Ventiquattro ore senza di noi. Così si chiama la giornata di sciopero degli immigrati indetta
per il 1° marzo. Una sfida a illuminare per sottrazione una presenza e un lavoro essenziali e
nascosti. Un’espressione semplice e bella, che ci coinvolge e sollecita a esprimere qualche
riflessione.Siamo alcune delle autrici del [Sottosopra – Immagina che il lavoro->http://www.libreriadelledonne.it/Stanze/Lavoro/stanzalavoro.htm]. In quel testo affermiamo che
il “lavoro necessario per vivere” è l’insieme di lavoro retribuito (stabile, precario,
sommerso) e di lavoro di riproduzione dell’esistenza (non retribuito). _ Diciamo che questo
vale per le donne e per gli uomini.
_ E che {{il lavoro di riproduzione dell’esistenza non è
archeologia domestica}}, non è destinato a ridursi, anzi è matrice del futuro da molti e diversi
punti di vista.

Il lavoro delle/i migranti si inserisce soprattutto – non esclusivamente – qui. Nella massiccia
richiesta di lavoro di cura: nei servizi pubblici e privati e, specialmente nei paesi del Sud
Europa, nel privato delle singole famiglie.

Questo aspetto della globalizzazione è così
imponente che, come suggeriscono alcune analisi, si potrebbe affermare che oggi i paesi
poveri sono “le donne” che si prendono cura dei paesi ricchi.
_ Un aspetto che pur nella sua
sconvolgente evidenza, non dovrebbe oscurare risvolti e possibilità che si aprono nella vita
di ognuno e ognuna di noi, autoctoni e migranti, per narrarsi e agire.

In primo luogo l’ascolto e lo scambio con le donne migranti: {{l’esperienza lavorativa delle
donne va ascoltata e narrata}} senza applicare schemi preconcetti.
_ Perché i due sessi sono
asimmetrici e hanno desideri e bisogni differenti anche nel lavoro, non solo nelle
relazioni amorose e sessuali, che li fanno confliggere.

Analisi e testimonianze ci dicono
che, in particolare per le donne, l’esperienza della migrazione, del vivere lontane dal
contesto culturale e sociale di origine, del guadagnare un reddito, del diventare in moltissimi
casi {breadwinner}, coloro che mantengono la famiglia nel paese d’origine, rappresentano
{{passi di libertà}} cui, nonostante le difficoltà e lo sfruttamento, non vorrebbero rinunciare.

Ma
che si trasforma anche, assai spesso, in una impossibilità di vivere “il doppio sì” – il
desiderio di lavorare e il piacere della maternità -, con i figli che crescono lontani.
_ {{La professionalizzazione di molti di questi lavori di cura}} (contratti di lavoro, organizzazioni
autonome che formino e che tolgano spazio alle intermediazioni illegali) è il passo più
importante per incominciare ad affrontare molte delle contraddizioni nascoste: migliora le
condizioni di lavoro, può valorizzare le competenze legate ad alcuni lavori sottraendoli
all’area indistinta della naturalità femminile, può incrociare una richiesta di welfare più
articolato e flessibile.

Infine, ma non meno importante, {{mette i datori di lavoro domestico,
donne e uomini (perché di entrambi è il problema), di fronte a responsabilità precise}} e
affrontabili. Non a colpevolizzazioni che tolgono lucidità, libertà e voglia di agire.