Domanda: ci sono culture, (o popoli) che possono essere considerate più
misogene e stupratorie di altre? La risposta è difficile e oggi più che mai
non è da eludere, quando la politica diventa pericolosa per l’intera società
al punto da avanzare soluzioni dettate dall’odio, come la castrazione
chimica per chi stupra.La storia dell’umanità indica con chiarezza che è
nell'{{intreccio tra valori patriarcali, sistemi dittatoriali e fanatismo
religioso che germoglia la violenza di maschile sulle donne}}.

Non è un caso
che alla base di tutte e tre le strutture simboliche citate (il patriarcato
nella sfera delle relazioni, la dittatura in quella sociale e il
fondamentalismo nell’ambito della fede) le caratteristiche comuni siano il
dominio, la mancanza di democrazia e la logica del nemico e della
sopraffazione.

{{Il collante non secondario è l’alimentazione di un clima di
paura verso ciò che non si conosce e non si vuole conoscere}}, identificando
in chi è estraneo il capro espiatorio sul quale far ricadere ogni
responsabilità, badando bene di non dare alla popolazione gli strumenti per
debellare la paura, come l’istruzione, la conoscenza, l’emancipazione e
l’autodeterminazione.

Certo che ci sono sacche di minoranze violente in chi migra da luoghi
poveri, affamati, colpiti da guerre e nei quali da tempo i processi sociali
collettivi sono improntati sull’oppressione, l’ignoranza e la superstizione,
oppure da terre che hanno visto nel giro di pochi anni lo sgretolarsi delle
certezze economiche e collettive. Questo fa di tutti i cittadini rumeni,
cingalesi, pakistani, albanesi e via citando altre geografie degli
aggressori?

E, anche volendo solo per un attimo dialogare con la logica folle e
criminale di {{chi invoca la castrazione}}: questa è davvero la soluzione che
una società civile sceglie di adottare perché la crede efficace, o è il
grido impotente e schiumante di rabbia di una collettività frantumata al suo
interno, incapace di pensare un futuro di riparazione, di tutela e di
evoluzione, efficiente solo nel {{produrre rimedi uguali e contrari alle
ingiustizie che subisce}}, sempre più sprofondata nella logica dell’occhio per
occhio?

Una mia amica, oggi cinquantenne, mi confessò che da quando si era sposata,
appena ventenne e fino al divorzio, (circa diciotto anni dopo), veniva
regolarmente picchiata dal marito, dopo un breve periodo di equilibrio
durato i primi momenti del matrimonio.
_ Silvia, (la chiamerò così,) aveva dato per scontato, per decenni, che nelle
relazioni tra i due sessi la violenza fosse inevitabile, un accessorio
indispensabile che segnava il dover essere di un marito, uomo, compagno.
_ In
parte, a corollario di questa convinzione, trasmessa anche della madre di
Silvia con il consenso del suo ambiente sociale, lei stessa pensava che una
donna meritasse quel trattamento.
_ Non stiamo parlando di un profondo sud o
di una classe sociale disagiata, ma dell’esperienza di una donna del nord
Italia di classe media. Come vuole la tradizione sessista, condivisa e
tollerata, ad ogni latitudine e cultura, la sua vita è stata sottesa dalla
massima: “Arrivato a casa picchia tua moglie: tu non sai perché, ma lei sì”.

Approdare, per Silvia, a porsi la domanda se gli uomini e le donne possano
convivere senza che i primi siano violenti con le seconde ha rappresentato,
per lei, l’inizio del percorso di riconoscimento della violenza.
_ Quella
subìta, quella introiettata, quella trasmessa, quella potenzialmente
trasmissibile da lei a sua figlia. Che viene accettata perché non la si
riconosce, e viene rimossa socialmente con un’alzata di spalle,
nell’indifferenza.

Oggi l’Italia vive una dimensione di limite pericolosissimo,{{ in bilico tra
l’invocazione della legge del taglione per i violenti, e la tolleranza per
la violenza stessa}}, quella delle discoteche e della velocità alimentata dai
modelli televisivi, delle tifoserie violente che fomentano odio assurdo per
i colori degli altri o per la polizia, quella che ormai si dà per scontata
tra i giovani, e in particolare i giovani maschi: non è forse il nostro
{{presidente del consiglio ad aver dichiarato alla stampa che ‘lo stupro è
inevitabile’}}?
_ Inevitabile per tutti gli uomini, in quanto tali?

Come è
possibile che un capo di governo europeo faccia affermazioni di questo tipo?
_ Da alcuni decenni le/gli studiose/i di psicopedagogia infantile che lavorano
sull’infanzia violata sostengono la {{necessità di insegnare come riconoscere
la violenza}}, insegnando i propri diritti di esseri umani.
_ Chi accetta e non
riconosce la violenza spesso non solo è destinato a subirla, ma anche a
riperpetuarla a danni di altri, in una spirale senza fine.

{{Se non si rifiuta
il paradigma della forza}} come fondativo delle relazioni non ci può essere
alcuna speranza di convivenza umana pacifica e feconda.
_ Alla base di questo
percorso c’è la {{necessità di riconoscere la violenza sulle donne come
violenza primaria da sradicare}}. C’è bisogno di farlo a partire dalla scuola
elementare, nei luoghi di lavoro e di aggregazione, lo si deve ricominciar a
fare come società civile, come movimenti, perché una cultura violenta contro
le donne originerà, a cascata, modelli violenti in ogni altra
manifestazione del corpo sociale.
_ Riconoscerlo è un’emergenza.