Mi riferisco all’articolo di Fulvia Bandoli “E se parlassero solo gli uomini?”
e alla risposta di Paola Zaretti “Non togliamo più le castagne dal fuoco”.I
pregnanti interrogativi che Bandoli si pone e ci pone sono essenzialmente
due:

-perché gli uomini non amano parlare della violenza contro le donne e quelle
poche volte che lo fanno non partono da se stessi ma parlano in prevalenza
delle vittime?

-come mai le donne forniscono un alibi al silenzio maschile, prendendo
“pervicacemente” la parola e riferendosi anche loro quasi esclusivamente
alle vittime, senza nominare “i molestatori e i violentatori”, né la loro
discutibile sessualità?

A me pare che le risposte ci siano. Mi limito qui a darne qualcuna, volta ad
indirizzare verso la scelta di “quell’Atto etico politico rivoluzionario che
appartiene alla soggettività femminile” auspicato da [Zaretti->https://www.womenews.net/spip3/spip.php?article3098].

{{Gli uomini non
partono da sé}} nei loro discorsi e si defilano volentieri in una dimensione
ideale-generale-astratta perché non stanno nel loro corpo. La sistematica
svalutazione della dimensione corporea-particolare-concreta deriva, tra l’
altro, dal fatto che, in sintonia con l’esperienza del corpo, {{la loro
energia psichica è direzionata verso l’esterno}}, perciò essi sono poco
portati all’introversione e ricercano fuori di sé tutto, persino le ragioni
del loro stesso essere e del loro agire.

Il meccanismo di base della loro psiche è proiettivo, nel senso che {{tendono
a scaricare sugli altri ciò che in se stessi avvertono come negativo}}. Si
spiega così il motivo per cui l’attenzione viene spostata sempre sulla
vittima che, esplicitamente o implicitamente, subisce la fatidica chiamata
di correo, quando non si scarica addirittura su di lei tutta la colpa.

Molteplici sono le conseguenze di tale estroversione, la più dannosa è che,
impedendo una sana assunzione di responsabilità, {{osta alla costruzione di
una struttura personalitaria matura.}}

{{Le donne, dal canto loro,}} non osano in genere sfidare il sistema omertoso
che raggruppa gli uomini in un unico branco, sia perché “ancora
inconsapevolmente impigliate” nel “modello di funzionamento di una logica
maschia”, come dice {{Zaretti,}} sia perché, riconoscendo nei maschi una parte
della loro prole, per giunta la più debole, tendono a rassicurarli,
assicurando una materna protezione. Ciò facendo {{sostengono, in uno alla
debolezza maschile, la ferocia che insanguina il mondo}}.

La {{soluzione proposta da [Bandoli->http://www.aprileonline.info/notizia.php?id=10284]}}, cioè il silenzio femminile allo scopo di
permettere agli uomini di “trovare le parole.perché nessuno meglio degli
uomini potrebbe spiegare cosa sia la sessualità maschile e il perché questa
sessualità così spesso degeneri in violenza e altrettante volte in molestie”
,{{ non mi trova del tutto d’accordo}}. Io credo che per “stanare” gli uomini,
costringendoli a riconoscere quanto meno le responsabilità storiche del loro
genere, le donne debbano {{parlare non tacere}}; certo “altre” devono essere le
loro parole.

Se è vero, come afferma {{Bandoli}}, che “coloro che andrebbero
‘assistiti’, indagati, conosciuti sono gli uomini. Gli uomini e la loro
sessualità che continua ad essere un oggetto misterioso, e il loro concetto
e uso del potere che fa tutt’uno con l’idea che hanno del loro sesso”,
{{spetta proprio alle donne il compito di comprendere cosa ostacola l’
evoluzione razionale e civile della loro mente}}, dato che fino ad ora essi
sembrano affetti da una fatale coazione a ripetere sempre lo stesso copione
di cui, per primi, non sanno spiegare le ragioni.

Un compito siffatto necessita di {{un cambiamento radicale nel modo di operare
delle donne}}: esse hanno bisogno di recuperare il loro punto di vista sul
mondo, la fiducia in se stesse, il coraggio e la fermezza, doti con cui
hanno permesso alla specie di sopravvivere e di smarcarsi. Potranno
ritrovare così l’antica dignità e la fierezza delle madri per rimettere al
suo posto il figlio degenere, per impedirgli di nuocere a sé e agli altri e
consentirgli allo stesso tempo di rimanere al mondo e di evolversi.