Non nutrirmi è una richiesta, un imperativo, un bisogno, una conseguenza. È la frase che una donna sentiva suggerirsi giorno per giorno dal proprio organismo, dal proprio cervello…e forse, pure, dal proprio cuore. Perché di sentimenti si trattava, di nodi irrisolti, di situazioni difficili. Ecco la testimonianza di chi – in forma anonima – vuole lasciare una traccia. {{Qual è l’incipit della tua storia? }}

Tutto cominciò per caso, quasi in sordina: l’odore di cibo diventava sempre meno gradevole, quel ragù che aveva sempre fatto la mia gioia a tavola risultava via via più antipatico al mio sistema sensoriale. Vista, olfatto e gusto avrebbero evitato volentieri l’incontro con quel condimento. E allora mi chiedevo “perché?”, “perché proprio quel condimento?”, “perché quel condimento preparato da quella persona?” in un vortice di elementi che ricercavo nella mia memoria e che mi affaticavo a mettere in ordine, quasi fossero microscopiche tessere di un vago mosaico, nell’intento di dare forma e sostanza a qualcosa di astratto.

{{Sapori, odori, quali cibi erano “intollerabili”?}}

Con il passare del tempo, la pasta si tramutò nel mio peggior nemico: chissà per quale strana ragione facevo fatica a deglutirla, o, meglio, facevo fatica a ad avviare il processo di deglutizione. Snervante il pranzo, snervante la cena. Mi sedevo a tavola con la speranza che andasse tutto bene e con la certezza che avrei impiegato un’ora per consumare due forchettate di spaghetti, fino a giungere alla consapevolezza che ogni volta sarebbe stato un “boccone difficile da mandar giù”…in tutti i sensi.

{{Riuscisti a individuare le motivazioni della ribellione del tuo organismo? }}

Mi avviluppavo in una matassa di possibili concause di un periodo di forte stress riconducibile ai vari ambiti della mia quotidianità – dalla vita lavorativa alla vita privata – nei quali mi scontravo con un “boccone difficile da mandar giù”. Poi anche la matassa di concause si trasformò da metafora a motivo di preoccupazione. Cominciai a privare le verdure dei filamenti: sentivo forte il timore che potessero intrecciarsi tra loro creando nodi in gola. Infine, giunse il tempo dei “frammenti”: qualsiasi pezzetto di qualsiasi cibo mi procurava paura di soffocare. L’ideale era nutrirsi con alimenti morbidi, cremosi, liquidi.

{{Dalla metafora alla realtà, dunque. Come arrivasti alla soluzione?}}

Il mio organismo “chiedeva” consistenze adatte all’infanzia: intuii che avrei dovuto ascoltarlo, assecondarlo, rassicurarlo, e magari anche distrarlo. Ero convinta che a poco a poco avrebbe acquisito sicurezza. Così fu, con piccoli escamotages: quando, in pieno inverno, su una spiaggia, mi ritrovai a mangiare un trancio di pizza senza avvertire quella ormai familiare paura di soffocare, capii che la mia intuizione era stata vincente.

{{Quanto tempo occorse per tornare alla normalità? }}

Alcuni mesi. Una volta risolte le principali cause di stress, si risolsero pure fili, nodi e matasse. E mandar giù i bocconi non fu più tanto difficile. Oggi so quanto sia importante “ascoltare” sé stessi e “dare risposte” concrete alle richieste dell’inconscio.

{immagine da} [http://www.megablog.it/psicoterapia/->http://www.megablog.it/psicoterapia/]