LIBERE

In occasione del seminario dell’UDI sul femminicidio, svolto a Napoli nel novembre 2014, una delle relatrici, Nadia Nappo, avanzò l’ipotesi che la soppressione di ogni donna, uccisa da un uomo, fosse il mezzo estremo per impedire alla futura vittima il superamento del confine imposto dal patriarcato. Un’ipotesi molto fondata, perché può essere verificato che i così detti raptus, le perdite di controllo, gli esiti di ubriachezze o esaltazione da droghe, le disperazioni inconsolabili per la perdita, portati a pretesto dagli assassini e dai loro difensori, coincidono con altrettante decisioni di donne che vogliono lasciare, denunciare, andar via, cambiare vita.

Anche Chicca, la bambina uccisa a Caivano dall’uomo che l’aveva ripetutamente violentata, stava per superare il limite: si era ribellata. L’assassino lo aveva già fatto, aveva ucciso Antonio di quattro anni, e sarebbe oggi pronto a farlo altre volte, perché la sua legge governa il palazzo, un ordine nel quale il silenzio è complice di poteri che non vogliono né sentire né vedere ciò che succede nel quartiere. Lo stesso quartiere, Parco Verde, nel quale hanno chiuso anche la scuola della Preside Eugenia Cafaro “che andava a prendere i ragazzi fino a casa”.

L’assassino non ha però compreso che la resistenza di Chicca aveva già passato il limite, quello imprevedibilmente superato della comunicazione tra bambini, bambini che oggi lo accusano.

I bambini sono ridotti dal potere a “figli di famiglia”, materiale da conformare nel bene e nel male sul modello dei legittimi proprietari. Ma i bambini sono soprattutto persone, e quando hanno spazio producono prodigi. La chiamano innocenza, quella dei bambini, banalizzando la loro capacità di aprirsi al mondo e ai saperi, il loro possesso dell’immaginazione, la loro libertà interiore. Rubare ai bambini quel tipo di innocenza, imporre limiti alle loro immense possibilità è il fine di chi li sottopone al rito dell’imposizione del sesso adulto e all’imposizione di limiti prima che possano conoscere altro dal il mondo angusto dei loro carcerieri. È la tipica espressione della mania del controllo per eccellenza: quella degli uomini che uccidono le donne.

Non è interessante sapere se quei ladri di vite siano malati o mostri, perché questo non serve a sconfiggere l’ideologia che li protegge depennandoli dalla coscienza collettiva, perché catalogati come mostri schiavi di una passione, distorta, ma pur sempre una passione. È l’ideologia machista sul sesso che si fa spazio nell’arte, nella musica e nella cultura, e che attribuisce amore agli assassini, che invece sappiamo essere dominati dalla paura di non poter controllare la bellezza e l’innocenza. La stessa paura che in parte si esprime in chi cerca ragioni altre da quelle vere, o semplicemente cerca relazioni tra vittime e carnefici. Tra vittime e carnefici non c’è relazione: sono inventati gli inviti o le provocazioni. Le vittime sono viste come oggetti e vengono scelte dai carnefici per la loro presunta impossibilità di uscire dai recinti di caccia.

Se Chicca ha provocato, lo ha fatto movendo quel passo incontrollabile che stava per condurla fuori dal recinto, come incontrollabile era il permanere della sua innocenza e della sua giocosità. Innocenza e giocosità che hanno sancito l’impotenza del dominatore su quella bambina.

Chicca rimasta viva e capace di gioia dopo i supplizi, rappresentava la sfida più grande per chi l’ha pervicacemente torturata e impaurita. Lei viva rappresentava un affronto che l’ha fatta diventare inutile agli occhi del criminale. Quell’uomo l’ha uccisa per farla tacere e per vendicarsi

Fa davvero impressione che uomini di cultura riducano la domanda potente e pubblica, suscitata da una simile vicenda, in una domanda privata, sulla vittima che non può più rispondere e su sua madre.

Corrado Augias ha rilasciato un’intervista sull’uccisione di Fortuna e sulle violenze scoperte a Caivano. Tra le tante considerazioni di maniera, quelle agitate sull’incapacità educativa delle madri, incapacità indicata come una delle cause principali della tragedia, non hanno nulla di originale o sorprendente, perché come lui molti pensano che l’uccisione di donne e bambini scaturisca da una relazione tra pari umani, dove la vittima è provocatrice. L’intervento di Augias non è sorprendente è la prova che ha parlato, questa volta, senza aver studiato, senza essersi guardato intorno e senza capire che alcuni uomini uccidono donne e bambini, ripetendo un rito antico e millenario, e quando uccidono lo fanno per impedire alla persona che considerano un oggetto di diventare soggetto.

Molte bambine e molti bambini sono indotti a mascherarsi da piccoli adulti, ma restano bambini, come restano bambine le piccole a cui viene imposto il burqa o il chador uguale a quello delle donne adulte. Va detto questo perché la questione dell’abito è stata chiamata in causa, da molti: sarebbe la precoce assunzione di abiti da adulte a far individuare bambine e adolescenti come prede consenzienti. A chi afferma questo, e ad Augias, va chiesto se coloro che stuprano e predano fuori dai nostri confini possano godere di giustificazioni “perché quelle bambine sembrano donne”.

Il giornalismo spesso sbaglia le domande, la cultura ufficiale spesso sbaglia le risposte: fa parte del gioco. Ma in questo caso c’è stata l’offesa al dolore, e non solo quello di una madre, ed è stato offerto pretesto ad altri violenti e assassini. Tutto perché qualcuno è stato troppo presuntuoso nel porre le domande, e qualcun altro troppo presuntuoso nel pensare di poter dare risposte.

Le donne dell’UDI di Napoli, la Casa delle donne di Napoli e Enza Tempone, Arcidonna Napoli

 

Napoli, 18 Maggio 2016