Insomma, come la giri la giri, ben prima dell’arroganza e della stupidità del padrone della MaVib – giustamente definita da “medioevo” dalla Fiom territoriale – la strada ancora da fare prima di poter dire che tutte le donne hanno pari dignità degli uomini nel mercato del lavoro è ancora lunga.
La vicenda della MaVib è tanto assurda quanto scontata. Assurda per il livello di arroganza di quell’imprenditore che sfrontatamente dichiara di licenziare le donne così – finalmente! -possono stare a casa a curare i figli.
_ Scontata perchè non scopriamo oggi quanto sia diffuso il pensare comune – o meglio il pregiudizio comune – per cui il lavoro delle donne è ancora considerato, in famiglia e nella società, in larga parte marginale e quasi accessorio.

E’ un principio semplice e radicato: se all’interno della famiglia lavora anche la donna è un bene (e soprattutto per ragioni economiche: dopo vent’anni di compressione salariale un reddito unico in famiglia non basta), ma se non lavora tutto sommato va bene lo stesso.

Che ad essere considerato meno grave che a restare disoccupata sia una donna piuttosto che un uomo, ce lo spiega, a suo modo, anche la statistica: una donna che perde il posto di lavoro non va necessariamente ad allungare la lista dei disoccupati, perchè, grazie a una sorta di effetto demotivazione, tante, nella quasi certezza di non trovare un altro posto di lavoro, si arrendono e si ritirano in silenzio nella cosiddetta “popolazione non attiva”.
_ Non cerco lavoro perchè tanto so che non lo troverò. Così, gli indici di disoccupazione non mi registrano e il mio disagio, per la società, sparisce nel nulla.

Questo pregiudizio va estirpato, non soltanto alla MaVib di turno ma ovunque, anche dove è meno sfrontato e diretto, perchè calpesta la legittima richiesta di autodeterminazione che credevamo dovesse avere l’accesso al mercato del lavoro delle donne.
_ E se il lavoro delle donne deve avere pari dignità e non essere considerato di serie B, dovremmo cominciare a contestare che la legge nel contratto di lavoro di inserimento possa equiparare le donne a categorie protette tipo disoccupati di lunga durata e portatori di handicap!

Tutto ciò per consentire alle aziende di assumerti per 18 mesi con due categorie in meno rispetto a quella che dovresti avere, senza alcuna garanzia di essere assunta al termine del percorso.
_ Come possa, invece, il contratto di inserimento essere indicato come misura che dovrebbe incentivare la presenza delle donne nel mondo del lavoro – indicazione accettata peraltro anche dalla Camusso, nel piano approvato l’8 marzo scorso – è incomprensibile.

Tornando alla vicenda MaVib, il pregiudizio per cui il lavoro delle donne sia meno importante e quindi in fondo il licenziamento di una donna meno grave, è stato reso ancora più esplicito dalla crisi, ben prima della affermazione gretta della azienda di Inzago.

Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, quando iniziavano a sentirsi i primi segnali del rallentamento produttivo, fu chiaro da subito che la cassa-integrazione aumentava a dismisura soprattutto tra le donne, anche all’interno di settori molto maschili, quelli più colpiti dalla crisi, primo tra tutti quello metalmeccanico.
_ Questo avveniva sia a causa del comparto (l’elettrodomestico e l’auto, che sono quelli dove è maggiore la presenza delle operaie, sono stati tra i primi a essere colpiti dalla crisi); sia, appunto, per il pregiudizio diffuso che il costo sociale e economico della cassa integrazione sia meno grave quando a essere colpita è una donna, perchè il suo salario è strutturalmente inferiore e il suo lavoro in fondo è meno importante. Tradotto con l’arroganza del padrone della MaVib suona “può finalmente stare a casa a curare i figli”.

Se poi la crisi è diventata così dirompente da travolgere in larga misura tutti, uomini e donne, oggi si aggiunge un altro effetto: i primi segnali della ripresa – peraltro lentissimi e molto contraddittori – segnalano che nella spietata competizione al ribasso per un posto di lavoro, qualunque esso sia, le donne rischiano di fare ancora più fatica di un uomo a trovare un nuovo posto di lavoro e quindi finiscono per restare più a lungo fuori dal mercato del lavoro.

Ribaltando il pregiudizio del padrone della MaVib, il licenziamento di una donna, ben lontano dall’essere meno grave di quello di un uomo, rischia ancora di più di diventare una trappola dalla quale non si riesce più a venire fuori.

Questo vale anche per i posti di lavoro precari. Prima della crisi si segnalava che alle donne venivano offerti più spesso che agli uomini soltanto posti di lavoro precari, meno tutelati e meno pagati e che di fatto, la precarietà, in tanti settori, finiva per essere un ghetto proprio delle donne.

Oggi, si sta determinando però una sorta di competizione al ribasso anche dentro al mercato del lavoro precario: essendo scarsi i posti di lavoro e dato che le aziende che cominciano ad assumere dopo la crisi offorno quasi esclusivamente contratti di questo tipo, un posto di lavoro – anche poco tutelato e poco pagato – diventa un bene raro anche per gli uomini.

Il rischio è che, di nuovo, le donne si trovino in una situazione di svantaggio e restino fuori più a lungo degli uomini anche dal mercato del lavoro precario.
_ Tanto più questo è vero per le donne meno giovani, motivo in più per ritenere assolutamente inaccettabile la proposta di estendere anche alle donne del settore privato, l’innalzamento dell’età pensionabile di vecchiaia a 65 anni.

Misura sbagliata non soltanto, quindi, perchè socialmente ingiusta ma anche perchè inefficace dal punto di vista economico: per dirla brutalmente – tanto per restare in tono con la vicenda della MaVib – per le aziende sei vecchia e non ti vogliono più; per l’inps, invece, sei troppo giovane perchè il risparmio che produce l’allungamento dell’età pensionabile serve a fare cassa.

Insomma, come la giri la giri, ben prima dell’arroganza e della stupidità del padrone della MaVib – giustamente definita da “medioevo” dalla Fiom territoriale – la strada ancora da fare prima di poter dire che tutte le donne hanno pari dignità degli uomini nel mercato del lavoro è ancora lunga.

L’epilogo triste della vicenda MaVib è aver saputo che i colleghi maschi di quelle donne non hanno partecipato allo sciopero. Senza generalizzare, ma forse a tanti uomini va bene che sia così, che il nostro lavoro sia di serie B e che, prima o poi, torniamo a occuparci soltanto di figli, anziani e – aggiungo – mariti. Scordatevelo!