E’ questo oggi il compito paradossale dei “curatori d’anime”: curare in absentia, esportare la cura fuori dai luoghi privati solitamente deputati alla cura, fuori dal setting.
C’è un sospetto che nutro da molto tempo.
Si fa strada e si dilata e prende corpo. Trasformato, infine, in una sorta di “precipitato chimico-clinico” che più non esime gli “esperti” della Salute e i “curatori d’anima” dall’interrogarsi.
_ Il precipitato chimico- clinico cui mi riferisco, riguarda il sottosuolo sommerso delle patologie maschili e la considerazione {nulla} in cui sono sempre state tenute: oscurate e protette da una fitta coltre.
_ Se ne vedono le tracce, mutate in aperta denunzia, in una lettera indirizzata a Galimberti, annunciata dal titolo – estremo – che abbiamo preso a prestito [Maschi senz’anima->http://dweb.repubblica.it/dweb/2008/05/31/lettere/lettere/194mas600194.html] in cui si legge:

“{A causa del lavoro che svolgo vengo sempre più spesso a conoscenza di un disagio mentale maschile di proporzioni non ancora misurabili, ma certo ingente. Questo disagio assume forme esteriori diverse: si passa dal polo della sofferenza personale con sindromi depressivo–ansiose, agorafobia e ipocondria, somatizzazioni, fino al polo sadico di sottili torture psicologiche ai danni di mogli e figli, una sorta di disagio mentale provocato per procura ai propri congiunti, arrivando anche alle violenze fisiche. Queste ultime, pur essendo per oltre il 90 per cento sommerse (come ci informa il recente rapporto Istat), sono forse paradossalmente la parte più visibile e che più fa notizia, ma non quella più diffusa: sono probabilmente molte di più le situazioni di disagio che non sfociano in violenza esplicita, ma procurano comunque dolore e problemi ad altre persone….Questi uomini dunque “agiscono” il loro malessere, non lo “comunicano” e tanto meno lo pensano”}” .

{Maschi senz’anima}, recita il titolo, ma si potrebbe anche dire Uomini senza inconscio se è vero che l’inconscio, assieme a psiche, sentimento e sesso è un evento femminile “a cui il maschile può accedere per quel tanto che si concede alla sua femminilità”(Galimberti [Parole nomadi->http://www.feltrinellieditore.it/SchedaLibro?id_volume=5000577], p.68)

E allora domandiamoci: Ci sono uomini che si concedono alla loro femminilità?
_ E che razza d’ uomini sono questi uomini?
_ Non devono forse, questi uomini capaci di concedersi alla femminilità ”per quel tanto che”, essersi già avventurati lungo i sentieri dell’oltrepassamento dell’uomo, non devono aver già superato l’uomo, non devono essere, insomma, degli oltre-uomini?

{{Cura in absentia}}

A causare questi “agiti” di cui la cronaca non ci risparmia ritmo e crudeltà, è il rifiuto della stragrande maggioranza dei rappresentanti del genere maschio ad ogni forma di cura e il loro perseverare nel malessere per molti anni trasferendolo “in ogni persona su cui sia possibile riversarne un po’”, con l’esito paradossale che la domanda di cura viene sovente formulata per interposta persona.

Dalla lettera pubblicata e soprattutto dall’esperienza maturata, ci sentiamo autorizzate a ribadire la tesi già espressa in altro contesto, secondo cui capita spesso che a domandare una cura non sia il vero malato, ma qualcuno che, di riflesso, si ammala e formula una domanda di cura per “pro-cura”.
_ E se è vero che curare qualcuno per interposta persona è cosa impossibile, non è tuttavia impossibile – attraverso il dire, i racconti e le descrizioni delle donne che frequentano “per procura” i luoghi della cura – raccogliere elementi sufficienti a farsi un’idea del malessere dei loro partners, della violenza psicologica e non di cui sono capaci, dei disturbi di comportamento da cui sono afflitti, e a far sì che sia possibile, insomma, formulare una “diagnosi” in absentia.

Certo, una “diagnosi” di questo genere non serve a curare i fuggiaschi ma può servire a mutare prospettiva nel modo di considerare quanto accade attorno a noi, serve a chiedersi, se non altro, se e in che misura la fuga degli uomini da una riflessione su se stessi e dalla ricerca di una consapevolezza sul proprio mal-essere non sia, proprio questa la più temibile delle Malattie.

E’ questo oggi il compito paradossale dei “curatori d’anime”: curare in absentia, esportare la cura fuori dai luoghi privati solitamente deputati alla cura, fuori dal setting.

C’è un’emergenza a cui occorre rispondere con responsabilità e la risposta suona come un imperativo per gli “esperti” della Salute: {{oggetto prioritario di studio devono essere le patologie maschil}}i, ovvero, paradossalmente, proprio quelle patologie che, restando fuori dagli studi di psichiatri, psicanalisti e psicoterapeuti, non possono essere oggetto di studio.

Il paradosso – incentivare lo studio di ciò che si sottrae allo studio e alla ricerca clinica – va affrontato e, per farlo, in {{penuria di teorie sulla clinica del maschile}}, non resta che dar credito e prendere sul serio i discorsi e i “vissuti” di coloro che ne riferiscono e rivolgere, nel contempo, uno sguardo clinico alla storia, che è storia monogenere del patriarcato e del suo dominio.

L’incredibile e progressivo aumento di atti di violenza compiuti nelle forme più svariate dai rappresentanti del genere maschio contro le donne, convoca e chiama dunque direttamente in causa i limiti del Sapere “clinico” di alcune discipline, dei loro fondamenti teorici e delle varie pratiche di cura – psichiatrica, psicanalitica, psicologica e psicoterapeutica – denunziando al tempo stesso un’omissione e una trascuranza quanto mai sospette circa il mancato riconoscimento, da parte degli esperti e cultori di queste discipline, dell’estrema pericolosità delle patologie maschili, del loro carattere insidioso e dei loro effetti devastanti nel politico come nel sociale.

Questo {{mancato riconoscimento di un maschile patologico}} sommerso da parte dei/delle rappresentanti dell’{intellighentia psi}, non è né fortuito né innocente e crederlo sarebbe un’ingenuità: significherebbe ignorare – o misconoscere, pur essendone a conoscenza -il funzionamento dei dispositivi di potere che regolano, da sempre, la logica del dominio androcentrico e la sudditanza delle discipline “dell’anima” a tale dominio.

A {{rendere trasparente il legame di servitù e di connivenza fra le varie pratiche psi e l’esercizio politico del potere}}, è proprio questo vuoto, questa pagina bianca mai scritta sulle patologie maschili e sui loro effetti e, per contro, la smisurata attenzione rivolta alle patologie femminili, da Freud a seguire.

E poiché non c’è dominio che intenda rinunciare a se stesso e che non operi in vista della propria conservazione, non sorprende che all’interno di discipline che con esso colludono, sia silenziosamente all’opera una “Volontà di potenza” negatrice che si è sempre guardata bene dall’indagare e dal portare alla luce il sommerso delle patologie maschili e che continua nella sua Volontà di negarne o sottovalutarne la portata.

Inutile dire che per un dominio deciso a non rassegnarsi alla sua fine, lo svelamento di una verità e una reale presa d’atto sull’entità di queste patologie, sulla loro diffusione e sulle loro ripercussioni sociali, rappresenterebbero un colpo mortale.
_ {{Aspettarsi che a riempire questa pagina bianca sul Male maschile siano dei rappresentanti “psi” di genere maschio sarebbe vano}}: ciò che, da Freud in avanti, questi curatori d’anime privi di “per quel tanto che”, hanno mostrato di saper fare – peraltro assai mala-Mente, è sfruttare le “malattie” delle donne.