La Corte d’Assise doveva decidere se l’aiuto fornito dal leader radicale a Fabiano Antoniani configurasse un reato. L’associazione Luca Coscioni: “Occasione per superare un reato introdotto in epoca fascista”. Il medico di Welby: “Scelta gravosa ma coraggiosa”

Articolo di ZITA DAZZI su Repubblica.it

Non c’è stata l’assoluzione che molti si attendevano per Marco Cappato, il leader radicale che si era autoaccusato dell’aiuto al suicidio per dj Fabo. Ma neppure la condanna. La questione finisce alla Consulta. Il tribunale di Milano ha deciso, dunque, che la materia merita l’analisi della Corte Costituzionale.  Esultanza di pm, imputato e parenti di Fabiano

Cappato è stato assolto, invece, dall’altro reato di cui era accusato: di aver rafforzato, cioè, il proposito suicidiario di dj Fabo. “Voglio dire grazie alla scelta di Fabiano per quello che ha fatto e che clandestinamente fanno molte persone ogni anno – è il commento dell’imputato – E’ ora che la politica agisca, aiutare Fabo a morire era un mio dovere”.

La lettura dell’ordinanza dura un’ora, un tempo lunghissimo, da record. Alcuni passaggi sono molto tecnici, altri quasi filosofici come quando si dice che all’individuo va “riconosciuta la libertà” di decidere “come e quando morire” in forza di principi costituzionali. Per i giudici, in sostanza, Cappato non ha rafforzato il proposito di Fabo di morire e la parte della norma che punisce l’agevolazione al suicidio senza influenza sulla volontà dell’altra persona è costituzionalmente illegittima.

Deciderà la Consulta. E lui si commuove: “Aiutare Fabo era un mio dovere”

Il pronunciamento del tribunale – che arriva dopo una camera di consiglio durata cinque ore – era attesissimo. Perché va ben oltre la questione penale, investe l’etica, ragiona sul diritto delle persone di determinare la propria vita. E la propria morte. In questo senso l’associazione Luca Coscioni parla “di un’occasione senza precedenti per superare un reato introdotto nell’epoca fascista”. Mentre Mario Riccio, il medico che staccò il respiratore a Piergiorgio Welby, commenta: “Mi sento molto orgoglioso come cittadino italiano. La Corte ha fatto una scelta gravosa ma coraggiosa”. Valeria Imbrogno, la fidanzata di Fabo che ha seguito ogni battuta del processo e, prima, ogni istante di dolore di Fabiano dice: “Sono molto felice, è una vittoria non solo di Fabo, ma per tutti quelli che vogliono accedere al suicidio assistito”.

In pratica i giudici hanno accolto la richiesta che l’aggiunta Tiziana Siciliano aveva avanzato in seconda battuta. La sua prima richiesta, infatti, era stata l’assoluzione per il leader radicale. Siciliano e la collega Sara Arduini avevano messo in luce il fatto che Cappato aiutò Fabo “a esercitare un suo diritto, non il diritto al suicidio ma il diritto alla dignità” nel morire.

Ma in seconda istanza Siciliano aveva chiesto l’eccezione di illegittimità costituzionale. E il tribunale, infatti, ha deciso di trasmettere gli atti alla Consulta affinché valuti la legittimità “dell’aiuto al suicidio”, reato che prevede una pena tra i 6 e i 12 anni di carcere. La pronuncia della Corte Costituzionale, oltre a incidere sul processo a Cappato, potrebbe indicare una strada in una materia, quella del ‘fine vita’, che pone molti interrogativi etici e giuridici e solo con la recente legge sul testamento biologico ha trovato una prima risposta da parte della politica.

Il processo a Cappato davanti alla Corte presieduta da Ilio Mannucci Pacini (a latere Ilaria Simi De Burgis e sei giudici popolari) era iniziato lo scorso 8 novembre. Nel corso del dibattimento ci sono stati molti momenti toccanti come la proiezione in aula dell’intervista che Fabo rilasciò a Le Iene un paio di settimane prima di andare a morire a Zurigo.

“La disobbedienza civile di Cappato – dice Filomena Gallo, segretario dell’associazione Coscioni – ha fatto emergere situazioni di vita che riguardano tutti”. Gallo giudica la decisione del tribunale di Milano un’occasione per consentire “alle persone capaci di intendere, affette da patologie irreversibili con sofferenze, di ottenere legalmente l’assistenza per morire senza

soffrire anche in Italia, senza bisogno di dover andare in Svizzera”.

L’aula del tribunale milanese era stracolma di pubblico fin delle prime ore del mattino, mentre fuori c’erano due presidi contrapposti, uno dei radicali, sostenitori di Cappato, l’altra di ultrà cattolici che chiedevano la condanna. Questi ultimi inalberavano cartelli che ricordavano la vicenda di Eluana Englaro ed effigi della Madonna.