Il dibattito sulla manifestazione del 24 continua anche sulle mailing list. Con il permesso dell’autrice, pubblichiamo un’interessante email di Cristina Morini proveniente dalla lista Sexyshock. L’analisi di alcuni dei meccanismi di funzionamento del sistema dei media può essere utile per cercare di capire quello che si è prodotto e quello che si è “sventato” durante e dopo la manifestazione. In vista di una discussione che speriamo possa avvenire anche dal vivo durante l’assemblea nazionale del 12 gennaio a Roma.

Carissime,
mi permetto una veloce incursione. Non condividevo la scelta “separatista” ma l’ho rispettata – visto che era stata decisa da una collettività di donne nel corso di una serie di assemblee -. In ogni caso, non è per questo che non sono stata presente alla manifestazione del 24. Manifestazione che mi è parsa, dai report sulle liste, dai racconti, bella ed energizzante, al di là delle premesse. Mi pare poi che ciascuna abbia in concreto declinato la propria presenza secondo modalità e pratiche diverse.

Ma non volevo parlarvi di questo, piuttosto fare qualche riflessione sulla questione dei media. Da giornalista, pur senza entrare nel merito del caso e delle senz’altro ottime professionalità coinvolte nella diretta di La7, {{faccio davvero fatica a pensare al sistema mediatico italiano come a un modello di libertà e di correttezza.}} Ho letto su liste di giornalisti, in questi giorni, invocare “il diritto di cronaca”, bella parola. Attenzione. L’Italia è al 74esimo posto nelle classifiche sulla liberà di stampa. Ora, che “i soggetti sociali”, tra loro le donne – che non vivono su Marte -, abbiano diffidenza verso l’informazione non mi pare strano, al contrario.

Come dice Castells “{{nelle nostre società, la politica è in primo luogo una media politics, una politica dei media.}} I meccanismi del sistema politico si sono adattati ai media, al fine di ottenere più sostegno, o almeno la minore ostilità possibile, da parte dei cittadini”. Bennett definisce “indexing”, “il meccanismo per cui direttori e giornalisti limitano il range di posizioni e temi politici da riferire a quelli espressi in seno all’establishment politico mainstream, influisce pesantemente sul processo di reporting dettato dagli eventi”.

{{I media non sono i depositari del potere ma rappresentano, sempre più, l’ambito dove quest’ultimo viene deliberato.}} Nella società contemporanea, la politica è profondamente legata alla politica dei media, il cui linguaggio risponde leggi proprie. Si fonda soprattutto sulle immagini e sulla costruzione di un’iper realtà che, per forza di cose, appiattisce o, viceversa, enfatizza. Il messaggio più potente in assoluto corrisponde a un messaggio semplice abbinato a un’immagine. E il messaggio più
semplice è il volto di una persona. Abbiamo con ciò una “personificazione simbolica del messaggio”.

Altro esempio. Proprio la questione della violenza e dei meccanismi sicuritari che finisce per evocare. In questo caso la costruzione di iper-realtà serve ad accentuare lo sgomento collettivo per poter procedere, un altro po’, nella creazione sistematica della cultura della paura. Il dolore di altri, che non conosciamo, raggiunge, attraverso lo schermo della televisione e le prime pagine dei giornali, lo spazio delle emozioni più profonde del pubblico, così da generare un crescere di preoccupazione e disgusto che possono venir tradotti, “a grande richiesta”, in politiche razziste e repressive.
{{Ritualizzare il caso orribile per esorcizzarlo e per dimostrare di padroneggiarlo pur nel suo carattere imprevedibile}}, inatteso, nuovo e perciò portatore di incertezza e di rischio, come sempre è. {{Eppure, proprio il meccanismo dell’informazione rivela quel paradosso che fa della violenza nella società contemporanea, qualcosa di onnipresente e al tempo stesso silente,}} sviluppandone la normalità . Continuamente rappresentata, perennemente esibita ma non elaborata, non mediata eticamente, svincolata da ogni inibizione morale: coprire la notizia non significa attenzione, attenzione non significa comprensione.

Non voglio, sia chiaro, demonizzare l’informazione, ma {{penso sia opportuno un approccio più laico e consapevole al tema.}} Le decine di donne in piazza il 24 volevano che l’attenzione si fissasse sul meccanismo partecipativo costruito, autodeterminato, pur tra tante contraddizioni e problemi, sulle persone, sui corpi, sulle parole, sui problemi. E hanno rigettato con forza entrambi gli schemi informativi da media marketing che velocemente sottolineavo sopra. {{ {{Mi pare che questa forza andrebbe valorizzata, non stigmatizzata.}} }} {{Un bell’insegnamento, una bella prova di resistenza ai meccanismi della governance contemporanei che viene dalle donne.}} E non a caso, penso.

Con ciò, ribadisco , non voglio fare l'”elogio del margine”, così come sono consapevole della necessità di “usare” gli strumenti, i momenti di interlocuzione e di visibilità che si presentano. {{Ma da attrici, come è stato, non da comparse sullo sfondo di una ripresa in campo lungo.}} Credo che ciò fosse chiaro a chi ha lanciato e organizzato l’evento del 24. Di cui tutte/i, nelle redazioni, parlano.

Non so. Pensiamoci. Interroghiamoci.

Rifletterei anche di “{{autonomia dei movimenti femministi}}”, in senso più allargato.

un abbraccio
Cristina