E’ difficile scrollarsi di dosso i luoghi comuni sulle donne al volante. Anche qui, come d’altra parte per questioni in apparenza più importanti quali la rappresentanza politica o l’età pensionabile, non ci sono in gioco soltanto il codice stradale e le compagnie di assicurazioni. Nel modo di afferrare la manopola del cambio, di frenare, di sistemarsi sul sedile, di appoggiare la borsa nel sedile accanto, si rivela tutto un mondo di predilezioni, manie e sfumature di gusto.
_ Ma anche altre cose: una maniera per estendere all’automobile e a tutto ciò che riguarda i suoi spostamenti per le strade dentro e fuori la città, l’uso del corpo, una più intima consapevolezza della scena pubblica, l’utilizzazione degli spazi domestici.

Come se guidare diventasse per alcuni periodi, più o meno prolungati a seconda delle circostanze, un luogo obbligato su cui riflettersi.

Quanto più alcune manovre specifiche della guida sono ritenute altamente ‘maschili’, tanto più alte e irrisorie si alzano le ingiurie quando ad eseguirle sono le donne, le quali si trovano così sottoposte a un implacabile confronto con la presunta destrezza mostrata in quelle occasioni dagli uomini.
_ Si pensi, per esempio, a operazioni come quella di cambiare una ruota o a come parcheggiare in uno spazio ridotto. Un coro unanime dà per scontato che una donna si riveli generalmente del tutto incapace nella prima, e alquanto maldestra nella seconda. Ma in realtà non è questo il punto.

Ciò che conta veramente riguarda ben altro. Per gli uomini sembra importantissimo dimostrare che il cambio di una ruota, seppure fastidioso, è qualcosa che loro sanno fare, sempre e comunque, e anche bene: che tutti vedano e siano informati che sono stati all’altezza del compito; una sfida sul proprio quoziente di virilità in dotazione.
_ {{Tranne qualcuna, alle donne di tutto questo in genere non importa proprio nulla}}; sono seccate di dover perdere tempo in un’attività che le vede spesso indifese e irritate; e poi si sentono colpevoli per una {{imperizia alla quale (in fondo) non hanno alcuna intenzione né voglia di porre rimedio}}. Conta poco nella vita di tutti i giorni.

Chi può si affida sollevata al carro attrezzi, o a un amico servizievole, e non ci pensa più. Ma quale virilità in gioco; quale emancipazione da quattro soldi! Chi le sa cambiare (e qualche amica è diventata bravissima con le ruote) dia una mano, e facciamola finita.

Diverso è il caso del parcheggio. Qui entriamo in un ambito complesso, dove troviamo mescolati in proporzioni variamente disomogenee: ambizioni di potere; sbalzi di umore dovuti a insonnie, scadenze disattese e desideri di compensazione frustrati; esibizionismi selvaggi; competizione sfrenata; nervosismi di qualche consistenza.

E’ facile credere che quando si parcheggia si sta ‘solo’ sistemando l’automobile in una certa posizione. Intorno a questa operazione in apparenza semplice, succede, in verità, ben altro. In effetti, tutto concorre a costruire una scena pubblica dove occorre anche recitare una parte. Così sembrano indicare alcuni casi osservati da vicino.

{{
La mia vicina di pianerottolo}} – Serena – qualche volta mi dà un passaggio verso il centro, e a metà strada io le offro un caffè. Ferme davanti al bar, le suggerisco di lasciare la macchina in doppia fila, come hanno già fatto i guidatori delle otto automobili abbandonate alla rinfusa intorno a noi, i cui proprietari, incuranti di ogni regola, si affollano allegramente intorno al bancone per la colazione.
_ Serena mi rivolge appena un’occhiata di rimprovero e dà inizio a una manovra accurata comprensiva di: calcolo veloce dell’unico spazio libero consentito per la sosta poco più avanti dell’ingresso del bar; prima marcia, marcia indietro, volante a destra, volante a sinistra, sistemazione dello specchietto; un secondo giro avanti e indietro perché le ruote non sono perfettamente allineate al bordo del marciapiede, e poi un terzo.
_ Il tutto richiede circa 9 minuti, e altri 5 minuti vanno via per l’acquisto del ticket; ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Serena non sembra però appagata; mentre camminiamo verso il bar si guarda intorno per vedere se qualcuno ha constatato la sua manovra perfetta; per due volte gira la testa per controllare che la macchina sia sempre lì, immobile e luccicante come in una pubblicità dell’ACI. L’emancipazione, si sa, è fonte inesauribile di ansie.

La moglie di Lot – {{Del tutto opposto è il comportamento della mia amica Rossella}}. Da come si infila i guanti, si allaccia la cintura, lascia cadere la borsa per terra, e ingrana la marcia, capisco che la macchina, per lei, è solo un mezzo per arrivare a destinazione più comodamente che prendendo l’autobus, e risparmiando qualcosa rispetto al tassì.
_ Guida prudentemente e quindi non mi aspetterei mai, una volta giunte a destinazione, di assistere a una manovra di parcheggio che è una vera e propria esibizione teatrale, forse di momentaneo oblio di sé.
_ Quando arriviamo, la strada è già tutta presa da altre macchine; ma lei non si perde d’animo e adocchia subito un piccolo spazio all’angolo, proprio accanto al cartello di divieto di sosta, di un secondo cartello di divieto di accesso, e delle strisce pedonali.
_ Avanza veloce e in due secondi infila il muso dell’auto proprio lì. Spegne il motore e mi guarda soddisfatta. Poi scende e si avvia abbandonando il veicolo con noncuranza al proprio destino di multe sicure, come per dire: ‘ora sono affari tuoi, arrangiati da solo; io ho da fare’. La disinvoltura di Rossella è certamente positiva; i suoi gesti liberatori uniscono il gusto per la provocazione delle avanguardie, con la coscienza di avere acquisito nuovi diritti, compresi quelli del libero uso dello spazio pubblico. Qualche volta, però, esagera.

In un’altra occasione, potei osservarla mentre cercava di parcheggiare davanti al ristorante sotto una pioggia scrosciante. Avvistò l’unica possibilità di sosta in un minuscolo pertugio tra due alberi nodosi le cui radici avevano sollevato il terreno tutto intorno formando una pendenza alquanto consistente. Accelerò, velocissima, per riuscire a sistemare la macchina, mentre la ruota destra rimaneva qualche centimetro per aria; girò la chiavetta, aprì lo sportello e scese. Protetta dall’ombrello gettò un’occhiata distratta all’automobile, addossata al tronco un po’ in bilico; ma tutto sommato con quel tempaccio, meglio di così…
_ Entrò nel ristorante con la tranquilla compostezza di chi ha appena lasciato la Rolls nelle mani dell’autista di fiducia e non ha nulla da temere. Mi ricordava l’entrata di Elisa Cegani nel grande salone pieno di ammiratori in attesa, nella “Contessa di Parma” di Blasetti (1937).