Gaza sarà invivibile nel 2020” sostiene l’agenzia dell’Onu che si occupa di commercio e sviluppo (CNUED).

No, già oggi è invivibile, una prigione a cielo aperto per un milione e 800 mila palestinesi.

L’organizzazione dell’ONU che si occupa di commercio e sviluppo, diretta dal keniota Mukhisa Kituyi nei giorni scorsi ha voluto lanciare l’allarme sulla situazione di Gaza, stremata dalle guerre dal blocco israeliano: “potrebbe diventare invivibile da oggi al 2020”. Lo sostiene presentando un report annuale sulle sue attività di assistenza al popolo palestinese, sostenendo che se le tendenze economiche attuali persisteranno, l’area diventerà inabitabile nel 2020.

Invivibile, inabitabile – aggettivi che descrivono senza bisogno di enfasi quella che è già oggi la drammatica situazione di vita dei palestinesi della Striscia, un milione ottocentomila in un territorio lungo 40 km e largo non più di 12. Un tasso di densità di popolazione tra i più alti sul pianeta.

Gli economisti dell’ONU ricordano che nel 2014 Gaza ha subito il più recente conflitto, una operazione militare su larga scala, la terza sei anni, da parte dell’esercito israeliano contro la popolazione e le installazioni civili.

Tutto questo dopo diversi anni di blocco economico che ha desertificato ogni speranza di sviluppo per le attività economiche palestinesi, dall’agricoltura alla pesca all’artigianato fino al turismo, che aveva manifestato timidi cenni di risveglio sulla dolce spiaggia di Gaza.Rileva ancora il rapporto “Gli sforzi per la ricostruzione (ricordiamo acqua, elettricità, porto e aeroporto, case, ospedali, scuole, alberghi, serre e botteghe artigiane) proseguono con grande lentezza, a fronte dei danni che hanno devastato l’area e l’economia locale non ce la fa a rimettersi in piedi, i dati sono più bassi di quelli del 1967, anno in cui Israele ne ha preso il controllo con la Guerra dei Sei Giorni.

Successivamente, nel 2005 il governo israeliano ha ritirato l’esercito e 800 mila coloni che vi si erano insediati”.

Secondo il rapporto, le prospettive attuali non sono incoraggiati a causa della situazione politica instabile, a causa della riduzione del flusso degli aiuti e della lentezza nella ricostruzione come effetto del permanere del blocco che Israele impone sui proventi doganali non corrisposti ai palestinesi nei primi mesi del 2015. Israele ha imposto anche il blocco della costa di Gaza nel 2006, dalla data di cattura di un suo soldato, liberato poi nel 2011.

Prosegue il rapporto: Hamas, il movimento islamista al potere a Gaza dal 2007 è impegnato in contatti indiretti con Israele per tentare la via di una tregua di lunga durata in cambio della fine del blocco.

Ma a un anno dalla fine dell’ultima guerra che ha devastato la Striscia nell’estate 2014 (2200 vittime palestinesi di cui 5500 bambini – oltre 70 vittime israeliane) sia Hamas che Israele nelle loro dichiarazioni rifiutano di escludere un nuovo ricorso alla forza.

E allora non possiamo non ricordare con orrore le parole della parlamentare israeliana Ayelet Shaked, dichiarazioni riportate dalla stampa israeliana (Press TV) il 17 luglio 2014: “Dobbiamo uccidere le madri palestinesi in modo che non diano la vita a nuovi piccoli serpenti”.

A proposito di mamme e bambini, dal 2008 ad oggi secondo fonti ONU, non è mai cessato il dramma di centinaia di donne palestinesi che partoriscono ai check point israeliani, fino al 2007 gli ospedali dell’UNWRA a Gaza riuscivano ad assistere le gestanti anche quelle ad alto rischio.

La situazione è precipitata con il susseguirsi degli attacchi distruttivi dell’esercito e ormai l’UNWRA e le numerose ong internazionali che operano sul campo possono fare ben poco per la salute e la vita delle partorienti e dei neonati.

Un rapporto di Amnesty International dell’agosto 2014 ha documentato l’attacco sistematico alle strutture ospedaliere e agli operatori sanitari.

Ma allora di cosa sta parlando il rapporto, questo ennesimo rapporto di una agenzia delle Nazioni Unite?

Senza commenti, solo immagini.

Per una visione d’insieme della vita quotidiana nella Striscia, è molto interessante guardare sul web le immagini dell’artista inglese Bausky, che continua a produrre la sua arte per le strade e tra la gente.

Quella gente, quel popolo non si troverà in un luogo invivibile nel 2020 – i ragazzini che si fanno riprendere nei video vivono già un luogo inabitabile – da quando sono nati.

Dalla news letter: Mediterranea – Udi Catania