Tornata a Milano dopo l’esperienza della Repubblica romana, nel ’50 Laura Solera fondò il Ricovero per lattanti e slattati (che raccoglieva bambini tra i 15 giorni di vita e i due anni e mezzo) con sedi in vari quartieri della città, e una scuola per adulte analfabete.Laura Solera nacque a Milano nel 1813, in una famiglia in cui -nonostante la Restaurazione- si erano mantenuti vivi il legame cogli ideali rivoluzionari e la domanda di indipendenza nazionale: val la pena di ricordare che Francesco Solera, zio di Laura ed ex ufficiale napoleonico, fu nel ‘48 ministro della guerra nella repubblica guidata da Daniele Manin a Venezia, e che il cugino Temistocle compose il libretto di famose opere verdiane quali, ad esempio, il Nabucco.

La stessa Laura fu uno straordinario esempio della sensibilità etica, civile e politica che animò il protagonismo femminile di matrice democratico-repubblicana lungo il processo risorgimentale.
_ Dopo il matrimonio con Giobatta Mantegazza, all’età di diciassette anni, si trasferì a Monza, dedicandosi personalmente all’istruzione di base dei tre figli; in questo suo impegno fu influenzata dalla conoscenza del pensiero e delle iniziative dell’abate Raffaello Lambruschini, dalla sua idea di religione utile alla società e dalla sua lettura civile del ruolo delle “donne bennate” per la “rigenerazione sociale” d’Italia.

Allo scoppio della rivoluzione, durante le {{cinque giornate di Milano}} Laura fu subito in prima fila nella raccolta di fondi e nell’organizzazione dell’assistenza ai patrioti, incaricata ufficialmente dal Governo provvisorio della Lombardia dell’istituzione di un servizio di ambulanze per il soccorso ai feriti.

Nello stesso frangente compose anche un breve scritto dal titolo de { {{Madre lombarda}} }, con cui incitava le concittadine all’impegno civile e politico e lei stessa si orientava ormai chiaramente in senso repubblicano.

Al momento del fallimento della rivoluzione la Solera continuò a ricoverare e curare feriti nella sua villa di Cannero, sulla sponda piemontese del Lago Maggiore, insofferente di tutte le limitazioni che doveva subire in quanto donna nella partecipazione alla mobilitazione. Nella primavera del ’49, mentre il marito era accorso volontario alla difesa delle Repubblica romana, gli scriveva una lettera di fuoco in cui così si lamentava:

{Quanto mi duole di non essere a Roma anch’io. Non ch’io creda importante la mia presenza, Dio me ne guardi. (…) D’altronde, se potessi partir sola, parrebbe una cosa ridicola. Sembrerebbe che dessi un’eccessiva importanza alla mia utilità. Se fossi uomo si troverebbe giusto che mi battessi per l’indipendenza, ma a una povera donna non è neppure concesso di farsi illusione sul proprio meschino contributo. Non ho mai tanto maledetto il mio sesso!}

D’altra parte, finita l’eperienza della Repubblica, la famiglia Mantegazza manovrò per addossare direttamente a lei la responsabilità delle scelte politiche del marito, determinando in sostanza la separazione tra i due.
_ Tornata quindi a Milano, senza lasciarsi vincere dal “ronzio malevole” che la circondava -come lei stessa afferma- nel ’50 Laura fondò il Ricovero per lattanti e slattati (che raccoglieva bambini tra i 15 giorni di vita e i due anni e mezzo) con sedi in vari quartieri della città, e una scuola per adulte analfabete.

Durante la seconda guerra d’indipendenza e l’impresa dei Mille, mentre i figli Emilio e Paolo (futuro noto esponente del positivismo italiano) si arruolavano tra i volontari, la Solera Mantegazza tornò al centro di una ricca rete di iniziative per il sostegno economico a Garibaldi (confezione e vendita di coccarde, lotterie a favore dei garibaldini, vendita di foto del Generale per il fondo sacro al riscatto di Roma e Venezia, ecc….), entrando in contatto e supportando il gruppo femminile che lavorava nelle file del partito d’azione.

Per il “desiderio del cuore di avere ogni giorno, ogni ora sue notizie”, dopo Aspromonte si recò personalmente ad assistere Garibaldi alla fortezza di Varignano, presso La Spezia, continuando a svolgere un ruolo di coordinamento degli aiuti materiali, economici e politici a sostegno del Generale e dei garibaldini in difficoltà.

Dopo l’unità ideò un'{{associazione tra donne italiane}} per la promozione di prodotti nazionali e quindi per il boicottaggio anti-austriaco ed anti-francese, un’azione che doveva essere anche uno strumento per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei ceti popolari.

Rimasto sulla carta questo progetto, negli stessi mesi fondava a Milano -insieme con Ismenia Sormani- l'{{Associazione Generale di Mutuo Soccorso per le Operaie}}, il cui motto recitava: “Lavoro, affetto, istruzione”: le socie promettevano, infatti, di essere figlie affettuose e ottime madri, così come cittadine attive e premurose nell’istruirsi.

Tale società mutualistica femminile fu presto tra le più avanzate ed efficienti d’Italia, con gestione tutta femminile e sussidi non solo di malattia, ma anche di maternità, di vecchiaia e più tardi di cronicità.
_ Nel ’67 la Solera vi affiancò una sezione di lavoro e cucitura a macchina, che doveva sostenere le socie nei periodi di disoccupazione, e ancora un fondo per prestiti, doni di nozze e sussidi a vedove e nubili.

All’associazione furono collegatae anche una scuola festiva e una scuola gratuita di “cucitura meccanica”, dove si dava la possibilità di acquistare a rate una macchina da cucire; la sua ultima impresa fu la fondazione di una scuola professionale che -sotto la guida dell’amica e “discepola” Alessandrina Ravizza- divenne un esperimento d’avanguardia nell’istruzione femminile del tempo con l’insegnamento di discipline come la computisteria, il disegno industriale e la pratica commerciale.