La Corte costituzionale cancella la norma che imponeva la detenzione in carcere come misura cautelare per i piu’ odiosi delitti sessuali – violenza sessuale, atti sessuali con minorenni e prostituzione minorile – e affida al giudice la possibilita’ di disporre misure alternative per salvaguardare le esigenze cautelari.A partire dal 2009, con l’approvazione da parte del Parlamento della[ legge di contrasto alla violenza sessuale->http://www.camera.it/parlam/leggi/09038l.htm#conve] non era consentito al giudice (salvo che non vi fossero esigenze cautelari) di applicare, per i tre delitti sessuali al vaglio della Corte Costituzionale, misure cautelari diverse e meno afflittive della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza.

Secondo la Consulta – la norma che dispone obbligatoriamente la custodia in carcere dell’indagato per delitti sessuali va cancellata perche’ viola l'[articolo 3 della Costituzione->http://www.senato.it/istituzione/29375/131276/131279/articolo.htm] (uguaglianza davanti alla legge) “per l’ingiustificata parificazione” dei procedimenti a quelli concernenti i delitti di mafia; l’articolo 13 (liberta’ personale), che costituisce il fondamento del regime ordinario delle misure cautelari; l’articolo 27 (funzione della pena), in quanto attribuisce alle misure cautelari funzioni tipiche della pena.In queste ore sappiamo che la Corte Costituzionale ritiene che la detenzione non sia necessaria per coloro che stuprano donne e bambini.

Contro la sentenza si è espressa {{Mara Carfagna}}, Ministra per le pari opportunità,: “la Corte sbaglia – dice – perche’ chi stupra donne e bambini merita il carcere”. Gabriella Carnieri Moscatelli, presidente di {{Telefono rosa}} ha evidenziato che, in un momento in cui scorre sangue a fiotti per le donne, oggetto di violenza, una scelta di questo tipo appare davvero incomprendibile.

L{{‘UDI}} di Napoli, Bologna,Cerchio del Lago (Brescia), Catania, Mimosa – Trieste, Lentini, Monteverde e La Goccia- Roma hanno emesso un duro comunicato di condanna che di seguito riportiamo:

“La Corte Costituzionale ha osservato, nella [sentenza n. 265->http://www.cortecostituzionale.it/giurisprudenza/pronunce/schedaDec.asp?Comando=RIC&bVar=true&TrmD=&TrmDF=&TrmDD=&TrmM=&iPagEl=1&iPag=1] (scritta da Giuseppe Frigo), che, “per quanto odiosi e riprovevoli, i fatti che integrano i delitti in questione ben possono essere e in effetti spesso sono meramente individuali e tali, per le loro connotazioni, da non postulare esigenze cautelari affrontabili solo e rigidamente con la misura massima”, cioe’ il carcere. Inoltre, la Corte ha ritenuto ingiustificata l’equiparazione dei delitti sessuali ai delitti di mafia; e ha osservato che la funzione di rimuovere l’allarme sociale “e’ una funzione istituzionale della pena”, conseguenza di un giudizio definitivo di responsabilità, e non puo’ essere affidata alla fase antecedente a un giudizio di colpevolezza.
_ E’ giusto che la Ministra Carfagna si dica “indignata”, noi donne siamo esasperate.Noi donne vogliamo l’efficacia delle misure di contrasto alle violenze che condizionano le nostre vite.
_ Riteniamo di importanza fondamentale, nell’efficacia di queste misure, la chiarezza degli intenti. Un governo che ha già molta difficoltà ad esprimere una volontà politica contro lo stupro e il femminicidio, non può mettere in atto un sistema di punizione/risarcimento rispetto ai colpevoli e alle vittime che in qualche modo comunichi che si tratta di un “reato minore”.
_ Le pene alternative al carcere, in un quadro normativo come quello italiano, attualmente poco applicato, hanno il sapore di una depenalizzazione che noi sappiamo rispondere alla cultura maschilista di metà del paese, che danneggia, come sempre, l’altra metà.
_ Il nostro giudizio, anche limitatamente alla discussione, è profondamente severo ed è un grido di allarme per tutte le vittime di stupri, cioè quello che almeno una volta nella vita troppe donne hanno provato.
_ Non possiamo più permettere – conclude il comunicato Udi – che si decida e si tratti sulle nostre vite e sui nostri corpi e invitiamo la Consulta a ritirare questa gravissima decisione e ad ascoltare le nostre parole e quelle della Ministra”

{{Flavia Leuci,Comitato Pari
Opportunità della Provincia di Roma}}, ha dichiarato in un proprio comunicato: “La sentenza della Corte costituzionale rischia di far
passare un messaggio pericoloso in un momento in cui è allarme rosso per le
violenze ai danni delle donne e le cronache sui reati di pedofilia non sono
certo più rassicuranti. Bocciare le norme sul carcere preventivo per gli
indagati di reati sessuali su donne e bambini rischia di lasciare spazio
alla percezione che sia alleggerita la gravità dell’abuso sessuale e che le
vittime siano meno tutelate”.
_ E aggiunge: “Mi
auguro che anche da parte dei media ci sia una particolare attenzione
nell’esporre una sentenza pur fondata giuridicamente, prevedendo che “le
condizioni e i presupposti per l’applicazione di una misura cautelare
restrittiva della libertà personale siano motivati dal giudice sulla base
della situazione concreta» ma che rischia, se comunicata non
correttamente, di creare sconcerto, paura di denunciare gli abusi, sfiducia
nella giustizia nella convinzione che i carnefici possano restare in libertà
per questi crimini ignobili”

Su {{Facebook}} è già nata una [pagina->http://www.facebook.com/#!/group.php?gid=114904388558228&v=wall&ref=ts] su cui {{si legge}} “per manifestare contro la sentenza n°265 emessa dalla Corte Costituzionale. Secondo tale sentenza, nei procedimenti per violenza sessuale il giudice non è più obbligato a disporre la pena carceraria, bensì può disporre misure cautelari alternative. La Corte ha dichiarato, inoltre, la parziale illegittimità dell’[articolo 275 del codice di Procedura Penale->http://www.brocardi.it/codice-di-procedura-penale/libro-quarto/titolo-i/capo-i/art275.html] riguardante i ‘Criteri di scelta delle misure’.
“Scendiamo in piazza per dire NO alla decisione della Corte Costituzionale di abolire il carcere obbligatori per i reati di stupro. Raduniamoci numerosi in varie città del territorio e facciamo sentire la nostra voce contro una decisione vergognosa. Attraverso questa pagina decidiamo una data e coordiniamoci nelle varie città, se non saremo numerosi non servirà a nulla” si legge nella descrizione della pagina che in poche ore ha superato le 300 iscrizioni, non sole di donne.

Parallelamente è nata, sempre su {{Facebook}}, anche un’[altra pagina->http://www.facebook.com/#!/pages/Registro-pubblico-sui-condannati-per-pedofilia-e-violenza-sulle-donne/145097782170155?ref=mf], creata da un gruppo di donne vittime di violenza maschile che chiedono l’istituzione di un registro pubblico sui condannati per pedofilia e violenza sulle donne.
_ Riportiamo di seguito l’appello delle autrici: “Quante volte vi è successo di leggere che un condannato per pedofilia torna a commettere lo stesso reato?
_ Quante volte vi è successo di leggere notizie a proposito di donne ammazzate, stuprate o maltrattate da uomini che già in precedenza erano stati condannati per gli stessi reati?
Genitori, bambini e donne hanno diritto ad una informazione preventiva per impedire almeno che i condannati possano fare ancora del male a qualcuno.
_ Siamo un gruppo di donne che sono state vittime di violenza maschile e chiediamo l’istituzione di un registro pubblico con i nomi dei condannati per i reati di pedofilia, stupro e violenza sulle donne.