Governo precedente.

È un Paese curioso. Perché quando a settembre Benedetto XVI auspicò che la “libera scelta delle famiglie” divenga reale e sia “effettiva l’uguaglianza tra scuole statali e scuole paritarie” (fondamentalmente cattoliche), sollevando non solo il problema economico, ma anche quello dell’”intento pedagogico” da far conoscere e valorizzare in tutti i suoi aspetti, non solo relativi all’identità e al progetto culturale ecclesiale, ma anche al suo “significato civile”, che “va considerato non come difesa di un interesse di parte, ma come contributo prezioso all’edificazione del bene comune dell’intera società italiana”, il primo plauso che si alzò fu quello di {{Mariapia Garavaglia}}, ministro ombra dell’istruzione del PD.

È un Paese curioso. Perché il 19 novembre {{alcuni senatori del PD}} – tra cui la stessa Garavaglia – hanno presentato una mozione che impegna il Governo a “{{ripristinare immediatamente la somma di 133 milioni di euro sul fondo delle scuole paritarie per garantire la scuola dell’infanzia a tutte le famiglie”,}} facendo presente che “la libertà di scelta educativa delle famiglie e, quindi, la parità scolastica, è un diritto giuridico e costituzionale” e che “con la legge n. 62 del 2000 sono stati definiti i criteri per il riconoscimento delle scuole paritarie, gestite dagli enti locali o da soggetti privati, che sono parte, insieme alle scuole statali del sistema nazionale di istruzione pubblica”.

È un Paese strano, oltre che curioso. Perché, nonostante il prontissimo presentat-arm di Vegas, è Garavaglia, più realista del re, a sottolineare che “sia chiaro, però, che l’annuncio del ripristino dei fondi per le paritarie rappresenta soltanto un segnale; ma che la cifra intera è ancora lontana dall’essere ripristinata e che mancano all’appello ancora molti dei milioni che il precedente governo aveva assegnato alle scuole”.

La {{cosiddetta opposizione}} del nostro Paese dovrebbe ricordare – per quanto riguarda la garanzia delle scuole dell’infanzia, argomento suggestivo ma poco probante – che l’art. 33 della Costituzione recita che “la Repubblica detta le norme generali dell’istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”. Il principio della parità non prevede che le paritarie sostituiscano le scuole dello Stato, uniche garanti del pluralismo e della laicità; semmai esse hanno una funzione aggiuntiva. E che lo stesso articolo prevede che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

La parità, in sostanza, deve assicurare che il percorso scolastico – a carattere aggiuntivo e non sostitutivo, ribadisco – svolto nelle private {{produca il medesimo effetto di quelle pubbliche}}. La legge sulla parità scolastica è stata il frutto di una mediazione tra forze interne nel tentativo – che la storia ci ha dimostrato riuscito, riuscitissimo – di uno spostamento verso il centro. Moltissimi insegnanti sin dal 2000 lo hanno considerato un boccone davvero amaro da mandare giù. Se il cuore della scuola batte ancora a sinistra (sinistra? quale?) come pare abbiano confermato le elezioni di aprile, il PD dovrebbe forse domandarsi quanti dei 670.000 che hanno scioperato un mese fa approverebbero tanto zelo e tale indignazione in difesa della scuola paritaria. Mentre la scuola dello Stato – nell’assenza di proposte e di iniziative costruttive, se non quelle organizzate dai movimenti – crolla concretamente e metaforicamente.

{pubblicato su www.pavonerisorse.it}