All’ultima trasmissione prima dell’estate di Lilli Gruber su’La7 (30 giugno), era ospite anche il dr. Massimo Gandolfini promotore della manifestazione del 20 giugno a Roma a piazza San Giovanni, contro l’“ideologia gender”. Il neurochirurgo bresciano e l’ex Pd Adinolfi direttore e fondatore del quotidiano La Croce, sono diventati ospiti fissi di numerose trasmissioni radiotelevisive. Il neocatecumenale e l’ex deputato pd, ripetono gli stessi slogan in difesa della famiglia etero, contro le famiglie arcobaleno e, soprattutto, contro il mostro laico femminista dell’ “ideologia di gender”. Ha dichiarato in una trasmissione Gandolfini che i “nostri” bambini vanno difesi dall’ideologia di gender che il governo vuole promuovere nelle scuole, a seguito dell’applicazione della risoluzione dell’Unione Europea del 2/3/2013.
Secondo il neurochirurgo verrebbe promossa la scelta del genere già a partire dalla scuola dell’infanzia; si tratterebbe di un ventaglio vastissimo di generi, entro i quali navigare per la scelta, più o meno definitiva. Insomma una sorta, testuale, “d’invasione gender”! Mario Adinolfi pesca, lui laico, nell’Antico Testamento, per dimostrare che la donna deve dare al marito la mitezza della sottomissione; secondo una procedura naturale.

Il documento UE preso di mira perché recentemente recepito dal Governo Italiano, invita i Paesi a farsi carico di una realtà persistente, nella mentalità, tradizione, ma anche nei media e nelle istituzioni, che inchioda ancora le donne nei consueti stereotipi sessisti. Si legge, per esempio, al pt.14:” (…) l’importanza di promuovere la rappresentazione dell’immagine femminile rispettando la dignità delle donne e di combattere i persistenti stereotipi di genere, in particolare la prevalenza di immagini degradanti, nel pieno rispetto della libertà di espressione e della libertà di stampa;
Invita gli Stati membri a valutare i programmi di studi e il contenuto dei libri di testo per le scuole nell’ottica di una riforma che conduca all’integrazione delle questioni di genere quale tematica trasversale in tutti i materiali didattici, sia in termini di eliminazione degli stereotipi di genere sia in termini di maggiore visibilità del contributo e del ruolo delle donne nella storia, nella letteratura, nell’arte, ecc. anche nei primi livelli dell’istruzione.”
Le indicazioni agli Stati UE sono preceduti da punti esaustivi di analisi del contesto storico culturale, come in questo passaggio: ” considerando che i ruoli e gli stereotipi tradizionali associati al genere continuano a esercitare una forte influenza sulla suddivisione dei ruoli tra donne e uomini in casa, sul lavoro e nella società in generale, e che le donne sono rappresentate come coloro che si occupano della casa e dei figli mentre gli uomini sono considerati i responsabili del sostentamento e della protezione della famiglia; che gli stereotipi di genere tendono a perpetuare lo status quo degli ostacoli ereditati dal passato che impediscono di raggiungere la parità di genere e a limitare il ventaglio di scelte occupazionali e lo sviluppo personale delle donne (…).”
Nulla di quanto viene denunciato, per esempio da un volantino cattolico dove si racconta che nella scuola materna, si dovrebbe educare – addirittura – alla scelta del genere.

Alla manifestazione di Roma hanno aderito associazioni come il Movimento per la Vita, un centinaio di parlamentari con alla testa il solito Giovanardi e la solita Binetti dell’Opus Dei: più o meno tutti dell’area cattolica integralista e intransigente. E, senza forse, tanto contraria al Papa argentino.
Come è accaduto già altrove, per esempio in Spagna, si è verificata la santa alleanza con i musulmani in nome della difesa della legge divina e di natura: si nasce anatomicamente maschio o femmina e la fisicità determina l’identità. Punto.

Le gerarchie ecclesiastiche si sono tenute in disparte, pur spesso approvando ai livelli delle curie diocesane. Però nel mondo cattolico c’è altro e tutto molto interessante.
In “Vita monastica” (n.259 giugno 2015) dell’Ordine Camaldolese, diversi articoli trattano il problema della donna nella Chiesa e della, inesistente, ideologia gender.
Un articolo oltremodo interessante è quello della filosofa e teologa Lucia Vantini (Uguaglianza, differenza e genere paesaggi o natura morta?) che affronta lo spinoso problema della cosiddetta natura umana.
Massimo Gandolfini, nella trasmissione della Gruber, più volte ha affermato l’aspetto ontologico della differenza sessuale. Ci sarebbe un’essenza fondativa immutabile e, soprattutto, non soggetta alla storia, alla culturalizzazione. Scrive la filosofa teologa che in “certe antropologie teologiche” la differenza sessuale “è piegata al dato biologico e naturale, su cui poi si traduce il destino del soggetto e lo si attualizza attraverso precise pratiche simboliche, culturali e sociali.”
“…a ben guardare non esiste alcuna teoria –o ideologia –di genere (…) Detto ciò e venendo alla questione che qui interessa, è evidente che la categoria di genere ha fisionomia decostruttiva e che risulta in qualche modo corrosiva dell’immaginario sorto attorno all’idea di natura. Avviando un’ermeneutica di sospetto verso le rappresentazioni del maschile e del femminile e riportando l’attenzione sui passaggi fondamentali che ne hanno caratterizzato l’esito, la lettura di genere fa uscire dalla necessità il modello di uomo e di donna che attraversa ogni cultura e riapre nuove possibilità di compimento di sé.”
Esiste, dunque, invece il termine genere che per molte teologhe indica una forma di sottrazione al determinismo simmetrico. Questa scelta rende nervosi, racconta Vantini, certi ambienti ecclesiali che temono la messa in discussione “di un paradigma che finora ha permesso di legittimare e di conservare l’organizzazione concreta, sociale e simbolica del maschile e del femminile.”
Invece feconda è la categoria di genere per dissolvere la natura ridotta a materia, “puro dato biologico senza interpretazioni.”
Alla fine un riconoscimento al pensiero delle donne che, pur “nelle differenze evidenti di prospettiva, è tenuto insieme dal tentativo di restituire carnalità al soggetto, di liberarlo dal sogno di un’autonomia onnipotente, di ricollocarlo dentro un mondo tessuto da relazioni in cui i legami sono qualcosa di vivo, di non anticipabile nel loro esito.”