Dall’11 al 15 novembre si terrà a Roma XX Congresso Mondiale dell’Energia Rome 2007 che cercherà di mettere insieme scienziati, dirigenti e imprenditori di tutto il mondo per dibattere e cercare di far emergere posizioni comuni in vista di una nuova attenzione globale sulle problematiche energetiche: sicurezza energetica, lotta al cambiamento climatico, sviluppo sostenibile.Si è tenuta questa settimana presso il Ministero degli affari esteri una tavola rotonda internazionale sul tema {{“Sicurezza energetica e politica estera italiana: la Prospettiva Europea}}” alla quale hanno partecipato i Ministri D’Alema e Bersani, il Commissario europeo dell’energia Piebalgs, e una serie di rappresentanti delle imprese del settore energia, del regolatore nazionale per l’energia elettrica e il gas, oltre a numerosi esponenti del corpo diplomatico accreditato in Italia.

I diversi interventi sono stati piuttosto omogenei tra loro e pressoché concordanti sulla necessità di trovare in Italia e in Europa una politica energetica efficace sia a garantire la sicurezza del soddisfacimento del fabbisogno energetico europeo per gli anni a venire, sia ad assicurare una gestione del cambiamento climatico, assunto come dato di fatto sia dalla politica che dal mondo del “business”, con ampie citazioni di dati tratti dagli ultimi rapporti internazionali più o meno catastrofici per il pianeta.

(In caso di inazione immediata, a livello globale, per contrastare urgentemente l’aumento di {{emissioni di CO2}} e degli altri gas prodotti dall’attività dell’uomo, considerati i maggiori responsabili del fenomeno noto come “effetto serra”, si dice che la Terra potrebbe trovarsi entro la fine del secolo ad affrontare catastrofi naturali irreversibili.)

Concordia pressoché generale (scienza/politica/business) sul fatto che la reale efficacia, ai fini della lotta al cambiamento climatico, di questa auspicata nuova politica energetica, che dovrebbe puntare al tempo stesso al miglioramento e superamento del {{Protocollo di Kyoto}}, dipenderà in massima parte dalla capacità degli europei di aggregare su obiettivi comuni, instaurando un dialogo costruttivo che sfoci in misure concordemente rispettate, anche le economie sviluppate che finora hanno rifiutato di aderire al Protocollo di Kyoto (USA, per fare solo un esempio), le economie emerse/emergenti e quelle in via di sviluppo. Queste ultime due categorie (che rappresentano 3 miliardi di persone, vale a dire circa la metà della popolazione mondiale) sono in effetti responsabili dell’enorme aumento della domanda di energia registrata a livello globale negli ultimi anni e quindi anche del conseguente incremento dello stock mondiale di emissioni di CO2 e gas serra, anche perché spesso utilizzano impianti industriali di vecchio tipo, magari acquistati da noi, molto meno efficienti dal punto di vista energetico e molto più inquinanti di quelli di ultima generazione, più costosi, che non si possono permettere.

{{Questa concordia generale può indubbiamente suscitare qualche diffidenza}}. C’è chi suggerisce infatti che l’allarmismo sul problema del cambiamento climatico sia eccessivo e controproducente e richiama l’attenzione su casi passati di scenari da “fine del mondo” che hanno distolto risorse importanti da questioni reali, per orientare l’attenzione del pubblico su rischi che generalmente si sono rivelati inferiori alle attese o inesistenti (vi ricordate, solo recentemente, tutto il “business” generato dalla paura della cosiddetta {{aviaria}}?).

Un po’ di {{diffidenza, devo ammettere, suscita anche il cambiamento recente di G. Bush}}, che finora non aveva manifestato grande entusiasmo sul tema, e che invece nell’ultimo discorso sullo stato della nazione ha dato chiari segnali di un’imminente cambio di rotta (mossa pre-elettorale o potenza di nuove lobbies industriali?).

In generale, se le imprese sono pronte ad abbracciare le tesi catastrofiste e ad assicurare il loro impegno, con investimenti massicci per migliorare l’efficienza energetica dei loro impianti, con investimenti nelle energie rinnovabili, con campagne di sensibilizzazione del pubblico, (distribuzione di lampadine a basso consumo, distribuzione di dispositivi frangiflusso per limitare il consumo di acqua calda, e simili) tutto allo scopo dichiarato di dare il loro contributo alla lotta contro il surriscaldamento globale (anche se spesso il loro ardore è vincolato almeno in parte al fatto di ricevere il dovuto sostegno dai governi e dalle istituzioni internazionali, anche sotto forma di contributi finanziari, sgravi fiscali, o garanzie di varia natura) forse non lo fanno per pura filantropia, ma perché ritengono che questo atteggiamento, alla lunga, paghi.

Nelle scorse settimane un grosso produttore di energia elettrica e uno di detersivi per la casa hanno lanciato una c{{ampagna pubblicitaria congiunta diretta alle casalinghe, in cui si vantano i benefici per il pianeta di un nuovo detersivo}} efficace anche a freddo e dunque ottimo per risparmiare energia elettrica e ridurre le emissioni di CO2.
_ Mi sembra ovvio che lo {{scopo primario della campagna sia quello di far vendere detersivi}}, non quello di far risparmiare energia, ma se non vi sono effetti collaterali non dichiarati, tipo scarichi idrici più inquinanti, o minore efficacia del lavaggio a freddo con il nuovo detersivo rispetto a batteri e virus, o altro che al momento non mi viene in mente, quasi quasi cambio detersivo anch’io.
_ Le imprese, in un modo o nell’altro, devono far soldi, se no non sopravvivono, è normale che badino al profitto. Se possono scegliere di far soldi in maniera più pulita e più favorevole all’ambiente, con minori sprechi di risorse naturali esauribili, tanto meglio per il bene del pianeta.

Tuttavia, forse è anche bene anche restare vigili e {{accertarsi che i costi, enormi, della lotta al cambiamento climatico, non siano poi fatti tutti ricadere, direttamente o indirettamente, sulla collettività}}.

Uno degli studi più autorevoli, il {{ [Rapporto Stern->http://www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/stern_review_report.cfm]}}, calcola nell’1 per cento del Pil mondiale, cioè {{450 miliardi di dollari all’anno, il costo necessario per sconfiggere la minaccia posta dal cambiamento climatico}}. C’è chi sostiene che questo costo, per debellare una minaccia potenziale e ancora troppo vaga, futura e incerta, sia assurdo. Non assurdo in sé, ovviamente, ma assurdo perché basterebbe molto meno per eliminare dalla faccia dela Terra problemi gravissimi, attuali, immanenti, che affliggono il mondo {hic et nunc}, quali la fame, la sete, l’accesso a cure sanitarie degne, l’accesso all’istruzione, ecc.

In altre parole, si dice che basterebbe molto meno per centrare gli {{obiettivi del Millennium}}, che invece fino a questo momento non sono stati seriamente perseguiti (se non ricordo male il costo per il raggiungimento degli obiettivi del Millennium, cioè grossomodo per estirpare la piaga dell’estrema povertà nel mondo, era stato stimato dalle Nazioni Unite in una cifra dell’ordine di 75 miliardi di dollari l’anno) e quindi è molto poco probabile che siano raggiunti nel termine prefissato (2015).

A volte mi chiedo se non abbiano un po’ di ragione anche gli scettici.