Una scena del film AGNESE di DIO – La badessa e la psichiatra Anne Bancroft, Jane Fonda,- 1985

 Patriarchy is itself  the prevailing religion of the entire planet. (il patriarcato è esso stesso la religione prevalente dell’intero pianeta)  Mary Daly

1 -Sta decollando il #ChurchToo in Italia?

Certo ciò non si può prevedere,  come non era  prevedibile il ciclone del  #metoo, madre  di tutte le  rivolte femministe del XXI  secolo. Nel novembre 2017,  la rivista Time è uscita con la  titolazione The Religious Community Is Speaking Out Against Sexual Violence With #ChurchToo. Ma l’ondata non  è stata molto avvertita in Italia.  Tra  le ultime notizie (marzo 2018) sull’argomento:

A. la presa d’atto ufficiale  dell’iniquità sessista all’interno  delle  chiese evangeliche  svizzere;

B.  le testimonianze rilasciate da tre suore -a cui è stato cambiato il nome: Suor Marie, Suor Paule e Suor Cécile-, in un’ inchiesta sullo sfruttamento delle  religiose al servizio di uomini di Chiesa, pubblicata nel numero di marzo del mensile dell’Osservatore Romano;

C. il convegno delle donne cattoliche di tutto il mondo – presso la curia generalizia dei Gesuiti  in occasione dell’8 marzo-   organizzato da Voices of faithes, appuntamento  apertosi con il discorso introduttivo di Mary McAleese, dal titolo « The time is now for change in the Catholic Church»: “Ora è giunto il momento del #metoo nella chiesa”.  “Non siamo  la fragola sulla torta (con riferimento ad una  battuta di papa Francesco), siamo  il lievito nel pane, e senza di esso la torta della Chiesa si sgonfia.  Molte donne se ne stanno andando, non da Cristo né dal Vangelo, ma da una Chiesa maschile”, ha affermato l’autorevole esponente del  gruppo.  Sull’argomento, in occasione dell’8 marzo, è apparsa poi una bella intervista alla teologa-pastora Letizia Tomassone , che fra l’altro non dimentica di citare la realtà dell’Osservatorio interreligioso contro la  violenza di genere. 

Letizia Tomassone

D La testimonianza  di una giovane nigeriana che con molta  schiettezza  ha rivolto platealmente al papa tali parole: «Caro Papa, quello che più mi inquieta è proprio la  domanda [del mercato di prostituite , ndr.], i troppi clienti e molti di questi sono cattolici. Mi chiedo e ti chiedo: ma la Chiesa, ancora troppo maschilista, è in grado di interrogarsi con verità su questa alta domanda dei clienti?»

Della  quarta notizia  D , ho registrato un’eco blanda; la terza  C è circolata un po’ di più, ma sui social per lo più; la seconda B ha avuto invece enorme risonanza mediatica. La prima A invece, meno sensazionale, quasi è passata inosservata. Non mi posso soffermare a commentare -per ragioni  di spazio- queste quattro informazioni, tutte rilevanti, ma della prima qualcosa va detto, perché preannuncia un elemento di  svolta da parte della  consapevolezza dei ministri-uomini.  L’articolo   porta alla luce casi di sessismo e molestie nelle chiese evangeliche in Svizzera:  negli ultimi tempi sono emerse segnalazioni di abusi o molestie all’interno della  chiesa attraverso la  rete #ChurchToo. Giustamente si fa notare che le molestie –appena accennate-  per prima  cosa devono essere accertate, e secondariamente non sarebbero episodi  di  grave rilevanza.  Sarebbero  casi di quella  “normale” prassi comunicativa, fatta di locuzioni  volgari  a sfondo  sessuale o approcci  più marcatamente offensivi nei confronti di  donne. Non ha preso la cosa  sottogamba  Andreas Borter, teologo ed ex direttore dell’Istituto svizzero per le questioni maschili e di genere, il quale osserva: “Ciò che  colpisce è la poca sensibilità riscontrabile negli ambienti ecclesiastici quando si tratta di potere e dipendenza […] Non è accettabile che, dopo l’accusa e l’indignazione in rete, ci si limiti a puntare il dito contro capri espiatori e si affronti la questione sulla base di questi mascalzoni […]In occasione delle celebrazioni per i 500 anni della Riforma, svoltesi lo scorso autunno a Berna, le donne hanno letto e pregato, mentre gli uomini hanno predicato e benedetto. Questa divisione dei ruoli dimostra che nella chiesa riformata le cose veramente importanti sono ancora prerogativa degli uomini” .

Vorrei partire  da queste  parole del pastore Borter: egli opportunamente nomina quella che è un’ ingiustizia  strutturale nelle chiese , che si manifesta per esempio in una  divisione dei ruoli segnata da gerarchia misogina; ed osserva come non si tratti quindi di  difendere le donne da “mascalzoni” (cosa che riconfermerebbe  lo stereotipo per cui le  donne debbono essere “protette” dai malvagi –  che  sono sempre “gli altri”) –. Il pastore manifesta poi la preoccupazione che il #ChurchToo, non  svapori nell’ irrilevanza dopo  una  fiammata di  comunque giusta indignazione.

Il  tema  “religioni e violenza contro le  donne”  racchiude certamente le offese ricevute da molte donne dal clero- direttamente o indirettamente. Ma, comprendendoli, trascende questi  fatti e va alla radice dei rapporti di  potere che si sono instaurati da molto tempo tra assetti/dottrine religiose e donne .

2- Le religioni sono complici?

Quando  si dice Violenza sulle donne, sovente si pensa a maltrattamenti, femminicidi, stupri, tratta connessa alla prostituzione, sfruttamento e abusi sessuali, mutilazioni genitali, aborti selettivi, matrimoni precoci imposti e altre brutalità di tipo fisico. Essa  è anche questo, indubbiamente. Le  offese contro le donne si manifestano  in segni  visibili,  evidenti nelle varie forme della disparità economica, giuridica, religiosa e dei codici linguistici. Le  radici  sono molteplici; una di queste si colloca nel persistente pregiudizio culturale che confina le donne nella sfera della Famiglia (riproduzione/accudimento) e della Seduzione, mentre agli uomini assegna l’ attitudine al Pensiero o all’ Azione . Che la maggioranza dei femminicidi avvenga in ambito famigliare non può essere considerato un’ anomalia, né una dissonanza cognitiva.

La  violenza non è solo di tipo fisico/materiale e non si manifesta solo in atti efferati; prima ancora si annida nelle consuete dinamiche quotidiane, nelle relazioni sentimentali, affettive o professionali, o di vita associativa,  nelle pieghe degli accadimenti di tutti i giorni.

L’offesa contro le donne resta quasi sempre invisibile perché  mascherata  dall’inganno che la cultura patriarcale nasconde in sè.  Ma l’aggressione strisciante che alle donne sottrae la Dignità di una esistenza in prima persona, la Sostanza intima della vita,  accompagna le nostre  esistenze .

Di  tutto ciò le religioni sono complici?    È una violenza opaca, subdola, che si nutre del torto del proiettare sulla donna atavici sospetti di impurità e di parentela col male e la morte – archetipi di cui le religioni e la cultura popolare  si fanno tuttora interpreti- ; si nutre del sospetto nei riguardi della donna sul piano della  Ragione, dell’equilibrio, della padronanza di sé; si nutre della propensione all’inattendibilità delle testimonianze o  denunce di maltrattamenti che una donna presenta; le consegna l’attitudine alla minorità sociale, a tacere piuttosto che a parlare in luoghi pubblici ed insieme l’inclinazione a recitare quello che ci si aspetta da lei, cioè che trasmetta alle bambine una cultura di subalternità; le inculca la “naturalità” di  essere  strumento (legittimo o illegittimo) del piacere altrui; si annida nel disprezzo sotterraneo che corrode  le ragazze che sono state stuprate, colpevoli (e non lo stupratore) di avere perduto la purezza,  segno di garanzia di merce integra nello scambio sessuale fra  uomini.

Di  tutto ciò le religioni sono complici?  Per le donne maltrattate è un martirio elaborare il  distacco dal partner, al tramonto di quei legami che erano un tempo intessuti d’amore. Esse sperimentano su di sé quella torsione in cui  violenza  e amore  si mescolano e si confondono. “Ciò che distrugge le donne non è la forza degli uomini ma la loro enorme debolezza”, è stato detto da lucide indagatrici. È  un rovesciamento  iperbolico e paradossale che sconcerta, ma che nomina un inquietante convitato di pietra: il votarsi delle donne al  sacrificio, familiare e sessuale insieme.

È un destino che si intreccia al loro essere inascoltate dal mondo quando, una volta uscite dal tunnel delle sofferenze del senso di colpa ,   esse decidono di non tacere più i torti e di agire il distacco. “Colpevoli” di  aver  voluto vivere il dono della  vita,  per sé e per i propri figli, sono spesso allora punite, “giustiziate” . Piuttosto che  vittime,  meglio chiamarle martiri, testimoni della lotta da loro sostenuta, nella solitudine privata, contro l’asservimento e il peccato dell’ ingiustizia  sessista. I loro nomi devono  essere  ricordati i  quest’ottica .

Di  tutto ciò le religioni sono complici?  Analogamente  ai contesti viziati dal colonialismo, tale cultura a misura del sesso maschile rimanda al dominante – come in un magico  specchio- l’immagine idolatrica di “Soggetto” vincente, artefice di civiltà, progresso, industriosità.   Negando  la vita propria  del/la dominato/a -a cui  ricorre per il suo sostentamento materiale e affettivo, fa di lei/lui uno  strumento, espropriandone l’energia e la vita, all’intero di sistemi culturali che autorizzano a farlo  . Tale  cultura  si autolegittima e  si autoconsacra come “legge naturale” e/o emanazione di Volontà divina; in questo modo  agisce  presentandosi non “di parte” ma impersonale, neutra,  e punta più sulla strategia  del creare consenso, dell’interiorizzazione di codici morali “naturali” piuttosto che sull’ esplicitazione aperta di  un ordine sessista gerarchico (presente nelle Scritture?),  sull’esclusione o sull’uso  della  tortura/forza – a cui peraltro ricorre.

Sotto  tali  maschere razionalizzanti, sotto tali arroccamenti difensivi,  si cela però un sostrato di mascolinità tragica:  essa proietta  sull’altro, sul diverso, paure mai confessate, fantasmi di abbandono e minacce immaginarie. Un deposito di dipendenza  infantile irrisolta,  infatti, agisce sotterraneo ed emerge nei gesti.   L’enunciato: “Se l’uomo fosse solo il dominatore, il vincitore sicuro di sé, non avrebbe bisogno di uccidere”  compendia  efficacemente questa  riflessione. Crisi intensificatasi nella postmodernità,  in consorzi umani  divenuti sempre più  spirali irriducibili di  perdita  di status per l’uomo, un  segno  dei tempi che solo coscienze maschili mature sanno assumere  come compito teologico e politico di lungo respiro.

A tutto ciò, quanto le  religioni  sono consustanziali?  L’ispirazione  originaria ne è  estranea? Nell’ebraismo-cristianesimo, il libro di Genesi può essere letto (anche se non lo è stato per secoli) come l’aurora della differenza/dualità irriducibile fra la creatura-donna  e la creatura-uomo; matrice di  ogni altra alterità.  Ma può anche essere letto come legge divina “prescrittiva”, come  ortodossia eterosessuale, condannante ogni altra forma di affettività.

Su  quell’aurora però non si sono posati gli occhi del clero patriarcale. Anzi, l’hanno travisata. Le  dottrine e le prassi religiose dell’intero mondo, per come storicamente  si sono sviluppate e  costituite, si sono  fatte paladine di un’ermeneutica sacrificale  dove la  donna in primis è votata al dono di sé,  consacrata ad essere, nella rinuncia di sé, il perno materiale, psicologico, affettivo dell’uomo.    Si  è così codificata l’eclisse dell’ alleanza biblica tra maschile e femminile,  e il   privilegio di uno dei due sessi.

Molte donne islamiche sostengono che  anche nell’Islam si è operato un gesto analogo.  Pertanto le religioni, fino a quando non  assumeranno consapevolezza del  furto  commesso  sono corresponsabili delle  iniquità – e del peccato-  della violenza sulle donne.

3- L’Osservatorio interreligioso  contro la violenza sulle donne

Dal 2016 a Bologna, il SAE  e la Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII organizzano annualmente una  Tavola rotonda interreligiosa  sul tema “religioni e violenza sulle donne”: un’ iniziativa che ha preso corpo sulla scia del documento ecumenico Contro la violenza sulle donne: un appello alle chiese cristiane in Italia, firmato a Roma il 9 marzo 2015  dai rappresentanti di  dieci chiese  cristiane .

Ogni anno il confronto è stato apprezzato tanto per il tema,  quanto per le modalità dell’approccio. Esso  infatti, oltre ad ospitare molteplici chiese e comunità  religiose – secondo il principio della pluralità confessionale cui le istituzioni promotrici si ispirano- è stato un momento  di apertura  ad enti o associazioni laiche impegnate a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne.

Fin dal  suo  sorgere, nel movimento ecumenico  mondiale (W.C.C.) l’interesse per la parità fra uomini e donne e per sostenere il giusto riconoscimento dei doni ricevuti da Dio in eguale misura è stato uno dei temi ineludibili; sono state  realizzate e si realizzano  iniziative (insufficienti, però) che promuovono l’impegno delle chiese  intorno al tema in questione: a questo proposito  ho creduto opportuno riprendere questa storia misconosciuta  con un intervento alla tavola rotonda a Bologna il 16 maggio  2017   .

Benché poco noti, anche le donne ebree e le donne musulmane hanno organizzato momenti di riflessione in  merito, soprattutto in occasione della  giornata del 25 novembre, giornata mondiale  contro la violenza  sulle donne.

Sulla   rilevanza dell’ Appello  del 9 marzo 2015  non vi è alcun dubbio: esso ha infatti una innegabile autorevolezza. Nel  solco delle tavole  rotonde già avvenute, sia l’analisi della sopraffazione maschile che pervade le religioni, sia l’azione di  contrasto necessaria, vanno condivise non solo nell’area cristiana, ma insieme ad altre religioni o aggregazioni interessate alla  crescita  spirituale e civile.

Non solo gli  incontri  di Bologna  paiono per ora essere un’eccezione, ma negli  ambiti ecclesiali si  registra per lo più un accentuato disinteresse al tema, se non  una desolante  ignoranza, con l’unica eccezione di alcune  comunità evangeliche: realtà  animate per lo più da pastore  donne e   in alcuni  casi anche pastori uomini.   Tranne   queste isole felici,  si ha l’impressione   che  l’appello  si inabissi  nel mare del silenzio, e che non si arresti l’agonia di quel timido ma significativo seme ecumenico, prezioso segno profetico.

Dal 2017 è nato l’Osservatorio  interreligioso  contro la violenza di genere:  con la missione di intensificare la  conoscenza dell’Appello. E inoltre di  raccogliere  descrizioni /racconti /interviste di pratiche o azioni positive realizzate. L’osservatorio ha iniziato il suo lavoro interpellando alcuni dei firmatari ( quelli che si sono  resi disponibili ) dell’appello, a tre anni dalla firma .

Per il prossimo anno (2019), molto probabilmente esso si focalizzerà sulla voce delle donne migranti appartenenti alle diverse comunità religiose:   una presa  d’atto che, nella  fase storica attuale, le donne migranti  sono   per eccellenza vittime di discriminazione, di  sfruttamento, e  di violenze sessiste, etniche e classiste – da cui le religioni  non sono  estranee.

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Paola Cavallari

*Paola Cavallari  è Portavoce dell’Osservatorio   interreligioso  contro la violenza di  genere.

 “Sono nata a Bologna nel 1950. Qui vivo, sposata. Sono fondatrice  dell’Osservatorio interreligioso contro la violenza di genere. Sono  responsabile  SAE di Bologna. Ho pubblicato un libro di poesie “Tardi ti ho amato” (ed. Servitium; prefazione di don Angelo Casati). Ho conseguito la laurea in Filosofia. Ho insegnato (fino all’entrata in congedo) nelle classi leceali la disciplina: filosofia e storia. Ho conseguito il Magistero in scienze religiose con una tesi sul dialogo ebraico-cristiano – con il prof. Giandomenico Cova. Ho aderito al femminismo fin dagli anni 70, pubblicando testi in Lapis. Percorsi di riflessione femminile. Da più di 20 anni sono membro della redazione di Esodo. Attualmente collaboro con la rivista Adista;. Sono coordinatrice di Biblia BeS–Emilia Romagna. Ho promosso la nascita dell’ associazione di ricerca di genere “Donne e uomini in cammino”. Faccio parte del “Gruppo donne- Comunità cristiane di Base”. Negli anni di insegnamento ho lavorato sulla ricerca nella didattica, pubblicando sul periodico Professione docente. Sono stata membro della Commissione   didattica della Società italiana Storiche.