Tra le figure femminili attive nella cospirazione patriottica, un’attenzione particolare la merita Anna Grassetti Zanardi, che ebbe un ruolo di primo piano nell’organizzazione mazziniana all’interno delle Legazioni pontificie già nella fase pre-quarantottesca. Della sua vicenda conosciamo, purtroppo, solo {{la storia politica:}} nata a Bologna nel 1815, sposa il mazziniano Carlo Zanardi, e con lui viene coinvolta nel tentativo, voluto da Nicola Fabrizi nonostante l’opposizione di Mazzini, che prese vita nel ‘43 a Savigno (borgo della collina bolognese), nella speranza di suscitare un moto rivoluzionario più ampio nel territorio emiliano: il 15 agosto 1843 un’ottantina di patrioti assalì una compagnia di carabinieri e truppe pontificie che si trovavano all’osteria di Savigno e dopo uno scontro militare si dettero alla macchia per una decina di giorni, avvicinandosi a Bologna con l’intento di provocarvi una ribellione, e infine, vista l’inutilità dei loro sforzi e ormai braccati dalle forze pontificie, si sbandarono. Alcuni vennero catturati, altri riuscirono invece a passare il confine grazie, appunto, anche all’aiuto di Anna: impegnata inizialmente come “provveditrice di viveri e di vestiario per i volontari”, come lei stessa racconta nelle sue vivaci {{Memorie ed appunti intorno alla vita politica di Anna Grassetti Zanardi }}-conservate al Museo del Risorgimento di Bologna-, le fu poi affidato {{il compito di mettere in salvo il gruppo di cospiratori}}, prima nascondendoli nella sua abitazione e poi avviandoli verso la Toscana e la Corsica.

Dopo il ritorno dall’esilio del marito, avvenuto nel ’46 in seguito all’amnistia concessa da Pio IX, Anna è ancora attiva insieme a lui allo scoppio della rivoluzione del ’48, aggregandosi addirittura al battaglione di volontari giunti in Veneto guidati da Livio Zambeccari, e passando poi nel ’49 alla difesa della Repubblica romana.

{{Dopo la caduta del governo repubblicano a Roma }}è a lei che Mazzini affida la responsabilità di riorganizzare la rete cospirativa nell’area emiliano-romagnola: come lei stessa racconta, ” … e così Mazzini mi comunicò la Corrispondenza Segreta e partii per Bologna colle debite istruzioni, ove riannodai le fila e stabilii comitati a Bologna, Ferrara, Comacchio, Spoleto…”. Certo anche Anna, come molte altre protagoniste della stagione risorgimentale, deve aver trovato nel mazzinianesimo quelle dottrine e quella sensibilità che non solo favorivano la presa di coscienza femminile degli eventi in corso, ma ancor più {{maturavano l’idea dell’uguale dignità e dell’uguale diritto alla libera realizzazione di sè }}che apertamente Mazzini teorizzava per le donne non meno che per gli uomini nella futura repubblica d’Italia.

Negli anni 1852-1854 anche in territorio pontificio, come nel Lombardo Veneto, gli attivisti mazziniani furono colpiti duramente con una serie di processi e condanne. Anche {{Anna Grassetti fu arrestata nel ’52}}, assieme ad un gruppo di mazziniani ferraresi e ad altri cospiratori romagnoli; scontò complessivamente cinque anni di carcere, finendo a domicilio coatto nel ’57, per poi ricevere la grazia l’anno successivo anche per intercessioni di alcune nobildonne bolognesi. Durante la detenzione fu {{rinchiusa nella fortezza di Ferrara}}, {{nelle carceri di Civita Castellana e quindi a Roma.}} Nelle carceri di Termini suscitò una vera sommossa tra le recluse, protestando per le vessazioni e i soprusi cui erano sottoposte e che troviamo variamente narrate nelle sue Memorie: “Alla cima della scala stava una suora che reggeva pei capelli una giovinetta quindicenne e la sferzava a sangue perché non voleva scendere nella segretina ove la Superiora l’avea condannata per un mese a pane e acqua perché aveva commesso il gravissimo delitto di rompere un Cristo di pietra che le era caduto nello spolverare. (…) Inorridii a quella vista, e dirigendomi alla suora non potei a meno di esclamare “E’ così dunque che voialtre praticate i precetti di amore e di carità che andate proclamando?”.
Spostata poi {{al convento-carcere del Buon Pastore}}, non mancò di criticare in particolare il sistema “solutorio” invalso tra quelle suore, oggettivamente complice di divorzi interessati, come ricostruisce lei stessa qualche tempo dopo: “Usavasi nei tempi decorsi, che quando qualche marito era annoiato della moglie, per isbarazzarsene, l’accusava di adulterio, e siccome la superiora del Buon Pastore fingeva di tenere gran deposito di stoffe estere, scialli ecc… di gran valore, i mariti conducevano le mogli colà col pretesto di far loro un dono di loro soddisfazione, o per il giorno natalizio o per l’onomastico ecc… e poi le poverette restavano colà rinchiuse per anni e anni ed anche per tutta la vita. Così appunto accadde ad una povera sposa di 22 anni incinta di sette mesi”.

Anna torna poi {{in prima linea con le campagne garibaldine }}degli anni ’60, ottenendone vari riconoscimenti. Le cronache cittadine di fine Ottocento ce la descrivono, ormai vedova, sempre in testa al gruppo dei reduci garibaldini durante i cortei patriottici e soprattutto quelle stesse fonti sottolineano che –coperta il petto di medaglie- usava “com’essi indossare la gloriosa camicia rossa”.

{{C. Dal Poggetto}}, {Ritratto di Anna Grassetti Zanardi}, disegno a matita su carta, 1844. Museo civico del Risorgimento di Bologna