La Cassazione ci aveva già offerto sentenze incredibili come quella
indimenticabile dei Jeans. Ma ha deciso di superare se stessa.
Infatti la sentenza della Cassazione n 4377/12 rappresenta un segnale
rassicurante verso violentatori e femminicidi ed un’ ulteriore esortazione
al silenzio rivolta alle vittime.Un altro segno che dimostra, ancora una
volta, che lo Stato non sostiene le vittime della violenza sessuata mentre
appare molto comprensivo nei confronti di uomini violenti e stupratori.

Il mancato sostegno alle vittime da parte dello Stato, mentre molti si
interrogano farisaicamente perché le donne non denuncino, non ha però
impedito alle donne di ricorrere, in modo crescente, alle vie legali per
difendersi dalle violenze, questo grazie al sostegno delle altre donne e
soprattutto perché le associazioni femministe e le femministe organizzate
sono state capaci di diffondere una diversa cultura dell’esistenza e della
convivenza. Ma di questa cultura i poteri istituzionali non sanno e non
vogliono sapere nulla.

La violenza rivolta alle donne solo perché sono donne, da sempre, nel
nostro paese coincide con una cultura che rappresenta un interesse cieco
e pervicace, teso a confermare il diritto degli uomini a disporre del loro
potere fin nelle pieghe più nascoste della convivenza familiare.

Ancora, nel terzo millennio, per queste ragioni, il sentire comune diffuso
dalle donne, il loro protagonismo nella vita è vissuto come un contropotere
da parte di uomini e di istituzioni immobili.
_ Tutte abbiamo avvertito di
essere bersaglio di mortificazioni e punizioni collettive. Sono le
punizioni che “la democrazia senza rappresentanze” sa perpetrare senza
armi belliche, attraverso l’emarginazione dal lavoro, l’occultamento delle
risorse prodotte dalle lavoratrici nel lavoro dipendente e nel lavoro di
cura e che conduce molte, troppe donne verso una povertà che mina la
soddisfazione dei bisogni primari e le costringe alla dipendenza da altri.
_ Che tollera e scusa la violenza degli uomini.
_ Che la rappresenta in forme
seduttive nella pubblicità e nei mass media degradando le donne.

La violenza cresce in visibilità, nonostante la pervicacia dei governi nel
volerla nascondere o nello strumentalizzarla in modo xenofobo, a mano a
mano che le donne raggiungono la consapevolezza del perché di questo
fenomeno e la coscienza del diritto, grazie a chi continua a svelare la
natura della sofferenza atavica, imposta a metà della popolazione mondiale
e a diffondere la conoscenza di una cultura differente e della necessità
di regole scritte e di politiche efficaci. Che in Italia non esistono.

Anche per questo, in questi anni, le regole sono state oggetto di irrisione
da parte di chi doveva tutelarle ed anche per questo in questi anni alle
leggi si sono volute sostituire invenzioni propagandistiche.

Le sentenze emesse dai tribunali ordinari, l’andamento delle udienze, e
soprattutto la lunghezza ed i rinvii dei procedimenti, mostrano che la
certezza della pena è stata ridotta ad una leggenda, anche quando si tratta
di femminicidio conclamato.
_ È stato un tentativo di far tornare nel
privato un reato in cui le responsabilità pubbliche sono ormai certe. Il
segno primo è stato l’allontanamento del movimento delle donne dalle aule,
rendendo quasi impossibile la costituzione di parte civile da parte delle
associazioni femministe.

Noi conosciamo bene le leggi che hanno risposto, in circa trent’anni, ai
milioni di donne mobilitate per ottenere una legge efficace nel contrasto
alle violenze maschili. Conosciamo bene la capacità di certi giudici nello
sfuggire, di fronte ai reati commessi contro le donne, a principi che
considerano irrinunciabili per altri reati: la pericolosità sociale è il
paradigma escluso quando si parla di stupro.

Ognuno di quei ragazzi, beneficiari della sentenza della Corte di
Cassazione, ha stuprato la vittima, e lo ha fatto quando il complice ha
terminato il suo turno: stupri singoli in uno stupro collettivo di una
bambina. Anatomia di un crimine, terminata la quale ci si dimentica di
rimettere i pezzi insieme e ciò che doveva essere un’aggravante diventa
un’attenuante.
_ È come se in un processo alla criminalità organizzata, l’esattore del pizzo
vedesse la propria imputazione trasformata in “mendicità molesta”.

Guardando alla cronaca dal 2006 (perché non esistono dati ufficiali) ad
oggi gli stupri di strada in gruppo sono perpetrati in occasioni di feste e
ricorrenze come per riproporre la fisionomia della celebrazione di un
rito. Un rito di iniziazione, di ammissione nella comunità di coloro che
vogliono e sanno far capire alle donne, a cominciare dalle giovanissime,
chi comanda.

Per i giudici della Cassazione tutto ciò è una concomitanza di eventi
singoli. Per la Cassazione la complicità evidente di clan familiari ed
intere comunità strette intorno agli stupratori, non costituisce contesto
per la reiterazione del reato. Non rappresenta un pericolo sociale.
_ Quei giudici hanno dimenticato la vittima e hanno dimenticato di dimostrare
che la legge amministra la giustizia e che deve essere uguale per tutti.

Anche chi siede in Parlamento ha dimenticato la cosa più importante, e cioè
che occupa un luogo che non è destinato a raccogliere l’esibizione della
loro indignazione momentanea, ma è la sede della predisposizione di leggi e
atti per una società più equa.

Di fronte a questa vergognosa sentenza
avrebbero
dovuto, i Parlamentari indignati, tardivamente e finalmente, decidere che
la giustizia da rendere alle vittime della violenza maschile deve essere
scritta con chiarezza nelle leggi dello Stato e non essere lasciata alla
percezione soggettiva dei giudici.

Per questo, noi donne dell’UDI, chiederemo un incontro urgente con il
presidente della ANM e con la Ministra della Giustizia Severino. E non
ci fermeremo a questo perché vogliamo capire se nel concetto di giustizia
le donne sono comprese.