copertina fuller“Non importa […] che le donne possano sviluppare l’arte del narrare e il potere di pianificare, che esse possano scolpire il marmo oltre che disegnare. Ciò che importa è se esse siano riconosciute dotate di un intelletto da sviluppare, che siano considerate complete come esseri umani, se anche fossero solo governate dall’affetto e dall’abitudine”.

Basterebbe ciò per sintetizzare il valore de L’uomo contro gli uomini. La donna contro le donne di Margaret Fuller (Ortica Editrice, 2016), una raccolta di discorsi di un’apprezzabile femminista americana.
Si tratta di conversazioni che l’autrice ha tenuto a favore delle donne tra il 1839 e il 1843, tanto che lo stile del testo originale è stato mantenuto nella traduzione di Giuseppe Sofo.

L’eventuale opinabilità risiede nel trascendentalismo che spinge Margaret Fuller a ritenere dio l’unica entità alla quale affidarsi, l’unica bussola in mezzo al mare impetuoso della vita.

Una vita difficile, quella della scrittrice: finita tragicamente in mare poco prima di compiere 40 anni, insieme al marito Angelo Ossoli e al figlioletto.

Il suo testo è uno scalpello sulla ostinata rappresentazione della donna come un essere con limiti prestabiliti, in possesso di una quantità di ragione ridotta rispetto all’uomo.
Come se l’autonomia fosse un ossimoro del quadretto del focolare o, ancor peggio, una distruzione della presunta delicatezza del sesso femminile e uno svilimento della cura della famiglia.

Ma il grottesco si trova, in realtà, dentro l’immagine-gabbia nella quale la donna è saldata, violata, offesa. Demarcare i limiti della sfera delle donne è da sempre una narrazione e una pratica del potere maschile: esse devono essere belle, delicate, madri, spose, addirittura mansuete.

L’autrice invoca l’abbattimento delle barriere arbitrarie, affinché ogni strada sia libera/aperta per le donne come per gli uomini. E ciò perché una donna può possedere chiarezza di giudizio, coraggio, onore e fedeltà come dotazione personale senza bisogno dell’addestramento maschile.

Per Fuller, l’intelletto dell’uomo purtroppo è ancora così vanesio e immaturo da non capire che la donna non è nata per lui, ma innanzitutto per se stessa.
Per l’autrice, la lotta della donna nelle diverse epoche è sempre la stessa: il diritto di ogni essere vivente alla libertà di usufruire delle proprie risorse, di scoprire da sé il segreto delle stesse, senza che tale scoperta sia ostacolata da nessuno.

L’autrice, infine, individua quattro forme del pensiero dell’uguaglianza: la cooperazione familiare, secondo cui l’uomo provvede ai bisogni della casa, mentre la donna la governa; l’idolatria reciproca, dove le parti si adorano a vicenda, dimenticando il resto del mondo e costruendo una loro cella; la compagnia intellettuale: l’uomo trova compagnia nell’intelletto della donna; infine, l’unione religiosa, considerata dall’autrice il punto più alto.
In quest’ultimo caso, i coniugi fronteggiano insieme il fardello della vita, senza che nessuno di loro predomini sull’altro.

Maschile e femminile, dunque, sono rappresentati come due lati del grande dualismo della vita, possono fondersi, tenersi compagnia, non temersi.

Le istanze di Fuller a favore delle donne sono drammaticamente attuali. La questione femminile sarà un nodo sciolto solo quando la donna sarà libera dal compromesso, dalla compiacenza, dall’impotenza imposta. In altre parole, quando la si riterrà capace di ragionare senza limiti e forte delle sue risorse e delle sue scelte, qualsiasi esse siano.

da PaperStreet.it