Da “Osservatorio Iraq” in “News on line Un ponte per” riprendiamo la traduzione dell’articolo di Tina Susman sul “Los Angeles Times” lo scorso ottobre sulle divisioni nel mondo iracheno riguardo il trattamento delle donne nella costituzione: l’art. 41 aprirà la strada alla shari’a? Baghdad – Sono passati quasi 30 anni da quando si è sposata, ma la parlamentare irachena {{Samira Musawi}} continua a indignarsi di fronte a quello che considera l’oltraggio finale: {{una legge che richiede testimoni per certificare la cerimonia.}}
Lei e il suo futuro marito hanno acchiappato una coppia di estranei, dato loro circa 10 dollari a testa, e sono stati legalmente sposati.

“Non conoscevo neppure queste persone; avrebbero potuto essere teppisti”, dice la Musawi degli uomini che hanno convalidato la cerimonia civile del 1979, in un tribunale della zona ovest di Baghdad.

Questo ricordo è una delle ragioni per cui la {{Musawi}}, che presiede la Commissione parlamentare per l’infanzia, la famiglia e le donne, sostiene l’articolo 41, una clausola della costituzione a interim irachena che per i sostenitori {{impedirà l’intromissione statale nelle questioni civili,}} consentendo agli iracheni di sposarsi, divorziare, decidere sulle successioni ereditarie, e sistemare altre questioni personali secondo la propria confessione religiosa. Per esempio, secondo la legge sciita, non sono necessari testimoni per sposarsi, ma per i sunniti ne servono due.

Ma una battaglia sulle potenziali conseguenze dell’articolo ha rappresentato uno scoglio per i parlamentari che cercavano di portare a termine una costituzione entro la fine dell’anno.
_ L’articolo 41 è solo una riga di un documento di 16 pagine, ma, secondo i critici, è la peggiore.
_ Chi si oppone, inclusi gli attivisti per i diritti delle donne e gli studiosi di legge, dice che quella frase mal formulata {{apre la porta per deliberare secondo interpretazioni draconiane della legge islamica}} che potrebbero approvare la lapidazione delle donne adultere, consentire che ragazze minorenni vengano costrette al matrimonio, e permettere agli uomini di abbandonare le proprie mogli declamando per tre volte “io ti ripudio”.

Nella città meridionale di Bassora, ci sono già {{avvisaglie di estremismo religioso utilizzate per tenere sotto controllo le donne}}. La polizia dice che bande che stanno imponendo la loro idea di legge islamica il mese scorso hanno assassinato 15 donne. “Ci sono bande che scorrazzano per le strade…che perseguitano, che minacciano e che uccidono le donne per quello che indossano o perché usano truccarsi”, ha detto questo mese il comandante della polizia di Bassora, Generale Abdul Jalil Khalaf.
_ A volte sui corpi delle donne {{vengono lasciati biglietti}} che dicono che sono state assassinate per aver violato la legge religiosa o le tradizioni sociali.

“E’una presa in giro per noi, quando si parla di libertà”, dice Hanaa Edwar, che dirige {{l’associazione irachena Amal}}, un gruppo per i diritti umani che si oppone all’articolo 41. “Non ci saranno scelte per le donne se un uomo prende la decisione di vivere in un certo modo. Passo dopo passo, finiremo in uno Stato religioso”.

La controversia sottolinea la presenza di un dibattito più vasto qui su quanto ampio dovrebbe essere {{il ruolo che la religione gioca nella vita degli iracheni}}. Sottolinea anche le insufficienze della Costituzione originale, che è stata scritta nel 2005 da parlamentari iracheni eletti di recente alle prese con una scadenza imposta dagli Stati Uniti.

{{Una nuova stesura del documento}} è uno dei parametri voluti dall’amministrazione Bush per porre le premesse di un eventuale ritiro delle truppe Usa. Ma è stata rimandata per tre volte, mentre i parlamentari contrattano su questioni come i poteri delle province, le libertà culturali e religiose, e la distribuzione dei proventi petroliferi.

{{Dei 25 membri della commissione incaricata di riscrivere la Costituzione sono solo tre le donne}}. Si scontrano con una formidabile opposizione da parte dei deputati sciiti che dominano il Parlamento iracheno, compreso Humam Hamudi, che presiede la commissione.
_ Hamudi, le cui tuniche e il cui turbante attestano la devozione religiosa, si fa beffe dell’opposizione all’articolo 41. “State considerando la questione come un grosso problema!”, dice ridendo. “Questo è un tipo di libertà. Questa è l’era della democrazia”.
_ La {{Musawi è d’accordo}}. Sciita, che indossa una formale tunica nera e un velo leopardato in testa, lei dice di non volere che i non musulmani siano governati dal suo credo. L’articolo 41 garantisce che ciò non possa accadere, dice.
_ Ma, aggiunge, esso riconosce anche la realtà dell’Iraq del dopo Saddam Hussein, dove la maggior parte dei deputati, comprese molte delle 75 donne nel Parlamento composto da 275 seggi, rappresentano partiti religiosi sciiti.
_ “Se mi chiedi se desidero una società teocratica, ti risponderò di no. Ma, allo stesso tempo, non posso ignorare il fatto che la religione è parte della nostra esistenza, e dobbiamo accettarlo” dice la Musawi.

Per molte donne irachene, la cosa che ha fatto loro ricordare la posta in gioco è diventata chiara a maggio, quando è circolato un video di {{una ragazza di 17 trascinata da una folla chiassosa di uomini}} che l’hanno colpita a morte con sassi e sampietrini. La giovane, la cui orribile morte era stata ripresa da alcune telecamere di cellulari, aveva violato le regole della sua minoranza yazida intessendo una relazione con un uomo musulmano. Il suo omicidio e le rappresaglie contro i yazidi che ne sono seguite illustrano {{i problemi inerenti al non avere un’unica legge per tutte le questioni domestiche irachene}}, dicono i critici dell’Articolo 41.

Tre dei cugini della ragazza sono in galera in attesa di processo in relazione alla sua morte. Molti yazidi hanno condannato l’incidente, ma dicono anche che si tratta di una questione tribale interna che non giustifica l’attenzione dei media o degli stranieri. Questa attitudine preoccupa gli attivisti per i diritti delle donne, che dicono che la religione e la cultura tribale potrebbero essere utilizzate per difendere coloro che perpetrano simili violenze.
_ “Sono sicura che ascolteremo sempre più storie come questa”, dice Luma Ali, una studentessa di ingegneria di 23 anni che è contraria a qualsivoglia ruolo della religione nel governo. “Non posso credere che questo ancora accade a noi donne”.
“{{È davvero un mondo insicuro l’Iraq per le donne}}”, dice un’amica che ha avuto paura di rivelare il suo nome. “In Iraq tutto è soggetto a sviluppo – tutto escluso il modo in cui le donne dovrebbero vivere, sposarsi, e morire”.

I sostenitori dell’Articolo 41 dicono che la legge penale e gli accordi internazionali sui diritti umani impedirebbero ai killer della giovane yazida di utilizzare la disposizione per giustificare le loro azioni. Ma gli oppositori non sono disposti a correre questo rischio.
_ Durante una conferenza stampa che si è svolta ad agosto a Baghdad, 10 parlamentari donne avevano proposto di sostituire l’articolo 41 con la vecchia legge sul diritto di famiglia del periodo di [Saddam] Hussein, che traeva spunto dagli insegnamenti islamici e dalle tradizioni tribali ma era stata considerata radicalmente liberale per il Medio Oriente.
_ Prima approvata nel 1959 e più tardi emendata, la legge consentiva a un uomo di avere fino a quattro mogli, ma solo dopo aver ottenuto il permesso della prima moglie, e dopo aver persuaso un giudice di essere in grado di mantenere più di una donna. Alle figlie femmine si garantiva un’eredità pari a quella per i figli maschi e, in caso di divorzio, la custodia dei figli non andava automaticamente al padre. Le donne potevano divorziare da mariti violenti, e i matrimoni forzati erano vietati.

{{Ufficialmente, l’Iraq è una Repubblica Islamica}}: la Costituzione dichiara l’Islam religione di Stato e “una fonte essenziale della legge”. Le leggi sono promulgate da una assemblea legislativa rappresentativa, attuate da un ramo esecutivo, e soppesate da uno giudiziario.
_ Culturalmente, {{le radici di uno Stato religioso stanno diventando evidenti:}} le strade di Baghdad sono un mare di donne velate, e i cartelloni pubblicitari che mostrano i più influenti leader sciiti del Paese sono comuni. Le organizzazioni non governative sono ostacolate nei loro tentativi di migliorare l’educazione e la formazione professionale delle donne. I gruppi per i diritti umani dicono che i così detti delitti d’onore, per quanto non diffusamente riportati dalla cronaca, sono comuni nelle regioni remote.

{{Isobel Coleman del Council on Foreign Relations}}, che ha fatto da consulente a gruppi di donne durante la stesura della costituzione, dice che {{aveva messo in guardia sulla possibilità che la shari’a si potesse infiltrare nella vita quotidiana degli iracheni}}.
_ “Non è che questi temi non siano stati dibattuti e sviscerati, ma si è cercato di ignorali da parte di tutti”, dice. “Tutti volevano tralasciarli”.
_ “Dicevo loro: ‘Cosa avete intenzione di dire sulla shari’a nella costituzione?’ E loro dicevano:‘Non ci sarà shari’a nella costituzione’. Credo che ci fosse una sensazione di rifiuto tra alcuni dei gruppi di donne più laici, e forse una disconnessione tra il loro mondo e quello dei religiosi iracheni che stavano andando al potere”, dice.

Da allora, i {{problemi di sicurezza dell’Iraq hanno duramente ostacolato la capacità degli attivisti di organizzare proteste}}, come avevano fatto nel 2003, quando il Governing Council provvisorio aveva tentato per la prima volta di ripristinare decreti dell’era di Saddam.
_ “Ci sono troppe paure ora”, dice {{Alia Nasayif Jassim,}} una delle due donne della commissione di revisione della costituzione, che è diventata visibilmente frustrata quando ha parlato della sua incapacità di imporre un cambiamento. “Le nostre voci sono semplicemente troppo deboli”.
_ Jassim, che è sciita, dice che è {{una sfida}} esprimersi pubblicamente contro l’Articolo 41 senza essere considerati difensori della legge di [Saddam] Hussein. “Ci sono timori su qualunque questione legata al vecchio regime”, dice.
_ Gli attivisti dicono di avere {{poche speranze nell’aiuto da parte degli Stati Uniti,}} che nel 2003 misero un veto a un tentativo di imporre la legge islamica.
_ “È difficile per noi esercitare pressioni in modo incisivo, e dire ‘questo è sbagliato, questo è giusto’”, dice un diplomatico occidentale. “Se dai il messaggio con troppa forza, sembra che tu non sia sensibile alla loro religione o alla loro storia”.
_ La {{Edwar}} dice che la sua organizzazione ha chiesto aiuto alla presidente della Camera dei Rappresentanti, {{Nancy Pelosi}} (Democratica eletta a San Francisco), ma {{non ha ricevuto risposta}} a una lettera spedita a maggio.

_ {Hanno contribuito a questo articolo Zina Karim e Wail Alhafith, giornalisti del Los Angeles Times
_ (Traduzione di Simona Cataldi)}