Fu un uomo a sintetizzare, con una immagine efficace ed energica, il ruolo delle parole: lo scrittore Carlo Levi. Nel suo diario di viaggio in Sicilia tra il 1952 e il 1955 Levi annotò: “…le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre”. https://carlolevifondazione.it/le-parole-sono-pietre-tre-giornate-in-sicilia/

Ed è proprio così: le parole sono pietre, perché con esse puoi costruire, oppure puoi ferire.

Se con le parole ci lavori, come fa chi insegna, forma, scrive, opera nel mondo del teatro e delle arti allora con questa potenza, che è costruttiva o distruttiva, hai l’obbligo di farci i conti, valutando l’impatto che le tue parole/pietre  hanno su chi ti leggerà, ti ascolterà, si farà un’opinione anche grazie a ciò che scrivi, conoscerà fatti, imparerà, si emozionerà.

Oggi viviamo nella costante, repentina e non meditata sovraesposizione che la rete offre a chi scrive, e conviviamo con la micidiale confusione tra critica, satira, dileggio, insulto e odio. E’ difficile stare al passo, proprio perché è sempre meno il tempo che ci diamo per riflettere prima di scrivere e dare in pasto al mondo la traduzione dei nostri pensieri.

Se però con le parole ci lavori sai, lo devi sapere, che dietro alle parole c’è il potere: nominare, o non nominare, quando si tratta di informazione e comunicazione, significa dare luce, spazio, visibilità oppure occultare, nascondere, rendere inesistenti o falsare, mentire, torcere la realtà.

L’ultima brutta puntata in ordine di tempo che evidenzia la confusione e l’abuso circa le parole e la libertà di usarle senza riflettere è offerta dalla rubrica di un comico sul quotidiano trentino Adige. Non a caso la rubrica ha nel titolo la parola ‘ring’: l’intento dichiarato è quello di tirare pugni, perchè la satira, come fa bene notare il musicista Stefano Bannò sull’altro quotidiano locale Il Dolomiti  https://www.ildolomiti.it/blog/anansi/gardin-e-la-satira-del-cambiamento-quando-il-femminicidio-viene-paragonato-alluccisione  “dai tempi di Aristofane prende di mira l’ordine costituito con i suoi atteggiamenti, i suoi costumi e la sua morale, sia esso conservatore o progressista, di centro, destra o sinistra”.  

Il comico in questione, http://luciogardin.it/?page_id=865 però, http://www.ladige.it/blogs/34211 oltre a diverse cadute di gusto e stile, in un passaggio del suo ultimo scritto intitolato Il sessismo e la generala delle carabiniere paragona il femminicidio al tacchinicidio nella ricorrenza del thanksgiving.

Le reazioni dei movimenti delle donne

https://www.facebook.com/senonoraquandotrentino/posts/1740253169435285a

hanno avuto come effetto le scuse del direttore dell’Adige https://www.ildolomiti.it/societa/2018/raccolta-di-firme-contro-la-rubrica-di-gardin-offensivo-e-vergognoso-cercare-di-far?fbclid=IwAR2hy2Gr1_3YmCYbzGmqajDyNZ0vGOStL6n7AQDZMnnv-RBgkpyXnzRtoKE

Ma il problema resta: perché i giornali non sono i social, esistono una deontologia e una responsabilità che non può derogare davanti a nulla. La satira, così necessaria in epoca di populismo, fascismo e oscurantismo, è necessaria come il pane. La satira. Altro è veicolare disprezzo, sessismo, sottovalutazione di un problema drammatico e strutturale del pianeta come la violenza contro le donne. La buona notizia è che sempre più uomini prendono parola e voce contro il machismo, perché hanno inteso che il morbo nuoce anche a loro. Persino all’università (no, non in Italia) si fanno prove di cambiamento del linguaggio, senza che nessuno si senta offeso, come scrivevo qui alcuni anni fa. https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/06/universita-di-lipsia-quando-si-dice-donna-per-dire-umanita/618323/ Gli uomini veri non si sentono minacciati, nella loro virilità, se si usano le parole giuste. Gli altri, meschini, sanno solo tirare pietre.