Dalla provincia di Kabul alla provincia di Roma: un documentario introvabile e atroce sulle violenze alle donne afgane al Festival dei corti di Trevignano; un documentario che dovrebbe essere immediatamente trasmesso nelle reti televisive e non solo.
{{Trevignano}} è un ridente paesino alle porte di Roma che si distende lungo la sponda ovest del Lago di Bracciano. Rimasto isolato fino agli avanzati anni ’40 da ogni circuito stradale che non fosse bianco, il paesetto ha mantenuto la sua dimensione raccolta e la sua fisionomia incantevole di antico villaggio di pescatori, incluso un felice rapporto con la fauna lacustre che da sempre coabita le sponde insieme ai bagnanti.. Pure {{un vezzo culturale}}, un posticino così appartato (grazie alla costanza e profondità che distinguono la cultura contadina e artigiana, qui non ancora estinte) se l’è saputo costruire: {{il cinema}}.

{{La sala Palma}}, che da sola merita un racconto a parte, nasce nel ’39 per volontà di Fabio Palma, un artigiano che costruiva originariamente le parti in legno degli aeroplani a Vigna di Valle, ma che, con la sua esperienza, era arrivato a cambiare la forma delle barche locali. Ricco di ingegno e intraprendenza comperò un bel giorno una macchina da proiezione Balilla………… Il Cinema Palma consta attualmente di due sale, di cui una d’essai, servite benissimo da una distribuzione curata ( personalmente da Fabio Palma nipote con molta finezza, pur amando non darlo a vedere..) e rappresenta la consolazione e l’orgoglio degli abitanti, spesso in anticipo sulle tendenze metropolitane.

Da tredici anni vi si tiene pure, con esiti galvanizzanti , {{un Festival Internazionale del cortometraggio}}, a cura di William Azzella, già membro della giuria dell’analogo e più famoso Festival di Clermond Ferrand. Merito di questa rassegna, oltre all’assegnazione di premi numerosi, che favoriscono la produzione cinematografica di giovani talenti qui molto “coccolati”, è quello di proporre ogni anno {{il meglio dei cortometraggi su scala addirittura mondiale}}, favorendo la sprovincializzazione del gusto e l’apertura alle questioni culturali, di natura sociale, più impellenti. E’ interessante vedere come ogni anno gli argomenti narrativi si coagulino intorno a temi precisi, come vengano o no ascoltate le istanze emotive e sociali rappresentate, come e perché vincano o perdano, cosa condizioni la scelta.

Un anno fa il tema più insistito fu la solitudine dei bambini, riuscito secondario rispetto ad altre energiche proposte. In questo 2007, di certo, {{l’argomento di fondo è la solititudine tout court,}} interpretata in tutte le gamme possibili, con segnali inquietanti di durezza esasperata o di invincibile malinconia. La palma della Palma di Trevignano, su questo tema, è andata al belga “Tanghi Argentini” ( un film adorabile e assolutamente perfetto) e all’italiano “Armando” (per la grazia narrativa che trasmette in modo fulmineo concetti complessi attraverso metafore impreviste e divertenti). Vincitori anche “Fine corsa” (stessa produzione di Armando) e “Carmilla”.

Ma il merito eccezionale di quest’anno è stato quello di riservare{{ il consueto “evento speciale” alla giovanissima studentessa afgana, Alka Sadat,}} e al suo tragico documentario sulla condizione femminile nella regione di Herat, dove al momento sono stanziate le nostre forze militari. Particolare discusso, fra l’altro, come possibile elemento a rischio di strumentalizzazione politica.

Comunque stiano le cose, si è trattato di {{un evento dal significato dirompente oltre le aspettative}}, anche per le infinite contraddizioni con le quali si è presentato. Alka è arrivata in Italia su un aereo militare per mancanza di voli e il suo film si è rivelato estremamente esplicito sulla insostenibilità di una qualsiasi esistenza per la popolazione femminile di quella regione, destinata in altissima percentuale al rogo. Sembra incredibile un bilancio così estremo, ma queste fragili, spesso bellissime creature, considerate, come è noto, soltanto proprietà e non persone, vivono l’orribile contraddizione di un complicato nodo paternalistico all’apparenza irrisolvibile: i padri sono abituati a vendere le figlie ad anziani di 70 e 80 anni con qualche gruzzolo, oppure a giovani appartenenti a famiglie numerose, dove vengono inserite come schiave e subissate di lavoro e pestaggi. Va da sé che le più esposte siano le più belle e giovani che non appena si azzardano a difendere un barlume di coscienza di sè, vengono piegate senza indugio con una tanica di benzina che deve annullare la loro bellezza ed esasperarne il dolore. La situazione è talmente incarognita e angosciosa che le più fragili si danno fuoco da sole, cercando una sopravvivenza in ospedale, lontano dagli inferni umani ai quali sono destinate.

{{Il documentario di Alka Sadat è assolutamente trasparente}}: propone immagini di volti teneri e meravigliosi , segnati dal fuoco e schiantati dall’angoscia e dal dolore; si colgono tremanti, sfiancate ammissioni delle violenze subite e visibilmente ancora in agguato; mani, braccia, gambe, gestite con infinita esitazione e sofferenza, appartenenti, a un numero sterminato di creature del tutto disarmate e di per se incantevoli…e una orribile, incontrollabile situazione di paura: insomma una ferocia e una perversione intollerabili.

Rispetto alla proiezione di questa immensa sciagura {{l’intervento dell’ambasciatore afgano}}, presente per l’occasione, ha suscitato uno sgomento indicibile e una vigorosa protesta. L’assuefazione a questa realtà lo ha fatto esprimere in modo indifferente ed evasivo, con un eloquio che ha occupato una durata spropositata senza nulla dire, se non che ci vorrà molto moltissimo tempo, che c’è una legge recente che tutelerebbe la popolazione femminile, ma che non esistono i soggetti per farla rispettare. (Ovviamente il pensiero va subito alle forze internazionali sul posto…quale occasione migliore d’impiego?)

{{L’interprete governativa}}, una bella signora afgana dai gusti apparentemente europei e visibilmente aristocratica, si teneva {{a rispettosa distanza da lui}} (diciamo 2 metri, sì 2 metri), non avendo alcuna dimestichezza con il tradurre e dicendo sommessamente pochissimo del poco già espresso con voce inudibile. A proposito della reale situazione femminile in fatto di frequenza universitaria e formazione professionale non si è sentita una sola parola, nel senso letterale che mai sono state proferite le parole università o professione: il massimo volo concesso è stato il riferimento a “donne educate” esistenti in Afganistan (si presume che la sommessa interprete ne fosse un esemplare), con tutta l’ambiguità classista che la definizione contiene.

{{E’ Alka a permetterci di capire meglio}}. Alka per la quale si è costruito un evento nel quale non ha avuto lo spazio per parlare, se non per ricordare, con una minima obiezione al suo ambasciatore, che il tema trattato era la folla di donne minacciate e non le pochissime protette (un ministro e un diplomatico di sesso femminile) indicate come segnale di una crescita culturale afgana in senso femminista. Ci racconta, {{questa studentessa di ventuno anni}} dallo sguardo profondo e l’espressione attenta, che nelle città come Kabul le ragazze piccolo e medio borghesi vanno all’università e provano a esercitare professioni ( lei ha una tessera di giornalista, ad esempio), ma che {{il divario fra città e provincia è incalcolabile}}, come ha provato a dire.

Esistono {{associazioni internazionali di donne afgane che sostengono le loro compagne}}: il suo documentario nasce così, con l’aiuto di un’associazione femminista esterna all’Afganistan e la collaborazione di una sorella più grande, regista nota. Questo suo documentario è stato visionato e proposto da Philippe Jalladeau, direttore della cinematografia francese a Nantes, presente in giuria…. Alka si augura che dal suo documentario (per inciso di notevole valore e in via di acquisizione da parte di Adnkronos) le vengano le risorse per intraprendere in India gli studi di regia. Non sono mancate e non mancheranno a questa ragazza schietta e forte le attenzioni e la solidarietà femminile di tante accorse a circondarla. Una vivace signora persiana e qualche amica più esperta si sono scoperte in pochi minuti doti manageriali improvvisando su due piedi il modo di proteggerne l’opera d’ingegno, di sollecitare sponsor a vario titolo… ma questo è un altro film.

Ciò che davvero dovrebbe avere spazio immediato è proprio la sua opera viva, questo suo {{film documentario preziosissimo che merita, anzi pretende di essere trasmesso e subito sulle reti televisive}} per favorire la presa di coscienza e l’emergere della rabbia. E’ così truce questa violazione di diritti umani , che non si arriva neppure a concepire senza la mediazione dello sguardo coraggioso di Alka.